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Raid su Gaza, oltre 60 morti. Sanzioni Usa contro relatrice Onu

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi a Ginevra

Il segretario di Stato, Rubio: «Vergognosi sforzi di Francesca Albanese per spingere Corte Penale Internazionale contro funzionari Usa»

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Mentre si parla del futuro di Gaza, nella Striscia non si fermano le bombe. Almeno quindici persone sono rimaste uccise, per esempio, in un raid aereo israeliano avvenuto ieri sulla città di Deir al-Balah, tra Khan Yunis e Gaza City. Nell’attacco, stando alle dichiarazioni delle autorità locali, hanno perso la vita 10 bambini e tre donne e non sembra, almeno al momento, che nessuno dei palestinesi colpiti avesse diretti legami con la resistenza armata attiva nell’enclave.

Altri attacchi hanno interessato l’area centro-settentrionale della Striscia, il quartiere di al-Karama, a nord-ovest rispetto all’ospedale centrale di Gaza City, e alcuni centri di raduno per i rifugiati interni. In totale, solo nella Striscia, la conta delle vittime nella giornata di ieri ha superato le 60, un dato in linea con le vittime registrate anche nei giorni scorsi.

Ma anche in Cisgiordania la tensione resta altissima. Nel villaggio di Rummanah vicino a Jenin e all’incrocio dell’insediamento di Gush Etzion, vicino a Hebron, due casi di accoltellamenti hanno portato alla morte degli attentatori palestinesi, uccisi dalle forze di sicurezza israeliane oggetto dell’attacco. Hamas, commentando la vicenda, ha affermato che i due accoltellamenti contro i soldati israeliani sono il risultato dell’escalation di crimini commessi dalle forze israeliane contro il popolo palestinese nella Striscia.

E in effetti, fin dall’inizio della guerra a Gaza questo tipo di attacchi, isolati e dal basso impatto strategico, si sono verificati con crescente frequenza in Cisgiordania, un territorio altrimenti rimasto al di fuori del conflitto tra Hamas e Israele. Proprio alla luce della crescente resistenza in Cisgiordania Hamas ha rilasciato, ieri, un comunicato in cui si fa appello «ai nostri giovani eroici» affinché «intensifichino la loro resistenza in tutte le aree della Cisgiordania e di Gerusalemme e si ribellino agli aggressori per dissuaderli dal continuare i loro crimini e dal procedere con il piano di annettere la Cisgiordania».

Il progetto della “Città Umanitaria”

Sul piano delle pianificazioni post-belliche, comunque, prosegue il dibattito sul progetto israeliano di creazione di una “città umanitaria” sulle rovine della città di Rafah, particolarmente colpita nei lunghi mesi di guerra nella Striscia. In tal senso, secondo quanto riportato da Haaretz nei giorni scorsi il ministro della Difesa israeliano Israel Katz avrebbe ordinato alle Forze di Difesa di prepararsi ad approntare la gigantesca area umanitaria, che stando al piano del ministero della Difesa dovrebbe ospitare, almeno all’inizio, fino a 600.000 persone, per lo più sfollati radunatisi nei mesi scorsi nell’area di al-Mawasi.

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Il progetto di Katz ha provocato, com’era prevedibile, proteste e condanne da parte di molte organizzazioni internazionali. Giuristi, Ong e attivisti dei diritti umani hanno infatti condannato la manovra israeliana, giudicandola un vero e proprio crimine di guerra nonché un preludio ad ulteriori e più massicce deportazioni forzate della popolazione civile di Gaza. Per molti osservatori, queste manovre sarebbero solo l’inizio di un piano più ampio volto a spingere più abitanti possibili della Striscia ad emigrare definitivamente dall’enclave verso i Paesi limitrofi. Una misura più volte condannata da gran parte degli organi internazionali.

Scoppia il “caso Albanese”

E proprio nel campo delle condanne ad Israele l’altroieri il segretario di Stato americano Marco Rubio ha annunciato l’emissione di sanzioni nei confronti di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi e nota fonte di grattacapi tanto per il governo israeliano quanto per quello statunitense. Secondo Rubio la decisione degli Stati Uniti di porre la relatrice sotto sanzioni sarebbe giustificata dagli «illegittimi e vergognosi sforzi di Albanese per fare pressione sulla Corte Penale Internazionale affinché agisca contro funzionari, aziende e leader statunitensi e israeliani».

Si tratta, evidentemente, di una giustificazione atta a coprire quello che è a tutti gli effetti un attacco diretto, politicamente motivato, ad una figura fortemente critica dell’operato d’Israele, e di rimando anche di Washington, nella Striscia di Gaza. