Il riconoscimento dello Stato di Palestina è al centro delle attenzioni europee, ma l’Italia stenta ancora a muoversi. L’intervista a Bobo Craxi, sottosegretario agli Esteri nel secondo governo Prodi.
Riconoscere lo Stato palestinese è una «necessaria scelta diplomatica», un primo passo verso la soluzione del problema. Bettino Craxi, suo padre, che seppe fare dell’Italia una protagonista in politica estera, non avrebbe lasciato che la situazione nella regione degenerasse fino al 7 ottobre. E poi i dazi e Mattarella sulla black list di Mosca: «L’Italia è amica del popolo russo e come tale ha il dovere di dire ciò che non va». Bobo Craxi, sottosegretario agli Esteri nel secondo governo Prodi, invita il governo italiano a riconoscere lo Stato palestinese.
Il premier Starmer annuncia il riconoscimento dello Stato palestinese. Mossa giusta? O solo strategia per costringere Tel Aviv alla tregua?
«Ciò che conta è che la diplomazia internazionale si sta dirigendo verso un tentativo di soluzione del conflitto e della questione annosa, la convivenza tra Israele e Palestina. Il tentativo passa anche dal riconoscimento solenne del diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. Centoquarantatré paesi delle Nazioni Unite su 193 lo hanno già fatto. Dopodiché, senza dubbio, per Starmer si tratta anche di dare risposte a problemi interni visto che i Labour hanno perso consensi per via dell’inerzia sul destino di Gaza, Jeremy Corbyn sta facendo un proprio partito, la presenza islamica nel Regno Unito è tale per cui un segnale andava dato. Verrebbe da dire, eppur si muove, e mi riferisco alla politica che decide di tentare di riportare nell’alveo diplomatico e politico la soluzione ad una controversia che è innanzitutto territoriale. E poi anche religiosa»
Ormai sono una decina i paesi europei che hanno annunciato il riconoscimento. L’Italia latita e il governo giustifica la propria posizione con la mancanza di una vera leadership con cui trattare, posto che non può essere Hamas.
«Per prima cosa noto che il ministro Tajani ha fatto in queste ore mezzo passo avanti: non solo parla di due popoli e due stati; parla anche di missione internazionale per frenare l’esodo forzato della popolazione palestinese e di non condivisione dell’azione bellica di Netanyahu. È la prima volta che sento le tre cose insieme. Non sarà tanto ma neppure poco».
Quindi quello dell’interlocutore è un falso problema?
«È un argomento di scarso valore. Il filosofo Schopenhauer diceva ‘ciò che non è, in realtà è’. Tradotto: lo Stato di Palestina esiste già, nei fatti. Del resto è paese osservatore alle Nazioni unite, è il soggetto che tecnicamente controlla due pezzi di territorio e ne contende altrettanto. La Palestina rivendica il rispetto della risoluzione Onu del 1967. Aggiungo poi che Hamas è sulla difensiva, decapitata sul piano politico e quasi annientata su quello operativo. Israele è invece molto rafforzata. Dunque l’Italia deve fare questo gesto politico – seguire Francia, Uk e gli altri – e deve farlo perché siamo stati i primi a indicare questa strada e dobbiamo assolutamente rimuovere l’anchilosi di questi due anni».
Cosa avrebbe fatto Bettino Craxi, suo padre?
«Ben prima del 7 ottobre avrebbe intuito che la situazione palestinese stava marcendo piano piano nel disinteresse generale e soprattutto internazionale. Siamo stati a lungo distratti da altri dossier, ci siamo scordati di quella guerra a bassa intensità che continuava a tenere accesi i carboni. Alcune cancellerie erano state avvertite che ci sarebbe stato un casus belli. Abbiamo tutti sottovalutato. Ora la situazione è che, per quanto sia evidente la superiorità militare di Israele, Netanyahu rischia il Vietnam pur di sopravvivere politicamente. Di contro anche le leadership islamiche si sono indebolite. Voglio dire che chiunque gestirà una auspicata fase di ripartenza non sarà stato uno dei protagonisti di questi due anni. Ci sarà un cambio tale di leadership. Anche per questo è un falso problema chiedersi con chi tratto».
