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Da Xi un messaggio al mondo: “Ora relazioni paritarie”

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Se voleva essere una coreografia del potere materiale e non (in una parola, imperiale) della Cina, la parata militare per l’80esimo anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale (la “Grande guerra di resistenza cinese”, come l’hanno ribattezzata i libri di storia di Pechino) senza dubbio lo è stata. Almeno 10.000 soldati, oltre a un gran numero di carri armati, blindati e veicoli lanciamissili (quantificabile in diverse centinaia), hanno sfilato ieri sul vialone Chang’an (Lunga Pace), prima di passare nella famigerata piazza Tiananmen, di fronte alla celebre Città Proibita e all’altrettanto centrale Mausoleo di Mao Tse-tsung.

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Simboli da sempre del potere dello Stato, quello pre-rivoluzionario e quello comunista, fusi nella simbologia a rappresentare il partito-impero cinese. L’intera operazione è stata accuratamente pianificata come un’autentica manovra militare e non come una banale esibizione storica. A dimostrarlo non solo l’imponenza delle forze in campo, ma anche la ferrea coreografia, disegnata per segnalare con chiarezza la compattezza della nazione dietro il suo leader (Xi Jinping) e la sua missione (il cosiddetto Sogno cinese): migliaia e migliaia di teste, allineate sotto i loro elmetti, che ruotavano in perfetta sincronia al passaggio del loro presidente.

A ogni reparto (una delegazione delle varie branche delle immense Forze armate cinesi, a cui quest’anno per la prima volta si è unita la rappresentanza della neonata Forza aerospaziale), il comandante in capo Xi – ritto a capo scoperto sulla limousine di Stato marca “Bandiera Rossa” ha rivolto un saluto: «Soldati, avete fatto un buon lavoro!» oppure «Salve compagni!». In risposta migliaia di polmoni hanno scandito fragorosamente il saluto militare di rito: «Comandante, noi serviamo il popolo!». Un messaggio coreografico, certo, ma anche politico. Simbolo di forza e vitalità rivolto soprattutto all’avversario Donald Trump, la cui parata militare convocata lo scorso 14 giugno in occasione del proprio compleanno raccolse lo scherno di molti osservatori per la cattiva organizzazione e la presenza di sponsor privati che pubblicizzavano il passaggio dei reparti.

Non solo simboli

Ma la sfida posta da Pechino non è solo una questione di simboli o manifestazioni, ma di numeri e investimenti concreti. Secondo le stime dei rivali taiwanesi, le cui Forze armate versano da tempo in cattive condizioni, l’intera parata di ieri sarebbe costata alla Repubblica popolare la cifra record di 5 miliardi di dollari, pari al 2% di quanto mette a bilancio in un intero anno l’esercito della superpotenza. Non solo la spesa per il carburante e per l’organizzazione, le prove e l’alloggio di migliaia di uomini e mezzi nella capitale, ma anche la chiusura mandataria delle fabbriche più inquinanti nell’intera regione di Pechino, per poter assicurare cieli liberi dallo smog in occasione delle imponenti celebrazioni.

Un’altra dimostrazione, meno vistosa forse ma forse più significativa (si immagini per un momento cosa avrebbe comportato in un normale Paese occidentale l’adozione di misure simili), dell’incredibile presa che il governo cinese si è assicurato sulla società del Dragone. Al termine della rassegna militare Xi Jinping ha raggiunto i leader alleati radunati per la manifestazione. Affiancato – anche in questo caso con un forte simbolismo – dai capi delle tre potenze nucleari allineate a Pechino (la Russia di Vladimir Putin, la Corea del Nord di Kim Jong Un e il Pakistan di Shehbaz Sharif), il presidente cinese ha quindi raggiunto il palco delle autorità allestito in corrispondenza della Città Proibita, l’antica sede degli imperatori cinesi su cui dal 1949 capeggia invece il volto di Mao Tse-tsung, fondatore della Repubblica popolare cinese.

L’era Xi

Dettaglio a parte: il “Pensiero di Mao” – racchiuso negli scritti e nei discorsi del defunto leader rivoluzionario – da decenni fa parte dell’ideologia ufficiale del Partito Comunista, ma da qualche anno è stato affiancato dal “Pensiero di Xi”. Non era mai successo prima che il pensiero di un leader cinese diventasse materia di studio con questi ancora in vita. Chissà quindi se un giorno non vedremo anche il volto dello stesso Xi appeso all’antico palazzo imperiale. Per il momento però il presidente cinese, vestito con la giacca grigia maoista riservata per le celebrazioni storiche, ha sfruttato lo scorcio suggestivo del suo palcoscenico per affrontare di petto lo stato di crisi in cui versano le relazioni internazionali.

«Pace o guerra? Dialogo o scontro? Cooperazione che premia tutte le parti o rivalità a somma zero? Oggi l’umanità è di nuovo di fronte a scelte cruciali», ha scandito il leader di Pechino. «In passato, di fronte a lotte critiche tra il bene e il male, la luce e l’oscurità, il progresso e la reazione, il popolo cinese si è unito per resistere al nemico. Ha combattuto per la sopravvivenza del paese, per il rinnovamento della nazione cinese e per la giustizia dell’intera umanità», ha ribadito Xi insistendo su come la Cina stia dalla parte giusta della Storia. «Il popolo cinese si schiera fermamente dalla parte giusta della storia e del progresso della civiltà umana», ha aggiunto Xi, «e aderisce al percorso dello sviluppo pacifico e lavora fianco a fianco con i popoli di tutti i paesi per costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità».

Le promesse di pace sono quantomeno da prendere con le pinze, per qualcuno che ha appena fatto sfilare in posa marziale davanti agli occhi del mondo centinaia di missili tattici, balistici, ipersonici, anti-nave, carri armati, blindati, droni e aerei di ogni tipo – compresi alcuni nuovi modelli su cui già si stanno affannando gli analisti militari di tutto il mondo. Una forza militare immediatamente celebrata dal presidente cinese, che rivolgendosi direttamente agli uomini e alle donne in divisa dell’Esercito popolare di liberazione ha definito i militari di Pechino «una forza di classe mondiale capace di salvaguardare risolutamente la sovranità nazionale, l’unità e l’integrità territoriale».

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Ma la chiave di lettura che tenga dentro la promessa di uno sviluppo pacifico e l’ambizione di diventare la prima potenza militare del mondo è presto detta: le relazioni tra i Paesi devono essere impostate su base paritaria, ammonisce in mandarino il leader cinese, affinché si possa «vivere in armonia ed evitare che le tragedie della storia si ripetano». Tradotto: la Cina è una superpotenza, gli Stati Uniti ne prendano atto e lo riconoscano invece di adottare una postura ostile. In ogni caso «il grande rinnovamento della Cina è inarrestabile». Mentre Xi parlava i bombardieri di Trump compivano un passaggio a bassa quota sopra i cieli di Washington.

Segno di forza pacchiano di chi si sente messo in ombra dallo sfoggio di potenza cinese e, soprattutto, dalla pericolosa carica aggregante che la retorica che la accompagna potrebbe avere nei confronti di quella parte del mondo sempre più insofferente verso le pretese egemoniche americane. Forse anche per questo il vialone delle parate di Pechino è chiamato della Lunga Pace.

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