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Trump minaccia Mosca, ma Putin non arretra: sottomarini, sanzioni e il peso di Cina e India

Alla vigilia della scadenza dell’ultimatum lanciato da Donald Trump a Vladimir Putin, il conflitto tra Stati Uniti e Russia si gioca su un doppio binario: quello muscolare, con il dispiegamento di sottomarini nucleari americani, e quello diplomatico, con l’invio a Mosca dell’emissario speciale Steve Witkoff.

Trump punta a forzare un cessate il fuoco in Ucraina entro l’8 agosto, minacciando in caso contrario una nuova ondata di sanzioni secondarie «molto dure» contro Mosca e i suoi partner energetici, Cina e India in primis. La postura americana si è radicalizzata rapidamente. Solo pochi mesi fa Trump vantava la possibilità di «fermare la guerra in Ucraina in 24 ore». Ora i toni cambiano: «Se la Russia non accetta un accordo per fermare le uccisioni, scatteranno misure economiche devastanti», ha dichiarato domenica.

La svolta è avvenuta dopo uno scontro retorico con Dmitry Medvedev, ex presidente russo e oggi vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, che nei giorni scorsi aveva evocato l’uso dei missili atomici contro la «russofobia» in Occidente. In risposta, Trump ha ordinato il posizionamento di due sottomarini a propulsione nucleare «nelle regioni appropriate» vicino al teatro eurasiatico. «Sono dove devono essere», ha confermato il presidente americano al ritorno da un comizio, evitando volutamente di chiarire se siano armati con testate nucleari.

Il Pentagono mantiene il silenzio operativo. Nessuna conferma sulla tipologia degli armamenti a bordo né sull’area esatta di schieramento. Tuttavia, secondo fonti della Difesa, si tratterebbe di una manovra intimidatoria calibrata, per ora più simbolica che operativa, ma in grado di alterare l’equilibrio di deterrenza nella regione del Mar Nero e del Mediterraneo orientale.

Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale del tycoon per i fronti di guerra in Oriente, Steve Witkoff, è atteso domani a Mosca. «Siamo sempre lieti di vedere il signor Witkoff a Mosca», il commento del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha definito i futuri colloqui «costruttivi e utili». Ma fonti russe non nascondono il gelo: «Il tono di Trump non ci sorprende e non accetteremo alcuna imposizione dall’esterno».

Nel mezzo, Kiev, che osserva con scetticismo la missione. Il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha ammesso che «a Kiev non ci si aspetta una svolta», ma si confida che l’ultimatum americano inneschi «la logistica irreversibile delle sanzioni secondarie» contro i Paesi che continuano ad acquistare petrolio russo. «Trump ha già detto che è pronto a vendere all’Europa tutte le armi necessarie», ha ricordato Podolyak, evidenziando una nuova fase di militarizzazione occidentale a sostegno dell’Ucraina.

Ma dietro la prudente retorica, Mosca manda un messaggio è chiaro: la Russia non teme le ritorsioni americane e considera il posizionamento dei sottomarini una mossa propagandistica destinata più ai media che ai vertici militari russi.

Un comunicato del servizio di intelligence estero accusa direttamente il Regno Unito di «pianificare un disastro marittimo artificiale» per colpire la flotta ombra russa che trasporta petrolio in acque internazionali. Secondo Mosca, Londra starebbe preparando un atto di sabotaggio con l’obiettivo di giustificare ispezioni Nato straordinarie, «presentando il trasporto di petrolio russo come una minaccia alla sicurezza marittima globale».

Le operazioni, secondo gli 007 russi, sarebbero affidate alle forze speciali ucraine per creare «un incidente attribuibile alla Russia stessa». «Il momento scelto per l’attacco non è casuale», afferma il comunicato. «L’obiettivo è spingere Trump a varare nuove sanzioni secondarie contro gli acquirenti di petrolio russo». Parole che indicano come Mosca si prepari a resistere sul piano informativo e strategico, cercando di neutralizzare le mosse occidentali sul terreno della legittimità internazionale.

Il rischio di escalation è aggravato dal mancato allineamento dei Paesi-chiave dell’energia globale. L’India ha chiarito che continuerà ad acquistare petrolio russo. «Le nostre relazioni bilaterali non devono essere viste attraverso la lente di un Paese terzo», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Randhir Jaiswal.

Anche la Cina ribadisce la propria posizione di principio: «Le minacce degli Stati Uniti di imporre sanzioni secondarie e dazi al 100% sulle importazioni da parte dei partner commerciali della Russia, inclusa la Cina, non riusciranno a ostacolare gli scambi bilaterali tra Pechino, Mosca e Teheran», ha spiegato Gao Jian, esperto dell’Università Tsinghua, in un’intervista rilasciata all’agenzia Tass. «Washington può esercitare pressione, ma non cambierà la realtà geopolitica».

Riassumendo, le cose stanno così: gli Stati Uniti fanno la voce con la Russia; ma il Cremlino sa perfettamente che nulla di quello che Washington minaccia è attuabile nel breve termine. Né si tratta di condizioni con le quali Mosca non abbia avuto a che fare negli ultimi anni, basti pensare alle sanzioni.

E Putin non ha paura di Trump per diverse ragioni, la principale delle quali è la tenuta – anche se un po’ scazonte – dell’economia e degli scambi commerciali con partner come Cina, India e Iran, i quali sono i primi a non tollerare ingerenze americane all’interno delle faccende private.

Secondariamente, vi è l’aspetto politico interno, forte di un consenso che si poggia tanto sul rinnovato patriottismo della popolazione russa, quanto sulla debolezza dell’opposizione.

Infine – e questo è l’aspetto burlesco dell’intera vicenda – pesa il nomignolo che viene affibbiato all’inquilino della Casa Bianca. Trump, infatti, viene soprannominato «Taco», acronimo di «Trump always chickens out». Nello slang americano chicken out è l’espressione che si usa per indicare chi si ritira all’ultimo momento. Per i russi, se non addirittura per il mondo, Trump si è ridotto a questo: lanciare minacce aggressive per poi offrire concessioni ponderate in una forma di negoziazione commerciale, a suo dire, sofisticata.

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