Damasco e i ribelli drusi raggiungono un cessate il fuoco che sancisce il trionfo indiretto d’Israele contro i turchi alleati del nuovo governo siriano
«Abbiamo cercato di evitare di trascinare il Paese in una nuova, più ampia guerra che avrebbe potuto farlo deragliare dal suo percorso di ripresa dalla guerra civile. Abbiamo scelto gli interessi dei siriani rispetto al caos e alla distruzione». Con queste parole il presidente siriano Ahmed Al-Sharaa, noto anche come Al-Joulani, si è rivolto ieri alla sua Nazione, annunciando il ritiro delle forze governative dispiegate nei territori drusi.
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Stando al presidente, la manovra dovrebbe servire a sancire definitivamente l’entrata in vigore di un cessate il fuoco tra le parti, mediato con l’aiuto di americani, turchi e altri Paesi arabi, e la conclusione delle ostilità. Dopo meno di una settimana si chiude dunque il sanguinoso capitolo dell’insurrezione drusa, o almeno è rimandata per il momento la resa dei conti tra il governo centrale e la piccola comunità irrequieta.
I drusi manterranno, nel prossimo futuro, il controllo diretto della sicurezza dei territori dove sono maggioranza, ovvero in una buona fetta del governatorato di Suweida, in alcune zone nei pressi del Golan e in qualche villaggio a ridosso della capitale Damasco e della pianura della Ghouta. Nel concreto, il passaggio di consegne dei compiti securitari in queste aree significa la perdita di controllo diretto del governo sulle zone in questione, uno sviluppo che favorirà, quasi sicuramente, nuovi scontri e nuove frizioni in futuro.
I danni della breve guerra
Per quanto riguarda i danni causati dallo scontro appena concluso, il Syrian Network for Human Rights ha dichiarato di aver documentato almeno 193 morti nei quattro giorni di combattimenti che si sono verificati a Suweida, tra cui anche appartenenti al personale medico, donne e bambini. Il direttore dell’SNHR, Fadel Abdulghany, ha dichiarato ai media internazionali che la cifra include casi di esecuzioni sul campo da entrambe le parti, siriani uccisi da attacchi israeliani e altri uccisi negli scontri.
Tuttavia, Abdulghany ha sottolineato che ci vorrà del tempo per scomporre i dati per ciascuna categoria e per avere un quadro completo ed esaustivo del breve ma violentissimo scontro nel sud della Siria. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ente con sede nel Regno Unito, negli scontri sarebbero morte invece più di 350 persone, ma anche in questo caso mancano ancora dati certi verificabili.
Le linee di faglia della “nuova” Siria
Qualunque sia il dato finale delle perdite, comunque, non ci sono dubbi che quanto accaduto nelle regioni meridionali del Paese avrà delle ripercussioni sulla tenuta interna del nuovo e fragile governo siriano. Al-Sharaa ha dimostrato, come del resto già fatto in precedenza in occasione del massacro degli alawiti di qualche mese fa, di non poter o di non voler contenere la furia dei propri combattenti, specialmente nei combattimenti contro le varie minoranze siriane.
Agli occhi delle frange più estreme del fronte d’opposizione attualmente al potere, infatti, le comunità minoritarie sono colpevoli, così come gli stessi alawiti da cui proveniva la famiglia dominante, di aver combattuto per mantenere al potere gli Assad e il loro clan. Proprio per questo, le frizioni permangono tra sunniti e altri gruppi etno-religiosi siriani, nonostante gli sforzi dei governativi di appianare le divergenze in chiave unitaria.
Israele vincitore geopolitico della contesa
E su questi punti di frizioni insisterà ancora Israele, il grande vincitore della contesa appena conclusa a Suweida. Nei quattro giorni di scontri l’Idf ha condotto decine di raid, colpito moltissime infrastrutture e strutture critiche del governo di Al-Sharaa e martellato le forze combattenti inviate a sedare la sollevazione a sud. E tutto avendo bene in mente il suo scopo ultimo, ovvero quello d’indebolire i nuovi signori di Damasco e di renderli incapaci di nuocere, anche in potenza, agli interessi israeliani nella regione.
Sotto questo punto di vista, l’intera vicenda drusa non può che considerarsi un successo per Tel Aviv, che guadagna ora una zona cuscinetto controllata da alleati locali da frapporre tra il Golan ormai interamente occupato e le forze dei governativi siriani, supportati direttamente dal nuovo rivale geopolitico turco.
Complessivamente, dunque, una vittoria strategica non da poco per Israele e una sconfitta dolorosa tanto per i siriani quanto per i loro alleati. Forse proprio per questo motivo, più che attaccare verbalmente i drusi che pure hanno iniziato gli scontri, Al-Sharaa nel suo discorso si è scagliato contro i vicini israeliani, i quali a suo dire «stavano spingendo la questione verso un’escalation su larga scala».
Chissà che, con questo breve ma sanguinoso incidente, la linea politica di riappacificamento con Israele annunciata in passato da Al-Sharaa non venga rivalutata. Sicuramente, il breve scontro ha messo a nudo le lacune del nuovo governo in campo militare e questo aspetto, già nel medio periodo, provocherà senz’ombra di dubbio un ripensamento delle necessità strategiche del nuovo Stato siriano.