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Tsunami e terremoti, il Giappone resiste con leggi e scienza

Giappone, lo tsunami del 2011

Resilienza ai terremoti e al ‘mostro’ tsunami, che tutto divora e travolge. Il Giappone ha imparato sulla sua pelle la lezione su come proteggersi dalle gigantesche masse d’acqua che, come dice la parola stessa – tsunami tradotto letteralmente significa ‘onda di porto’ – possono raggiungere altezze considerevoli e causare distruzione sulle coste. Non si tratta di stabilire il ‘se’ ma il ‘quando’. Anche se spesso non vengono rilevate dalle persone, le scosse sismiche sono un evento quotidiano nel Paese, che secondo il Consorzio Earth Scope registra circa 1.500 terremoti importanti ogni anno.

A fronte di questo rischio, la ricerca di modi per convivere con la terra che trema e l’onda che distrugge, è parte integrante della struttura fisica e sociale delle comunità giapponesi. Un evento cruciale nel rafforzamento di quella resilienza nipponica ormai nota, è avvenuto alle 14.46 dell’11 marzo 2011. Un terremoto di magnitudo 8.9 ha colpito il Giappone settentrionale. L’epicentro viene localizzato in mare, vicino alla costa nord orientale di Honsu, l’isola più grande della penisola nipponica, a circa 130 km dalla città di Sendai e 373 km da Tokio.
La scossa innesca uno tsunami con onde di oltre dieci metri che colpisce un tratto della costa del Tohoku lungo 400 chilometri che interessa le prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima. La potenza è impressionante: l’area sommersa dal ‘mostro’ marino è estesa quasi quanto la città di Tokio. I danni e gli effetti del maremoto sono impressionanti. Ad un mese dall’evento si contano oltre 13mila morti e 14mila dispersi: oltre il 90% sono annegati per la forza delle onde. I danni alle infrastrutture sono ingenti. Undici centrali nucleari vengono disattivate automaticamente a causa del sisma. L’impianto di Fukushima Dai-Chi subisce i danni maggiori, con rilascio di radioattività nell’atmosfera. È emergenza nucleare. Ma non è l’unico caso, perché il Giappone è una delle nazioni più attive al mondo dal punto di vista sismico: la sua posizione tra quattro placche tettoniche fa sì che per i suoi abitanti i terremoti siano cosa scontata.

Lo sa bene chi ha assistito anche al terremoto di magnitudo 7,6 avvenuto il giorno di Capodanno del 2024 al largo della penisola di Noto, che ha prodotto la scossa più forte che la regione abbia sperimentato da decenni, facendo scattare l’ordine di evacuazione per pericolo tsunami per quasi 100mila persone. Gli esperti valutano che questo terremoto avrebbe potuto produrre una devastazione molto maggiore se la nazione fosse stata meno preparata. Soprattutto grazie alla rigida normativa edilizia applicata dal Giappone, che ha fatto sì che i danni fossero molto inferiori a quelli che avrebbero potuto essere. E ancora, il 13 gennaio 2025 si è verificata nella parte sudoccidentale della nazione – nello specifico nella regione di Kyushu – una scossa di magnitudo 6.9 che ha costretto all’evacuazione i residenti delle zone costiere e ha bloccato la circolazione dei treni e di tutte le altre infrastrutture. Dopo qualche ora di allerta, è stato però scongiurato il rischio tsunami.

Ma sorge una domanda: come prevenire la catastrofe? Nel Paese del Sol Levante le norme antisismiche per l’edilizia sono state introdotte per la prima volta dopo che un terremoto di magnitudo 7,9, nel 1923, ha ucciso più di 140mila persone e ridotto in macerie centinaia di migliaia di edifici. Queste prime disposizioni si concentravano sul rafforzamento delle nuove strutture costruite nelle aree urbane, aggiungendo disposizioni di controllo sulla costruzione di edifici in legno e cemento.

Il regolamento antisismico ha subito una serie di modifiche significative nei decenni successivi, in particolare attraverso la Legge sugli standard edilizi del 1950 e la nuova modifica del 1981. Oltre a fornire specifiche costruttive, queste disposizioni legislative hanno fissato le previsioni sulle prestazioni di resistenza degli edifici durante i terremoti. La legge del 1950 stabiliva uno standard in base al quale le case dovevano resistere a terremoti fino a magnitudo 7 senza gravi problemi. L’emendamento del 1981 è un po’ più specifico su quali possano essere i danni, e afferma che quando si verificano terremoti fino a magnitudo 7, un edificio dovrebbe subire solo danni minori e continuare ad essere normalmente agibile.

Per i terremoti oltre magnitudo 7, la legge giapponese stabilisce che l’edificio non debba crollare. Quando si tratta di resistere a forti terremoti, come quello che ha colpito il Paese nel 2024, «può considerarsi un successo il fatto che un singolo edificio non sia crollato e non abbia ucciso nessuno, anche se il danno è così esteso da non poter essere riparato con poca spesa», spiegano gli esperti.

Nella penisola nipponica esistono diverse tecniche per raggiungere gli elevati standard richiesti dalla legge e la scelta dipende spesso dal tipo di struttura, sia questa un grattacielo o una casa unifamiliare, dal budget disponibile e da altri elementi. A livello di base, gli edifici vengono rinforzati con travi, pilastri e muri più spessi per resistere meglio alle scosse. Esistono anche tecniche che aiutano a separare gli edifici dai movimenti del terreno legati ai terremoti. Un metodo molto diffuso è l’installazione di cuscinetti in materiale assorbente, come la gomma, alla base delle fondamenta che attutiscono lo shock del movimento sulla struttura stessa.
Un altro approccio, il sistema di isolamento delle fondamenta, prevede non solo la presenza di questi cuscinetti alla base, ma la costruzione dell’intera struttura su una spessa imbottitura, in modo da creare uno strato completo di separazione tra l’immobile e il terreno in movimento. Molti antichi edifici giapponesi sono costituiti da strutture tradizionali in legno, che tendono a essere molto fragili e vulnerabili ai danni dei terremoti. Dopo l’ennesimo terremoto catastrofico nel 1995, il Giappone ha iniziato a concentrarsi sull’adeguamento delle strutture architettoniche più vecchie per renderle più resistenti. Le sfide specifiche dipendono dalla posizione dell’edificio, ad esempio se si trova in una zona di liquefazione, in cui il terreno non può più sostenere il peso delle strutture. E poi ci sono le conseguenze secondarie che spesso seguono i grandi terremoti, come l’innesco di incendi o i danni provocati dagli tsunami.

Inoltre il Paese dispone anche di un solido sistema di allerta, con i sismografi sottomarini sulle coste giapponesi che avvertono del pericolo in arrivo: dopo il terremoto del 2011 sono stati effettuati molti studi importanti per la comprensione dei processi di generazione dei grandi eventi sismici, mentre i sistemi di difesa dagli tsunami sono stati potenziati notevolmente. La resilienza nipponica prosegue ogni giorno, in una continua ricerca di modi per proteggersi dalle onde anomale.

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