I dazi restano al centro del dibattito europeo ma a pagarne il prezzo potrebbero essere anche gli americani. Dialogo di Alessandro Barbano con il presidente di Acciaierie d’Italia ed ex Ceo di Eni e Telecom
La questione dei dazi continua a tenere banco e a dividere l’opinione pubblica italiana ed europea. Il 15% ottenuto da Ursula von der Leyen tra le colline di Turnberry, nella Scozia sud-occidentale, è il male minore oppure l’Europa avrebbe dovuto mostrare più fermezza? Quello che è certo è che le armi di Bruxelles sono spuntate e che ad un accordo con Trump, in un modo o nell’altro, si sarebbe dovuti arrivare. Il direttore de l’Altravoce Alessandro Barbano discute di dazi ed Europa con Franco Bernabè, che ha guidato alcune delle più importanti aziende italiane ed è stato Ceo di Eni e di Telecom Italia. Ha inoltre ricoperto diversi incarichi pubblici, tra cui quello di Presidente della Biennale di Venezia e del Mart di Rovereto. Attualmente è presidente di Acciaierie d’Italia.
Barbano: Si è detto che l’esito frettoloso della trattativa tra Bruxelles e Washington sia giustificato dalla necessità di avere delle certezze, di arrivare in tempi brevi a un punto fermo. È una spiegazione plausibile?
Bernabè: L’accordo che è stato firmato non garantisce nessuna certezza. I negoziati commerciali che si sono svolti a partire dal dopoguerra sono stati negoziati lunghi, complicati e ratificati dai parlamenti o, negli Usa, dal Congresso. In questo caso abbiamo una stretta di mano tra un presidente che ha bullizzato l’Ue e che può cambiare idea da un giorno all’altro. Se domani viene in mente a Trump di cambiare le carte in tavola, lo farà senza problemi, a maggior ragione ora che ha visto che l’Europa non reagisce.
Barbano: Al netto delle ricadute politiche che avrebbe un eventuale passo indietro di Trump, anche la stretta di mano di Ursula von der Leyen non è vincolante. La commissione è un organo collegiale e ha la necessità di una ratifica del Consiglio, quindi anche l’Europa teoricamente potrebbe tirarsi indietro?
Bernabè: Questo lo vedo molto più difficile. La ragione per cui l’Europa ha perso questa partita è che paga il prezzo della sicurezza che gli Usa ci hanno garantito dal secondo dopoguerra e che in questo momento, con la guerra russo-ucraina in corso, diventa ancora più importante per noi. Siamo a corto di strumenti di difesa e abbiamo una guerra alla nostra frontiera. La sconfitta in questa partita economica è il prezzo per la sicurezza. Il problema è che anche in questo campo gli Usa potrebbero cambiare idea da un momento all’altro, negandoci la protezione. Trump ha detto che l’articolo 5 del trattato è interpretabile.
Barbano: Certo, l’ipoteca della sicurezza pesa come un macigno. C’è chi dice che l’Europa avrebbe potuto e dovuto minacciare contro-dazi consistenti. Altri fanno notare che l’import europeo dagli Usa è talmente sproporzionato rispetto all’export che una minaccia di contro-dazi avrebbe spaventato poco Trump.
Bernabè: Sulla bilancia commerciale l’Ue è in attivo mentre gli Usa sono in forte deficit. Sulla parte dei servizi invece è il contrario, noi siamo in deficit. Quindi l’arma che avevamo era la tassazione delle multinazionali tecnologiche e delle transazioni finanziarie. Sono settori che agli Usa stanno molto a cuore, ma su questo non abbiamo agito. Sulle Big Tech c’è inoltre il problema che non hanno una stabile organizzazione nei nostri paesi, eccetto laddove hanno benefici fiscali come l’Irlanda. Dal punto di vista puramente teorico quindi l’Ue aveva delle armi, ma dal punto di vista pratico Trump avrebbe potuto minacciare di lasciare la Nato, e a quel punto l’Europa si sarebbe trovata seriamente minacciata.
Barbano: Anche un’eventuale minaccia europea di tasse alle Big Tech sarebbe però stata vincolata alle scelte dei singoli Stati. Quindi la minaccia era soltanto potenziale; Trump avrebbe potuto disinnescarla giocando al divide et impera con i paesi europei. L’altra cosa che viene rimproverata all’Europa è di non aver fatto accordi con altri paesi, cioè di non aver costruito una rete di mercati alternativi.
