Il pontefice si muove a 360 gradi, parlando a uno per parlare a tutti: ai protagonisti della guerra e a quelli che stanno a guardare
Assume un’importanza davvero centrale il ruolo di papa Leone XIV nella crisi di Gaza. Dopo la telefonata dei giorni scorsi del presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, ieri Papa Leone XIV è stato chiamato da quello palestinese, Mahmoud Abbas. crescono le aspettative che un eventuale negoziato tra Israele e Hamas possa essere garantito dalla neutralità della Santa Sede.
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Non c’è ancora nulla di definitivo, anche perché oggi Abbas, noto anche con il nome arabo di Abu Mazen, di fatto governa solo nella Cisgiordania, ma non nella Striscia di Gaza, dove le ultime elezioni hanno visto prevalere l’opzione estremista di Hamas. Comunque acquista sempre più interesse la possibile alternativa diplomatica, laddove l’unico attore di una concreta mediazione, con tutte le difficoltà del caso, vista anche la vicinanza con Israele, sono stati sinora gli Usa di Trump.
“Nel corso della conversazione telefonica, si legge nel comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede, il Papa ha rinnovato l’appello al pieno rispetto del diritto internazionale umanitario, sottolineando l’obbligo di proteggere i civili e i luoghi sacri e il divieto dell’uso indiscriminato della forza e del trasferimento forzato della popolazione”.
Prevost, così come aveva fatto con Netanyahu, ha poi parlato dell’urgenza di fornire aiuti ai civili della Striscia di Gaza e di fermare le violenze in Cisgiordania. Una telefonata fotocopia, potrebbe sembrare, di quella avuta con il leader israeliano, ma di fatto la ferita dell’attacco – un errore secondo quanto dichiarato da Netanyahu – alla parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza è ancora aperta e, alla condanna per quanto avvenuto nei confronti dello Stato ebraico da parte della Chiesa cattolica, si è subito aggiunta quella della comunità internazionale.
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Il rischio di un isolamento politico per Israele appare sempre più evidente e sarebbe una pietra tombale su un proficuo dialogo per la fine del conflitto. Non è un caso che l’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee, sia di recente andato a visitare un villaggio cristiano palestinese in Cisgiordania, dove i residenti accusano i coloni israeliano di aver incendiato la Chiesa di San Giorgio, il 9 luglio scorso.
Intanto Leone XIV si muove in maniera molto attiva, a 360 gradi, parlando a uno per parlare a tutti: ai protagonisti della guerra e a quelli che stanno a guardare, senza sinora riuscire a proporre nessuna efficace via d’uscita. Un possibile contatto tra Vaticano e Hamas sembra oggi improbabile, ma se avvenisse, anche in tempi brevi, non ci sarebbe da meravigliarsi. Vorrebbe dire che la diplomazia della Santa Sede sta arrivando a qualcosa di buono, pur chiamando le cose con il loro nome. All’ultimo Angelus domenicale il Pontefice ha parlato di “barbarie” in atto a Gaza.
A fare da spalla al Papa ci sono i suoi più stretti collaboratori. Una sorta di strategia circolare per portare i contendenti al dialogo. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, riprendendo le parole dal Santo Padre, ha sottolineato come ricordare le tre vittime della parrocchia di Gaza, guidata da padre Gabriel Romanelli, anch’egli rimasto ferito, vuol dire commemorare tutte le vittime di questo sanguinoso conflitto. Più diretto, senza se e senza ma, l’intervento alla Radio Vaticana del patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa.
Parlando della sua recente visita sul luogo dell’attacco israeliano, il porporato ha stigmatizzato: “Non siamo contro la società israeliana e l’ebraismo, ma abbiamo il dovere morale di esprimere con assoluta chiarezza e franchezza la nostra critica alla politica che questo governo sta adottando a Gaza”.
Parole pesanti come un macigno, che fanno capire come tutta la comunità internazionale debba seriamente impegnarsi a trovare la quadra, per portare la pace in una terra dove dovranno convivere cristiani, ebrei ed islamici, dove Terra Santa, Israele e Palestina possono essere nomi diversi di una medesima realtà geografica, dove bisogna trovare uno status accettabile per Gerusalemme, città santa per le tre religioni monoteiste. Una scommessa, che oggi sembra impossibile, ma su cui Leone XIV punta con tutte le sue forze.