La conversazione fra Trump, gli alleati europei più in vista e Zelensky si è conclusa con toni ottimistici su una linea concordata, la cui vera sintesi è “Don’t hold your breath” (Evita il batticuore): Trump ha ascoltato gli alleati perché è chic e non impegna, ma non ha preso nessun impegno sostanziale perché, come tutti ormai dovrebbero sapere, farà di testa propria, pensando al sacro egoismo personale e nazionale, se coincidono.
Se cinque degli otto leader (Francia, Finlandia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito, Nato e Ue) pensano di aver avuto l’opportunità di fare un coaching indiretto al presidente Usa per metterlo in guardia dalle insidie negoziali di Putin, dovrebbero concretamente ricordarsi che Steve Witkoff questo lavoro l’ha già fatto da un pezzo e secondo le modalità più adatte a lui ed alla competenza pratica del negoziatore. Meloni, Rutte e von der Leyen, dietro le dichiarazioni pubbliche, si fanno meno illusioni o per fiuto politico o per amara esperienza.
Veniamo ad alcuni punti su cui si ama discutere: cessate il fuoco, territori, contesto politico internazionale e garanzie di sicurezza. Un cessate il fuoco sarebbe la condizione normale per intavolare serie trattative per l’arresto della guerra, ma dipende in primis dall’interesse di Putin a fermare il rosicchiamento graduale dei territori ucraini ed in secondo luogo dalla decisione di Trump di mettere davvero pressione sulla Russia.
Putin sa quanto caro gli costa avanzare, ma può probabilmente ancora per sei mesi sacrificare gente e risorse perfare leva sulla fretta di Trump nel chiudere il capitolo: non per nulla sta facendo una purga interna proprio perché è ad uno snodo e sa che il consenso interno è fragile. Trump vuole districarsi dalle implicazioni politiche e strategiche del conflitto ucraino quanto prima e lasciarlo nelle mani degli europei. Tutto il resto è secondario e si vede da come ha fatto pace in Afghanistan, coi patti di Abramo, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Caucaso: l’Ucraina seguirà variazioni sul tema. Se son rose, moriranno, come mi suggerì una schiva e stimata analista di sicurezza. In ogni caso tutti, Russia Ucraina, Ue, Stati Uniti hanno bisogno seriamente di una lunga interruzione delle ostilità, almeno un decennio, ognuno per evidenti buoni motivi.
Territori, sgomberiamo subito il campo da improbabili paragoni con la penisola coreana. La Corea del Nord ha relazioni diplomatiche riconosciute con 150 Paesi (più otto sospese o terminate), i territori occupati dopo l’invasione russa sono semplicemente conquiste territoriali non riconosciute. Per gli europei è ovvio che, come in altri casi evidenti in Mediterraneo, queste conquiste non sono riconoscibili, non solo in base a ben chiare regole del diritto internazionale, ma perché riconoscerle riporta il continente tutto intero al 1913, un posto in cui nemmeno Kaliningrad è al riparo da rivendicazioni tedesche o polacche. Trump, come ha già fatto con Gerusalemme e col Sahara Occidentale, può riconoscerle motu propriu, ma non è scontato che la comunità internazionale faccia altrettanto. L’Ucraina, come qualunque entità politica riconosciuta, ha il diritto imprescrivibile a recuperare tutti i suoi territori, quando possibile.
La locuzione contesto politico internazionale significa in quali organizzazioni collettive Kiev può o non può realisticamente entrare. Biden ha detto chiaramente nel 2024 che, per vari motivi anche politici, l’Ucraina non può aspirare nel breve-medio ad un ingresso nella Nato e Trump non ha nessun problema a riconfermare quel che è un interesse nazionale americano e di diversi alleati. Se ci fosse stato consenso nella Nato al vertice di Bucarest del 2008, non si sarebbe proclamata la “politica della porta aperta” per Ucraina e Georgia, ma si sarebbe avviata una procedura simile a quella di Svezia e Finlandia, forse rischiando uno scontro diretto con Mosca.
I volenterosi europei (Uk esclusa) vogliono fare entrare Kiev come membro pieno nell’Ue? Questioni socio-economiche e di futuro voto per stati e popolazione a parte, merita rileggersi l’articolo 42 comma 7 del Trattato dell’Unione europea “7. Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri. Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa”. Non c’è problema, abbiamo una clausola di difesa cogente che per di più fa rientrare la Nato dalla finestra. Difficilmente i negoziatori russi accetterebbero un autogol del genere dopo tre anni e mezzo di loro lacrime, sangue e morti, ai danni della sopravvivenza di Putin.
E, infine, parliamo di garanzie. Ricordate la forza di rassicurazione dei +30 Paesi volenterosi di appena 30.000 soldati? Gli Stati Uniti ne sono partner, ma senza contributo di truppe e ieri il primo ministro britannico Starmer ha annunciato un consistente ridimensionamento su livelli realistici da definire; le perplessità dell’Italia erano fondate e di buon senso. Se gli Usa non schierano truppe in Ucraina e riducono la loro presenza in Europa, gli europei per ora hanno poco da offrire e non avere il lusso di disarmarsi a favore di un limitato bastione ucraino, che dovrebbero usare per procura.
La prima garanzia concreta è una fascia smilitarizzata con una profondità concordata secondo parametri militari (generalmente gittata delle artiglierie), insieme ad un monitoraggio più o meno robusto che verifichi il rispetto della fascia, con il contributo dell’Onu e/o dell’Osce. La seconda è il progressivo rafforzamento del pilastro europeo della Nato, tanto in termini industriali che di capacità strategiche, verso una credibile deterrenza convenzionale sia contro colpi di mano ibridi che contro futuri avventurismi russi. La terza è la graduale ricostruzione a lungo termine di un sistema di sicurezza condiviso a livello europeo.
Una sospensione decennale di lungo termine delle ostilità, senza alcun riconoscimento territoriale, permette di: guadagnare tempo prezioso; tenere impegnati i russi a ricostruire nei territori conquistati; rendere meno indispensabile Putin agli equilibri tra syloviki; ridurre l’esistente faglia transatlantica; ricostruire gradualmente l’Ucraina a tutti i livelli. Tra l’esaltazione irreale del “siamo tutti in guerra sino alla vittoria” ed accordi autolesionistici per tutti, la politica offre vie difficili e concrete per una pace che può cambiare le carte in tavola. Come del resto è successo durante la Guerra Fredda con deterrenza e dialogo.