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“Per Trump l’Europa non è così importante, su Kiev c’è il rischio di fughe in avanti”

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Abbiamo ancora negli occhi l’esibizione militare della Cina a Pechino. Nel frattempo la Russia continua a colpire le città dell’Ucraina senza lasciare spiragli alla pace. Della situazione internazionale abbiamo parlato con l’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, in passato rappresentante permanente dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano.

Da Pechino Vladimir Putin lancia un messaggio chiaro. Posso andare avanti con la guerra perché ho amici potenti: Cina, India, Corea del Nord, Iran…

«Mosca ha bisogno di aiuti esterni: la vendita di petrolio e gas a Cina e India, il supporto all’industria militare soprattutto dalla Cina, la carne da cannone fornita dalla Corea del nord. La partecipazione di Putin alla parata militare di Pechino è un segnale. Xi era affiancato da Putin e Kim. Significativo, visto che si tratta di una parata militare e non di un evento culturale».

Un segnale chiaro che la Russia non fermerà l’aggressione all’Ucraina.

«Ancor prima di Pechino, abbiamo assistito all’intensificarsi dei bombardamenti contro le città ucraine. Un altro segnale era arrivato dal vertice di Anchorage. Lì Trump, d’accordo con i paesi europei, doveva portare una proposta di cessate il fuoco che è stata nettamente respinta da Putin. Di fronte al rifiuto, Trump ha concluso l’incontro dicendo esattamente l’opposto: ci vuole un negoziato per una pace duratura. Il terzo segnale era arrivato da Sergej Lavrov: dopo Anchorage il ministro degli esteri russo ha detto che prima di far incontrare Putin e Zelensky bastava elevare il livello delle delegazioni che partecipano ai negoziati. Sì, la Russia non ha alcuna intenzione di mettere fine alla guerra».

Putin ha invitato Zelensky a Mosca. Un atto di sarcasmo diplomatico?

«Putin finora non ha mai dato indicazione di incontrare Zelensky perché ritiene la sua autorità illegittima. Dietro insistenza di Trump, Zelensky sarebbe pronto a partecipare, non so con quanta fiducia. Ma come norma l’incontro tra due belligeranti dovrebbe avvenire su un terreno neutro».

I leader riuniti in Cina vogliono porre fine al predominio occidentale sulla scena mondiale?

«Un’alleanza anti-occidentale esiste ormai da anni: è fondata sull’asse dell’ “amicizia senza limiti” tra Russia e Cina. Dopo la sfilata di Pechino, questa alleanza esce rafforzata. Molti paesi erano presenti per necessità: gli stati centro-asiatici schiacciati tra Cina e Russia non possono rifiutare un invito del genere».

Gli Stati Uniti si ritirano dalla scena mondiale mentre l’Europa combatte i propri demoni. L’ordine internazionale liberale si è sgretolato definitivamente?

«La metterei in termini diversi. La supremazia occidentale e americana non è più quella che è stata per decenni. Nato e Ue sono più deboli. Discorso diverso se pensiamo alle Nazioni unite. Paesi come la Cina e l’India sono dei grandi sostenitori dell’Onu. Il segretario generale era all’incontro della Sco. Il sistema dell’Onu, seppur complesso e farraginoso, ha avuto la funzione di imbrigliare le grandi potenze. Oggi le grandi potenze non accettano più queste regole. In realtà né Xi né Putin dicono in che cosa consiste questo nuovo ordine internazionale. Credo che non sarebbe molto diverso dal sistema onusiano, ma con più forza alle maggioranze dell’assemblea generale».

Quanto conta effettivamente la Cina sul piano strategico e militare?

«Xi ha lanciato un messaggio agli Usa: la Cina è in grado di colpire chiunque. Ha esposto un’arma per tutti, compresa Taiwan. Ma le capacità militari vanno verificate: il generale tedesco Rommel faceva sfilare due volte i carri armati per far credere di averne di più. Le dotazioni militari di tutti i Paesi vengono messe alla prova dalla guerra: speriamo che questa guerra non ci sia. Se, dopo questo sfoggio di armi, la Cina entrasse nella logica delle superpotenze di discutere il controllo degli armamenti nucleari sarebbe una bella cosa. Infine, non abbiamo visto le capacità cinesi in uno dei terreni militari principali: lo spazio cibernetico. Ma sappiamo che la Cina dispone ampiamente dell’intelligenza artificiale».

Narendra Modi è andato al summit economico di Shangai ma non alla parata militare di Pechino. Un messaggio chiaro. I paesi occidentali dovrebbero cercare di recuperare l’India?

