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Dazi, Parigi: «É sottomissione». Berlino sollevata

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Dividere l’Europa: la missione (riuscita) di Trump e dei suoi dazi “differenziati”: il giorno dopo l’accordo la reazione di Parigi e Berlino


«È un giorno buio quando un’alleanza di popoli liberi, uniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, decide di sottomettersi ». È sferzante il giudizio del giorno dopo dato dal Primo ministro francese Francois Bayrou in merito all’accordo sui dazi raggiunto domenica scorsa dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente americano Donald Trump. Le parole del premier d’Oltralpe suonano ancora più ruvide se paragonate al sospiro di sollievo nemmeno troppo nascosto esalato a Berlino: «Evitata un’escalation inutile», ha detto infatti il cancelliere tedesco Friedrich Merz, «L’accordo è riuscito a scongiurare un conflitto commerciale che avrebbe colpito duramente l’economia tedesca orientata all’esporta – zione. Ciò è particolarmente vero per l’industria automobilistica, dove le tariffe attuali saranno quasi dimezzate dal 27,5% al 15%» .

Dalle parole del capo di governo tedesco già si intravede quella linea di faglia che sta già dividendo il Vecchio Continente, vale a dire la differenza tra chi i dazi del tycoon li pagherà cari e chi invece eviterà bene o male il colpo. Già, perché il ventaglio “a dazio variabile” concordato a margine del green scozzese finisce nei fatti per spacchettare la grande battaglia commerciale tra Europa e America in tutta una serie di sotto-battaglie diverse sui singoli prodotti.

Per esempio, ha buone ragioni Merz per gioire a causa del citato taglio delle tariffe sull’auto, una misura che scuderà il settore dell’auto – motive tedesca (in forte crisi) dalle ricadute più gravose della crisi. Ma il mantenimento di un dazio del 50% sul settore metallurgico (acciaio e alluminio) rappresenta un rovescio non indifferente per un settore che in Europa è già ridotto al lumicino. Non a caso il tema della “differenziazione tra prodotti” è stato al centro dell’intervento del ministro per gli Affari europei francese Benjamin Haddad, che non ha esitato a parlare di un accordo «sbilanciato ».

L’intesa raggiunta «ha il merito di esentare dai dazi settori chiave per l’economia francese (aeronautica, alcolici, prodotti farmaceutici). L’accordo ha escluso qualsiasi concessione per i nostri settori agricoli sensibili. Inoltre, preserva le nostre normative europee su temi come la tecnologia digitale e l’assistenza sanitaria», ha riconosciuto il ministro francese prima di aggiungere «Ma sia chiaro: la situazione attuale è insoddisfacente e non può essere sostenibile ». Per il rappresentante di Parigi però non è solo una questione euro-americana ma soprattutto intra-europea: la «situazione insostenibile» a cui fa riferimento Haddad sembra essere soprattutto l’attuale assetto comunitario.

«Dobbiamo rivedere le obsolete politiche della Commissione Europea in materia di aiuti di Stato e concorrenza per proteggere i nostri settori critici dalla concorrenza internazionale sleale. Non possiamo essere gli ultimi a morire in una farsa di regole che nessuno rispetta più», ha detto il ministro ricordando che «il libero scambio che ha portato prosperità condivisa su entrambe le sponde dell’Atlantico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale viene ora respinto dagli Stati Uniti, che hanno optato per la coercizione economica e il completo disprezzo delle regole dell’Omc [Organizzazione mondiale del commercio, ndr]».

«Si tratta di un cambiamento strutturale. Dobbiamo trarre rapidamente le dovute conclusioni o rischiamo di essere spazzati via. Questa è una sfida economica oltre che politica. Credere di poter rispondere con concessioni non farà altro che incoraggiare la predazione esterna e il rifiuto dell’Europa all’interno dei nostri confini da parte dei nostri cittadini». Insomma, lungi dall’essere quell’agognata tregua negoziale, l’accordo Usa-Ue rappresenta un altro capitolo di quella sfida epocale che l’Europa ormai si ritrova a fronteggiare su più fronti.

A mettere in prospettiva l’intesa raggiunta ci ha pensato l’ex Commissaria al Commercio Cecilia Malmström: «Il 15% è meglio del 30%, ma la situazione dell’UE è significativamente peggiore rispetto a quattro mesi fa. La Commissione avrebbe dovuto essere più severa fin dall’inizio. Inoltre, nessuno sa quanto sia stabile questo cosiddetto accordo: le cose cambiano rapidamente alla Casa Bianca», ha detto l’ex politica svedese. La levata di scudi è stata tanto forte da indurre ieri pomeriggio anche Merz a correggere il tiro e a precisare di essere insoddisfatto dell’accordo raggiunto con gli Stati Uniti, che questo danneggerà l’industria tedesca ma che Berlino ritiene di non poter ottenere di meglio. Troppo poco e troppo tardi probabilmente. In molti Stati membri non sfuggirà come la prima presidente tedesca della Commissione europea dal 1967 abbia concluso un accordo di cui la Germania, se non la prima beneficiaria, appare essere la minor perdente.

Col rischio di alimentare dietrologie che contribuiscano ad erodere la fiducia tra i partner comunitari in un momento di difficoltà per il progetto europeo. Non a caso, i suoi nemici ne hanno subito approfittato: «Trump si è mangiato von der Leyen», ha chiosato il premier euroscettico ungherese Viktor Orban; «Gli europei dovrebbero impiccare la von der Leyen», gli ha fatto subito eco l’ex presidente russo Dmitrij Medvedev. Insomma, l’Europa si sveglia più divisa di ieri e Trump – per questo, ancora di più che per i dazi in sé – può dire di aver conseguito un altro dei suoi obiettivi.

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