Il caso Epstein ha innescato una crisi con la base del presidente. Il cospirazionismo alimentato per anni dal tycoon gli si ritorce contro
Ci sono dossier che scottano nelle stanze del potere americano e che agitano i consensi. Il caso Epstein torna a scuotere la scena politica statunitense e si trasforma, per Donald Trump, da strumento di propaganda a mina vagante all’interno del suo stesso universo ideologico. Nonostante il presidente continui a bollare le rivelazioni più recenti come «una caccia alle streghe», è evidente la crisi prodotta crisi all’interno del movimento Maga e dello stesso Partito repubblicano, dove alcune teorie cospirazioniste da tempo alimentate rischiano ora di travolgere chi ne ha fatto leva politica.
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La nuova scintilla è arrivata con la decisione del dipartimento di Giustizia di incontrare Ghislaine Maxwell, ex complice di Jeffrey Epstein, attualmente in carcere con una condanna a 20 anni per traffico sessuale di minori. L’incontro, definito «appropriato» dallo stesso Trump nonostante la sua irritazione generale sul tema, è stato reso pubblico da un comunicato del viceministro della Giustizia Todd Blanche, rilanciato su X dal procuratore generale Pam Bondi. Secondo il New York Times, Trump avrebbe viaggiato almeno sette volte sul «Lolita Express», il jet privato con cui Jeffrey Epstein portava i suoi ospiti nella famigerata isola di Little Saint James, teatro di abusi e orge con minorenni.
Nonostante l’amicizia tra i due si sia bruscamente interrotta nel 2004, a seguito di una disputa immobiliare, il legame resta uno dei punti più opachi della narrazione presidenziale. E soprattutto, rappresenta una contraddizione insanabile all’interno del trumpismo stesso. Ora, il movimento Maga (Make America Great Again), cuore ideologico della base trumpiana, è da anni alimentato da narrazioni cospirazioniste, in particolare attorno al caso Epstein. Le teorie secondo cui il finanziere sarebbe stato assassinato per impedire che rivelasse nomi di potenti pedofili, spesso identificati con celebrità liberal e leader democratici, sono diventate un pilastro del mito collettivo della destra complottista, fino a diventare mainstream.

Il motto «Epstein didn’t kill himself» («Epstein non si è suicidato», ndr.) è diventato uno slogan virale, specchio del sospetto generalizzato verso le élite e il cosiddetto Deep State. Ma ora, con il recente promemoria pubblicato da Fbi e dipartimento di Giustizia, molte delle illusioni vengono brutalmente smentite e così sommariamente riassunte: «Epstein si è suicidato, non esiste alcuna lista segreta di clienti». Una doccia fredda per chi aveva costruito su queste premesse una religione politica. La reazione non ha potuto che essere rabbiosa.
Laura Loomer, influencer estremista vicina a Trump, ha chiesto la rimozione di Pam Bondi, definendola «dannosa per l’immagine del presidente». Marjorie Taylor Greene ha invocato «chiarezza assoluta», mentre altri hanno parlato apertamente di tradimento. In un raro atto di dissenso interno, persino Mike Johnson, speaker della Camera e stretto alleato di Trump, ha richiesto la pubblicazione integrale della fantomatica lista clienti. Si sta così consumando un paradosso perfetto: il complottismo trumpiano si rivolta contro chi lo ha alimentato.
La macchina della propaganda, una volta lanciata, non può più essere controllata. Anche perché negli ultimi anni Trump stesso, così come i suoi fedelissimi, tra cui Kash Patel e Dan Bongino, oggi a capo dell’Fbi, aveva rilanciato le teorie su Epstein come strumento per colpire i nemici politici. Ora, però, le stesse teorie puntano il dito verso di lui. Elon Musk, in un post dello scorso giugno su X, aveva scritto senza mezzi termini: «La lista non viene diffusa perché contiene il nome di Trump».
Il presidente ha provato a chiudere il caso con toni sprezzanti, definendolo «vecchio e noioso», una «bufala orchestrata dai Democratici». Ma questa volta la base non sembra volerlo seguire nel ridimensionamento. Il caso si rivela così per quello che è sempre stato: una scatola nera del potere americano. Incarna la visione del mondo secondo cui le élite sono composte da pedofili impuniti protetti dalle istituzioni e, d’altro canto, serve a giustificare la figura messianica di Trump, «unto dal Signore» per salvare l’America dal male occulto.
Ma se proprio Trump dovesse risultare parte della rete, la narrazione imploderebbe. È questo il rischio esistenziale che oggi il movimento Maga affronta. Al di là di una crisi politica, si tratta di una crisi di fede, aggravata anche da recenti delusioni geopolitiche come il bombardamento dei siti nucleari iraniani, in aperta contraddizione con la promessa isolazionista del presidente. Il futuro della destra trumpiana è incerto.
Potrebbe radicalizzarsi ulteriormente, scavando ancora più a fondo nel pantano cospirazionista, oppure implodere sotto il peso delle sue stesse menzogne. In ogni caso, il caso Epstein non è affatto archiviato. Anzi, per molti americani, e soprattutto per la base repubblicana, rappresenta ancora il cuore oscuro di un potere che non conosce giustizia. E da lì, non si torna indietro.