Grossman accusa Israele di genocidio a Gaza. Foa lo sostiene, Segre invita alla cautela: si apre una frattura nel mondo intellettuale ebraico.
L’intervento di David Grossman sull’offensiva israeliana a Gaza ha aperto una frattura senza precedenti all’interno del mondo intellettuale ebraico. Nella lunga intervista a La Repubblica, il celebre autore israeliano rompe il silenzio con una dichiarazione netta: «È genocidio». Per Grossman, la realtà di Gaza è divenuta insopportabile, al punto da superare ogni esitazione semantica e politica. «Con immenso dolore e con il cuore spezzato – afferma – devo constatare che sta accadendo di fronte ai miei occhi».
La sua analisi affonda nel passato e denuncia le radici di una deriva: l’occupazione dei territori palestinesi iniziata nel 1967, che avrebbe corrotto l’identità morale di Israele, trascinandolo verso un potere assoluto privo di limiti etici. La devastazione umanitaria di Gaza, il ricorso alla fame come arma, l’indiscriminata uccisione di civili – sottolinea Grossman – non sono incidenti, ma il sintomo di un sistema malato.
A condividere apertamente questa lettura è Anna Foa, storica e autrice de Il suicidio di Israele. Foa approva ogni parola di Grossman, rivendicando il dovere morale di nominare l’orrore: «È arrivato il momento di avere il coraggio di usare quella parola». Come Grossman, individua nella perdita di umanità e nell’egemonia del fanatismo politico e religioso le cause di un disastro che minaccia di cancellare l’anima stessa dello Stato ebraico. Richiamando la “bandiera nera” del massacro di Kafr Qasim, simbolo del dovere di disobbedienza a ordini illegittimi, Foa denuncia la crescente frattura interna all’esercito israeliano e l’erosione dell’etica pubblica.
…MA LILIANA SEGRE METTE IN GUARDIA

Di segno differente è l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre. Pur riconoscendo la gravità estrema della situazione, Segre invita a non cedere alla retorica accusatoria. Con la sua consueta sobrietà, sottolinea come l’uso improprio del termine “genocidio” rischi di alimentare sentimenti antisemiti e di trasformare la memoria della Shoah in uno strumento di rivalsa ideologica. «È uno scrollarsi di dosso la responsabilità storica dell’Europa», afferma, mettendo in guardia contro una narrazione che, più che analitica, appare vendicativa.
Segre non nega la tragedia in corso, ma chiede che il giudizio morale non degeneri in semplificazioni pericolose. Ribadisce la necessità di fermare le azioni criminali dell’attuale governo israeliano, ma distingue chiaramente tra le responsabilità politiche e l’identità collettiva del popolo ebraico. Israele, dice, è stato fondato come rifugio dopo la Shoah, non può oggi diventare il capro espiatorio della colpa europea.
Nonostante le divergenze, un punto unisce queste tre voci: il sostegno alla soluzione dei due Stati. Grossman continua a credere in una convivenza possibile; Foa la vede come unica via per la sopravvivenza democratica di Israele; Segre ne riconosce la necessità storica, purché accompagnata da garanzie concrete e responsabilità reciproche.