Bernabè: Questo ragionamento ha poco senso. Siccome tutti sono nella stessa situazione, chi non riesce a vendere negli Usa cercherà di vendere nell’unico altro mercato ricco che c’è, che è quello europeo.
Noi semmai avremo il problema di difenderci, non di aumentare la penetrazione negli altri paesi. Se Cina, Vietnam, Cambogia ecc non riusciranno più a vendere negli Usa, venderanno in Europa, ma l’Europa avrà difficoltà a vendere a sua volta in quei paesi, anche perché hanno barriere altrettanto forti di quelle degli Usa. Questa vicenda ha svelato un’Europa disarmata e dovrebbe stimolare una riflessione profonda e rapida su come modificare questa situazione nel medio-lungo periodo.
Barbano: Qualcuno potrebbe pensare che in questa stagione, in cui la forza prevale sul diritto, si misura la fragilità delle democrazie. Un’altra arma a disposizione dell’Europa avrebbe potuto essere la riduzione degli acquisti di titoli del debito pubblico americano, ma l’Europa non è la Cina, la Banca centrale non avrebbe potuto imporlo.
Bernabè: Sono decisioni prese da soggetti privati, che tra l’altro hanno già avuto una forte penalizzazione perché il dollaro è sceso molto negli ultimi mesi, con perdite importanti per i risparmiatori che hanno prodotti finanziari in dollari nel loro portafogli. Per effetto della caduta del dollaro molte gestioni patrimoniali sono in perdita. Tutto questo perché l’Europa non è un’entità politicamente rilevante, non ha un esercito comune e dipende dagli Usa – ribadisco – per la fornitura di un bene pubblico essenziale che è la sicurezza internazionale.
Barbano: Non sarà che ci siamo sentiti più deboli di quanto non siamo? Che peso hanno avuto le pressioni di Meloni e Merz per una politica di appeasement verso gli Usa? Loro hanno suggerito più volte una trattativa “morbida”, salvo poi accorgersi che l’obiettivo di Trump era quello di annientare l’Europa.
Bernabè: E’ certo che abbiamo alzato bandiera bianca ancora prima di cominciare la trattativa. Non credo però che l’intento di Trump sia quello di annientare l’Europa. Sicuramente vuole imporre la propria volontà con la forza. Da questa vicenda esce vincitore assoluto, come gli viene unanimemente riconosciuto negli Usa. I titoli dei giornali in questi giorni sono su Trump che vince su tutta la linea. Ha imposto la sua volontà senza offrire alcuna contropartita, l’esatto contrario di quanto accaduto nelle trattative commerciali degli ultimi decenni. Il problema è di nuovo questo: noi eravamo davvero in condizione di reagire? Con la guerra in Europa, con Trump che minaccia il ritiro dalla Nato. Noi italiani abbiamo un sistema di difesa che non sarebbe in grado neanche di difendere Roma…
Barbano: Però siamo arrivati ad assumere impegni paradossali come quello di comprare energia dall’America e assicurare investimenti per circa il 7,5 % del Pil in tre anni.
Bernabè: Quelli sono impegni siglati sulla sabbia. Gli Usa non sono in grado di fornire quei volumi di Gnl e noi non siamo in grado di accoglierli. Sono cifre date a caso, senza nessuna base tecnico-commerciale. È un accordo commerciale che non esiste né come impegno da parte loro né come contropartita da parte nostra.
Barbano: Sta dicendo che una parte dell’accordo ha un valore puramente simbolico? Essendo noi i perdenti, questo è abbastanza rincuorante. Poi c’è anche chi si chiede se i dazi verranno pagati dai produttori italiani oppure dagli importatori e dai consumatori americani, disposti a pagare di più per assicurarsi prodotti di qualità.
Bernabè: Quando Trump ha introdotto i cosiddetti dazi reciproci, ha quantificato i dazi sulla base di una formula “maccheronica” basata su una presunta neutralità del rapporto tra elasticità della domanda e trasferimento sui prezzi interni dei dazi. Ne risultavano dei dazi reciproci enormi. Il problema è che tutto questo avrebbe richiesto un’analisi approfondita dell’elasticità della domanda, del pass-through (l’intervallo di tempo nel quale una variazione del tasso di cambio si trasferisce ai prezzi dei beni importati denominati in valuta domestica, ndr) per ogni singolo bene. Questo non è stato fatto, sono state date cifre a caso. Se lei legge il Wall Street Journal in questi giorni, è tutto un peana per dire che le tanto temute conseguenze dei dazi non ci sono state. Ma la spiegazione è che gli importatori hanno anticipato gli acquisti nel periodo pre-dazi e ora sono pieni di scorte per altri sei mesi, quindi incominceremo a vedere l’effetto dei dazi dall’anno prossimo. Allora vedremo per quali beni le importazioni non diminuiranno e i prezzi andranno a gravare sui consumatori americani, oppure se viceversa l’elasticità della domanda sarà molto elevata e quindi non venderemo più niente, perché invece di comprare il nostro Parmigiano e il nostro vino gli americani compreranno il Parmesan cheese e il vino della California.