«Assolutamente sì. L’India non vuole alleanze strette in politica estera, preferisce avere più di una sponda. Il suo principale rivale è la Cina con la quale ci sono stati diversi scontri alle frontiere. Questo ha spostato l’India nel versante degli Usa. Finora per Washington la strategia di contenimento della Cina ha avuto come perno l’India, che è infatti uno dei paesi del Quad, la cooperazione strategica informale che riunisce anche Australia, Giappone e Usa. Ora però i dazi al 50% sull’India spostano Modi dall’altra parte. Spingere Modi nelle braccia di Xi è un grosso errore strategico di Trump».

Dopo Anchorage, i dazi all’India e il mancato isolamento della Cina la politica estera di Trump sembra un fallimento totale…

«Dipende da qual è l’obiettivo di Trump. Se la priorità è il rafforzamento degli Usa sull’emisfero occidentale, il disinteresse per l’Asia o l’Europa rientra nella visione di un mondo diviso in tre: l’America nelle Americhe, la Russia in Europa e la Cina in Asia. Se Trump prepara un’operazione militare per far cadere Maduro in Venezuela vuol dire che si va in quella direzione. L’incontro di Anchorage non ha allontanato Putin da Xi. Il presidente russo ha trascorso ben quattro giorni in Cina: per la diplomazia sono tanti. Forse Trump vuole concentrarsi su obiettivi nelle Americhe: in questo piano rientra lo sfruttamento delle risorse naturali della Groenlandia e dell’Artico, anche d’accordo con Putin. In tal caso siamo di fronte a una conversione epocale della politica estera statunitense».

Trump sta facendo l’auto-rottamazione dell’America?

«Dell’America atlantica sì. L’impegno di solidarietà e sicurezza tra i paesi dell’Atlantico adesso è diventato transattivo come con altri Paesi. L’Arabia Saudita conta per Trump più di Germania e Regno Unito».

Pare che i Volenterosi abbiano predisposto «solide garanzie di sicurezza per l’Ucraina». Ma se la pace non c’è a che servono?

«È una fuga in avanti. Hanno una valenza in quanto l’Ucraina può pure accettare un cessate il fuoco con cui perde un parte notevole del proprio territorio, ma vuole garanzie di sicurezza affinché quanto accaduto nel 2014 e nel 2022 non si ripeta. Per Kiev è importante sapere quali sono le protezioni internazionali, visto che l’appartenenza alla Nato non è sul tavolo. In più, parlare di garanzie di sicurezza oggi, quando l’orizzonte del cessate il fuoco è ancora in fieri, permette ai paesi più esitanti di partecipare all’esercizio».

Tra i più esitanti c’è l’Italia che propone l’articolo 5 della Nato ma poi non vuole mandare i propri soldati…

«Noi diplomatici la definiamo “ambiguità costruttiva”. Più l’orizzonte è lontano meno rischi ci sono per il governo. Ma se ti offri per fare lo sminamento, i soldati serviranno. Se ci sarà il cessate il fuoco il dibattito in Italia diventerà importante, per ora possiamo cavarcela facilmente. L’articolo 5 senza la Nato è solo una fantasia: nell’Alleanza atlantica c’è un sistema e ci sono gli Usa, ma se prendi quella norma e la collochi in un contesto in cui non c’è struttura di comando fai una fuga in avanti. Ma il dibattito è utile perché può preparare un cessate il fuoco e perché se domani Putin fosse pronto è importante avere queste misure».

I Paesi europei non impegnano i propri soldati sul campo. Ad oggi, l’esercito europeo sembra coincidere di fatto con l’esercito ucraino. Possiamo accontentarci?

«No, ma è una parziale scappatoia perché l’assistenza militare può essere conteggiata nel 3.5% del pil. Paesi come Finlandia e Polonia sanno benissimo che è un collaterale molto parziale. Tra l’altro rafforzare le capacità militari dell’Ucraina non risolve il problema della difesa antiaerea da missili e da droni».

Visto che la Russia non vuole la pace, i Paesi europei non dovrebbero cercare di vincere la guerra?

«L’idea che l’Ucraina riconquisti i territori che ha perso è irrealistica. I Paesi europei cercano di impedire che Putin vinca la guerra e di dimostrare che non può ottenere tutto quel che vuole usando la forza. Ma per fermare Mosca è necessario rafforzare le sanzioni, impedendo alla Russia di evaderle, dare all’Ucraina tutte le armi di cui ha bisogno, anche comprandole dall’America visto che Trump non è disposto a darle gratis, sostenere l’industria della difesa Ucraina ed esercitare una forte pressione diplomatica su Washington e Mosca per arrivare a un cessate il fuoco».

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