«Qualunque soldato è riluttante all’uso degli strumenti di cui è in possesso perché ne conosce l’impatto e le conseguenze. Nessuno è meno guerrafondaio di un soldato. Il capo di stato maggiore della difesa israeliana, Eyal Zamir, ha svolto il suo ruolo di primo consigliere politico. Ma Israele è una grande democrazia e il potere militare è subordinato al potere politico».
Il Generale Giorgio Cuzzelli, docente di Studi strategici e sicurezza all’Università Lumsa di Roma, risponde così sulla divaricazione tra gli obiettivi di Benjamin Netanyahu e le perplessità del suo stesso esercito.
Aggiunge: «Zamir è stato nominato per sostituire il suo predecessore, considerato una “colomba”. Ma esprimendo le sue remore sta facendo il suo mestiere. Rientra tra i suoi doveri dare corso alle scelte politiche ma è tra i suoi compiti anche sconsigliarle. “Se c’è qualche spiraglio negoziale la prego di approfittare”: è quello che Zamir ha detto ieri a Netanyahu».
Quali problemi pone sul piano militare questo ulteriore azzardo?
«La Striscia è un ambiente urbanizzato, sopra la superficie e sotto, con palazzi a più piani e tunnel. In più ci sono molte macerie e combattenti che si sono preparati a questo esito per venti anni. Uno scenario frammentato nel quale le forze militari rischiano di disperdersi. Ciò non incoraggia i soldati israeliani che conoscono bene la situazione a Gaza».
Soprattutto c’è la popolazione civile…
«Questa gente non ha dove andare ed è priva di risorse. Ha una paura folle di essere deportata in via definitiva. Gli israeliani vogliono mettere in campo un classico dispositivo in tre fasi: clear, hold, build. Eliminare l’opposizione, tenere il territorio e ricostruire: a Gaza hanno realizzato solo in parte la prima fase. Ma non si vede la luce. Nell’ultima parte della striscia Hamas ha concentrato risorse vitali e ostaggi: ora si materializza l’ultimo sforzo».
Netanyahu è sempre più isolato a livello internazionale…
«La visione della realtà dal punto di vista di Israele è completamente diversa dalla nostra. Un popolo che combatte da 70 anni per la sopravvivenza. Pensava di convivere con i suoi vicini ma le sue aspettative sono state deluse. Gli israeliani credono nei diritti e nell’autodeterminazione ma quando vedi l’efferatezza del 7 ottobre le normali categorie di pensiero vengono meno. Reazione immaginabile. Israele è andato via dalla striscia di Gaza dal 2005: in venti anni non è nato nulla e centinaia di milioni di dollari di aiuti sono stati impiegati per costruire gallerie e comprare armi. Adesso Israele vuole eliminare la minaccia di Hamas una volta per tutte, riportare gli ostaggi a casa e assicurare frontiere sicure per lo Stato. Paradossalmente, gli arabi concordano. La Lega araba è stata chiarissima: non esiste soluzione politica con Hamas. Israele ritiene così di avere carta bianca. E si comporta senza pietà. Scelta per noi inaccettabile».
Nonostante le proteste della società civile?
«La protesta indubbiamente esiste, ma nel contempo ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno votato questo governo che ha deciso di mettere la parola fine: non lo fermerà nessuno, nemmeno Trump. In Occidente ci facciamo delle illusioni: filtriamo la realtà attraverso le nostre opinioni, ma Israele ritiene che nei confronti di Hamas le normali categorie filosofiche del diritto non si applichino. Israele sta risolvendo una volta per tutte la questione palestinese: lo ripeto, per noi è inaccettabile ma è così».
Ma così che fine fanno i palestinesi?
«Il diritto di qualunque popolo ad avere la propria patria è incontestabile, e questo vale anche per i palestinesi. Ma i palestinesi non hanno mai costituito lo stato previsto dagli accordi dell’Onu fin da 1948 e gli stessi paesi arabi lo hanno impedito per creare una spina nel fianco di Israele e degli Stati Uniti. Nondimeno, in base al diritto internazionale, quale stato occupante dopo la guerra del 1967 Israele ha il dovere di garantire la sopravvivenza e l’incolumità degli abitanti. Ma non sta facendo quello che deve per proteggere quella popolazione di due milioni di persone».
L’idea di uno Stato palestinese è definitivamente sepolta?
«La prima possibilità è che Israele annetta sia la striscia sia i territori: non lo farà mai. Significherebbe ribaltare il profilo etnico e la composizione demografica del Paese. L’Autorità Nazionale Palestinese a oggi appare poco credibile. L’unica soluzione è un protettorato garantito da una presenza internazionale che dia respiro alla popolazione e ripristini una civile convivenza in attesa di una forma di autogoverno. Israele ha fatto una proposta di “cantonizzazione” su base tribale della striscia e dei territori occupati in Cisgiordania. Ma sarebbe un divide et impera inaccettabile per la comunità internazionale».
Passiamo all’Ucraina. Chi può garantirne la sicurezza?
«L’unica vera garanzia di sicurezza la può dare l’America. Quindi bisogna tenere agganciati alla Nato gli Usa che vivono una fase neo-isolazionista. Tuttavia, gli Usa non sono in grado di neutralizzare la Russia da soli perché devono fronteggiare la Cina. Lo sforzo sussidiario contro la Russia deve sostenerlo l’Europa».
Ma come?
«Schierare una forza militare al fianco dell’Ucraina è escluso: significherebbe dichiarare guerra alla Russia. Una forza di interposizione Onu non sarebbe necessariamente sostenuta dalla Russia. C’è l’opzione di una forza fornita dai paesi europei “volenterosi”, ma con quale mandato, con quali regole d’ingaggio e quale composizione? Per adesso non ha basi concrete».
C’è chi dice: l’esercito europeo c’è già, è l’esercito ucraino. Basta sostenerlo di più.
«È l’ipotesi migliore in assoluto: l’idea del “porcospino d’acciaio”. A noi conviene che l’Ucraina sia forte, è la miglior sicurezza per noi. Ma dobbiamo anche ricostruire il nostro strumento convenzionale».
Meloni propone di adottare l’articolo 5 della Nato.
«L’articolo 5 non prevede automatismo nella forma di intervento e non è applicabile all’Ucraina. I Paesi europei potrebbero al massimo ispirarci alla filosofia di quella norma per sottoscrivere accordi bilaterali con l’Ucraina».
Intanto Salvini attacca Macron…
«Macron ha detto che, se necessario, potremmo schierare una forza di interposizione così come Meloni sta esaminando altre garanzie di sicurezza. Niente di male a discuterne, ma per ora, in assenza di fatti concreti, stiamo parlando del nulla. Ritengo perciò che certe uscite abbiano essenzialmente finalità di ordine politico interno».
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