Barbano: La qualità del Made in Italy potrebbe quindi essere una garanzia. Se è così, ha senso invocare ristori e difese corporativistiche stimando cifre di perdita del fatturato e chiedendo di violare il patto di stabilità?
Bernabè: Sono reazioni emotive che vanno verificate. Prima bisogna vedere quale sarà l’impatto effettivo, che dipende da prodotto a prodotto e ogni prodotto ha una sua elasticità. Il problema vero è che non parliamo di un dazio del 15, ma del 30%, perché alla tariffa si aggiunge il deprezzamento del dollaro. Il 15 potrebbe non essere drammatico, ma il 30% di riduzione del margine di competitività è molto impattante. Capisco quindi le reazioni preoccupate delle imprese. Trump aveva un disegno di ritorno della manifattura negli Usa che non si realizzerà. Non è che per effetto della sua politica economica si costruiranno tante nuove fabbriche e si troveranno operai disponibili a lavorarci come si lavorava cinquant’anni fa. Quando ci si renderà conto di questo, l’impatto che nel breve periodo può essere negativo su di noi sarà negativo sugli Usa, perché i beni di cui hanno bisogno non potranno fare a meno di importarli al prezzo che a quel punto sarà da pagare.
Barbano: Questo ci potrebbe indurre a pensare che von der Leyen ha fatto una valutazione di lungo periodo, tenendo anche conto del fatto che Trump non è eterno. Ieri però sul Messaggero Romano Prodi si è chiesto chi ci garantisce che il nuovo presidente Usa ristabilirà le condizioni di vantaggio dell’epoca pre-Trump.
Bernabè: Infatti neanche Biden aveva rimosso i dazi imposti da Trump durante il primo mandato. Se ci sarà effettivamente un gettito aggiuntivo, tenuto conto del grande deficit federale degli Stati Uniti, gli Usa sicuramente non rinunceranno ai dazi. A maggior ragione l’Europa deve rendersi indipendente sul piano tecnologico e militare. O lo capisce, o sarà sempre sottomessa alla volontà dell’inquilino della Casa Bianca, chiunque sia.
Barbano: Questo significa riprendere in mano l’agenda Draghi, quantomeno per fare Eurobond o cambiare le regole del bilancio, oppure ancora puntare a una governance diversa, di tipo federale?
Bernabè: Il problema è la debolezza, che ci mette nelle mani di qualunque bullo venga a molestarci. O l’Europa si munisce di capacità autonome, rinforzandosi anche sul piano politico, o questa situazione non cambierà.
Barbano: L’Istat fotografa un Pil in frenata al -0,1% nell’ultimo trimestre. E’ finita la fiammata del Pnrr? Dobbiamo aspettarci una fase recessiva nell’economia italiana ed europea?
Bernabè: Dipenderà da come l’Europa reagisce all’umiliazione che ha subito. Se reagisce aumentando le spese per la difesa, rafforzando l’integrazione politica, i meccanismi di coordinamento politico, potenziando gli investimenti, allora forse è possibile imboccare di nuovo un percorso di crescita. Ma se accetta questa sconfitta e resta inerte, non possiamo che andare verso una recessione. Dobbiamo considerare inoltre che gli Usa sono stati per decenni il mercato di sbocco di tutto il resto mondo, perché il consumatore americano continuava a spendere e a ridurre i propri risparmi. Il mercato americano era una spugna che assorbiva buona parte della capacità produttiva del resto del mondo. Se fra svalutazione e dazi gli Usa smettono di esserlo, allora tutta questa eccedenza inizierà a premere sugli altri mercati, a far scendere i prezzi e a generare crisi aziendali.
Barbano: Pensa che in sede applicativa possa esserci un trattamento di favore nei confronti dell’Italia in virtù dei buoni rapporti tra Trump e Meloni?
Bernabè: Non credo proprio. Non vedo perché Trump dovrebbe differenziare tra i diversi paesi. Se qualcuno pensa di potersi riparare da solo sotto l’ombrello americano rompendo la solidarietà europea vuol dire che intende suicidarsi.