Il sostegno incondizionato di Trump ad Israele comincia a pesare sulla base politica del Presidente, sempre più scontenta degli “assegni in bianco” a Tel Aviv
Il presidente degli Stati Uniti sembra a un bivio: o continua a sostenere in maniera incondizionata il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nella guerra in corso a Gaza, oppure si mette ad ascoltare seriamente la voce di dissenso che si leva dall’elettorato Maga. Nessuna delle due scelte è scevra da conseguenze. «A Gaza è in corso una vera carestia», aveva detto Donald Trump ai giornalisti presenti in Scozia lunedì scorso, dopo che Netanyahu aveva definito tali notizie «una menzogna sfacciata». Ma l’inquilino della Casa Bianca aveva affermato di aver visto le immagini dei palestinesi affamati in televisione e che bisognerebbe essere «piuttosto senza cuore» o «pazzi» per non trovarle terribili. È stata una delle rarissime critiche mosse da un presidente statunitense al comportamento del maggiore beneficiario estero degli aiuti americani e che Netanyahu ha definito «il più grande amico che Israele abbia mai avuto».
Secondo il Financial Times, una porzione non trascurabile della base elettorale del tycoon, quelli del «Make America great again», inclusi giovani repubblicani e podcaster tendenti all’estrema destra, è diventata più scettica nei confronti del rapporto tra Washington e Israele. «Che cos’è questa relazione unica, strana, disgustosa, perversa che sembriamo avere con Israele?» ha detto la popolare podcaster Candace Owens, nota per aver talvolta diffuso nel suo programma teorie del complotto antisemite. Lunedì, la deputata trumpiana Marjorie Taylor Greene ha definito la crisi di Gaza un «genocidio» e ha proposto una legge per bloccare gli aiuti a Israele. La misura è stata respinta dal Congresso, ma i sondaggi mostrano che molti giovani repubblicani oggi hanno un’opinione negativa di Netanyahu. E non sono teorie campate per aria.
L’assegno in bianco ad Israele potrebbe non sopravvivere all’amministrazione
Secondo una fonte del Financial Times vicina all’amministrazione, Trump si sarebbe confidato con uno dei suoi più importanti finanziatori, un ebreo, dicendo: «La mia gente sta iniziando a odiare Israele». Jon Hoffman, analista del Medio Oriente al think-tank libertario Cato Institute di Washington, sostiene che i funzionari israeliani «stanno leggendo i segnali» e riconoscono che l’assegno in bianco concesso da questa amministrazione potrebbe non durare fino alla prossima; per non dire oltre le elezioni di midterm del 2026. «Ecco perché stanno andando a tutta forza» a Gaza, ha detto Hoffman. «Nessuno vuole fermarli nel breve termine». Ma il vasto popolo Maga non è formato solo da pseudo nazisti antisemiti dell’estrema destra americana. Tra loro vi è anche chi, senza retorica, si interroga su un fatto.
Perché l’amministrazione Trump ha proferito un netto no per gli aiuti militari all’Ucraina e, invece, foraggia senza posa Israele continuando a elargire quelli che ritiene assegni in bianco? C’è chi non capisce perché esista questo doppio standard. E, naturalmente, gli elettori vorrebbero portare Israele al livello dell’Ucraina (e non viceversa), per non continuare a pagare con le proprie tasse quello che definiscono un vero e proprio massacro. A Trump non perdonano nemmeno che abbia dato il via libera all’attacco israeliano contro l’Iran, anche quando sono stati colpiti edifici e persone che non avevano nulla a che fare con la tecnologia nucleare. Inoltre, la sua amministrazione ha anche tollerato gli attacchi israeliani in Libano, malgrado un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti, così come l’espansione della zona di controllo israeliana in Siria, dove gli Usa vorrebbero invece stabilità.
Trump potrebbe voler frenare Tel Aviv
A Gaza, dove secondo fonti ufficiali palestinesi l’offensiva israeliana ha ucciso oltre 60.000 persone, Trump ha costantemente preso le parti di Netanyahu, incolpando Hamas per il mancato progresso verso la fine delle violenze, nonostante la rottura da parte di Israele di un cessate il fuoco mediato da Washington a marzo. La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno improvvisamente sospeso i negoziati formali perché Hamas non avrebbe mostrato «alcuna volontà di raggiungere un cessate il fuoco», secondo Steve Witkoff, inviato di Trump per il Medio Oriente.
Ma quando Israele ha bombardato la chiesa cattolica di Gaza all’inizio di luglio, suscitando proteste da parte dei leader cristiani di tutto il mondo, Trump ha telefonato furioso a Netanyahu. Per decenni, i politici americani hanno considerato il rapporto con Israele, che riceve miliardi di dollari all’anno in assistenza militare dagli Usa, come un tabù intoccabile della politica estera. Ma le amministrazioni successive hanno anche svolto un ruolo dietro le quinte per frenare le ambizioni più estreme di Israele. Le osservazioni di Trump sulla fame a Gaza potrebbero rappresentare proprio un tentativo di premere quel pulsante.