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Continuano le morti a Gaza mentre Israele pensa all’annessione

I morti nella Striscia raggiungono quota 60.000 mentre a Tel Aviv si prepara la nuova fase di “assedio” a Gaza e la possibile annessione graduale dell’enclave

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Il numero di persone uccise nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra ha superato quota 60.000. A dichiararlo è stato ieri il Ministero della Salute della piccola enclave, guidato da Hamas. A far superare questa drammatica soglia, nuovi bombardamenti e nuove morti causate tanto da incidenti avvenuti durante la distribuzione degli aiuti alimentari tanto a causa della fame e della carestia in corso nella Striscia. Per quanto riguarda i morti dovuti alla fame, il numero ha superato in questi giorni i 150, tra cui si contano moltissimi bambini.

Proprio per questo motivo, l’attenzione internazionale verso la crisi alimentare nella Striscia continua ad essere altissima. Il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres è tornato ieri a denunciare lo stato di cose a Gaza, lanciando un nuovo appello a Israele e al mondo intero affinché si attuino misure anche drastiche per tentare di alleviare le sofferenze della popolazione civile della Striscia. «I palestinesi di Gaza stanno vivendo una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili. Questo non è un avvertimento. È una realtà che si sta dispiegando davanti ai nostri occhi» ha detto Guterres, prima di sottolineare che «cibo, acqua, medicine e carburante devono fluire a ondate e senza ostacoli» perché ormai «Gaza è sull’orlo della carestia».

La riunione del governo di Tel Aviv

Avvertimento ormai lanciato quasi quotidianamente dal Segretario Generale dell’Onu e da molti altri leader globali, tutti preoccupati per la situazione sul campo nella Striscia. Ma dalle parti di Tel Aviv, nonostante le timide aperture dei giorni scorsi per quanto concerne il lancio aereo di aiuti alimentari e un maggior afflusso di derrate nella Striscia, questioni di natura securitaria e militare restano predominanti sulla situazione umanitaria a Gaza.
A inizio settimana Netanyahu ha tenuto una riunione di gabinetto durante la quale i militari hanno presentato un nuovo piano per un «assedio» della Striscia di Gaza, che taglierebbe nuovamente tutti gli aiuti umanitari ai civili palestinesi e persino l’energia elettrica alle poche infrastrutture sanitarie e di supporto ancora rimaste.

Un piano potenzialmente devastante per la popolazione, già stremata da quasi due anni di continui combattimenti, assedi e privazioni. Le truppe di terra d’Israele, nonostante le condizioni terribili in cui versa la popolazione civile palestinese, pianificano inoltre nuove offensive in zone precedentemente poco colpite e nuovi assedi ai pochi villaggi usciti meno devastati dai combattimenti. Tutte queste manovre, stando a quanto riportato da Haaretz e Channel 12, servirebbero a preparare il territorio per una possibile annessione graduale della Striscia, il cui studio di fattibilità è finito sul tavolo del gabinetto proprio lunedì a seguito dell’aggiornamento della situazione sul campo.

Il piano d’annessione

Secondo le indiscrezioni della stampa israeliana, il piano presentato da Netanyahu prevede l’annessione per prime le aree nella zona cuscinetto, una zona molto estesa lungo tutto il confine con Israele e che misura, dopo le estensioni del maggio scorso, tra un quarto e un terzo del territorio di Gaza, seguite dalle aree nella Striscia settentrionale adiacenti alle città israeliane di Sderot e Ashkelon. Il processo, secondo le intenzioni del governo, continuerà gradualmente procedendo dal nord, l’area sotto maggior controllo israeliano, fino all’annessione dell’intera Striscia. Un compito difficile e che richiederà, presumibilmente, il dispiegamento di un numero spropositato di truppe di terra da parte di Tel Aviv.

Proprio per questa ragione in precedenza Netanyahu ha sempre dimostrato di non essere particolarmente entusiasta all’idea di promuovere l’annessione dei territori palestinesi, ma nel tentativo di salvare il suo governo, sembra sia ora disposto a prendere in considerazione la promozione di un piano del genere. Nei colloqui con i suoi ministri, il Primo Ministro ha affermato che il ministro per gli Affari Strategici, Ron Dermer, ha presentato il piano al Segretario di Stato americano Marco Rubio, e che l’intera operazione gode del sostegno della Casa Bianca. Nonostante questa dichiarazione, però, non è ancora chiaro se Donald Trump sia effettivamente d’accordo con un’annessione completa o piuttosto sia favorevole a un qualche tipo di presenza militare israeliana sul territorio senza annessione formale.

Conquista o programma securitario?

Del resto, come sostenuto ieri anche dal ministro della Difesa Israel Katz, per evitare la rinascita di Hamas a Gaza è fondamentale che l’Idf mantenga qualche tipo di controllo sulla Striscia. «Abbiamo bisogno che le Idf siano presenti a Gaza e nei dintorni per proteggere le comunità che potrebbero essere nuovamente attaccate, per proteggere i nostri soldati e per prevenire il contrabbando di armi e il riarmo», ha infatti dichiarato in tal senso Katz. In fin dei conti, continua Katz, «affinché Hamas non sia più efficace, l’Idf deve avere la capacità – come in Cisgiordania – di operare in sicurezza in ogni luogo».

Ma questo, come lascia forse sottilmente intendere Katz, è un tipo di operazione ben diversa da una vera annessione, che resta ad oggi assolutamente impossibile tanto sul piano militare quanto sul piano diplomatico. Annettere direttamente la Striscia, anche in maniera graduale, richiederebbe infatti uno sforzo bellico insostenibile anche solo sul medio termine, con un dispiegamento permanente di truppe sul suolo di Gaza che assorbirebbe il grosso delle forze armate israeliane. Oltre a richiedere una permanenza in servizio di una parte consistente della riserva per moltissimo tempo, con tutti i danni che questa scelta ha già dimostrato di causare sull’economia israeliana.

Il problema militare e politico

Sul piano politico e diplomatico, poi, l’annessione non farebbe che radicare ancor di più i sentimenti anti-israeliani che stanno montando in tutto il mondo, isolando forse definitivamente Tel Aviv dai suoi storici alleati e causando probabilmente riconoscimenti a cascata dello Stato di Palestina. Una scelta dunque azzardata e che non porta con sé nessun vantaggio tattico o strategico. Annettere la Striscia significa infatti compiere una complessissima operazione militare e securitaria per ottenere solo un pugno di terra ormai completamente devastata e che richiederà anni, e miliardi di dollari, per essere ricostruita.

Nel complesso, il piano presentato da Netanyahu non risulta essere nulla di realmente credibile. Probabilmente, in ottica politica, è solo una manovra pensata per rabbonire i più estremi tra i suoi ministri ed è difficile immaginare che il Primo ministro sia seriamente intenzionato a perseguire questo fine. Specialmente alla luce della difficile posizione internazionale in cui si trova oggi lo Stato ebraico.

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