Speriamo sia come dice lei. Intanto però oltre alle macerie umane ci sono quelle culturali.
«Senza dubbio e anche questo potrà avere conseguenze. Lo dissi già l’8 ottobre, all’indomani del pogrom di Hamas, e oggi guardo con orrore la radicalizzazione dello scontro culturale. Emergono radicalismi che non mi piacciono di cui l’antisemitismo e l’antiebraismo sono la parte più disgustosa. Anche per questo politica e diplomazia devono agire subito e dare segnali per la ricerca di una soluzione».
L’Italia ha aderito al fondo europeo Safe che finanzia la difesa europea e il 5% della spesa militare in ambito Nato. Lo ha fatto all’ultimo minuto possibile. Scelta giusta o stratagemma per avere fondi Ue da girare alle ditte per lo shock dazi?
«Il 5 % è una cifra enorme, che va dilazionata nel tempo ma politicamente inevitabile. In questa fase storica non c’è alternativa all’accelerazione del processo di unificazione dell’Unione europea».
La convince l’idea della colonna europea nella Nato?
«No, ma è chiaro che si va verso un riequilibrio dell’ordine mondiale e che la Ue non deve farsi travolgere. Se il nuovo assetto sarà un tavolo a tre gambe – Usa, Cina e Brics – l’Europa deve cercare in ogni modo di mantenere il proprio peso e ruolo. Anche perchè, è bene ricordarlo, questo nuovo ordine mondiale è anche un nostro successo. Il maggior peso politico ed economico di Africa, Sud America, anche l’India è il risultato delle nostre politiche intellettuali ed economiche. Dobbiamo rivendicarlo, non temerlo».
Più Europa al netto del clamoroso errore sui dazi. Come valuta la “trattativa”?
«Tutto sbagliato. Trump ci ha preso per sfinimento facendoci credere che 15 è meglio del 30% quando invece dovevano prevenirlo. Mio padre, ne sono sicuro, avrebbe trattato da potenza a potenza. Tanto per cominciare si sarebbe presentato con tutti i 27 leader della Ue e non certo su un campo da golf. Il lavoro doveva essere impostato dall’inizio in modo diverso invece abbiamo avuto un linguaggio politico e culturale compiaciuto e lusinghiero».
La notizia del giorno è il presidente Mattarella inserito da Mosca in una lista di russofobi al pari di Macron e Merz. A che punto siamo con la Russia?
«Abbiamo a che fare con la triste azione di propaganda di una storia mai finita che mette insieme il peggio dello zarismo con il peggio del comunismo da caserma. Credo che il Capo dello Stato sia sulla lista nera dei nemici di Mosca dai tempi del bombardamento di Belgrado, allora era ministro della Difesa. Però mi lasci aggiungere una cosa».
Prego
«Sono impressionato dal fatto che l’amicizia ostentata di Salvini e Vannacci con Putin non sia riuscita a produrre nulla di buono. Berlusconi dava ragione a Putin ma avrebbe fatto di tutto per trattare e trovare una sintesi. Questi invece fanno azione di fiancheggiamento, mi auguro gratuito, senza portare assolutamente nulla. Intendo dire che la Lega affiliata al partito di Putin dovrebbe essere la prima a protestare e invece passa tutto in cavalleria come fosse uno scherzo. Aggiungo anche che Mattarella e Tajani non sono nemici del popolo russo e Putin lo sa bene. Anzi, proprio perché amici così come lo siamo di Israele, sottolineiamo con forza i loro errori che ledono diritti, a cominciare dalla libertà, cui dovremmo tutti essere affezionati»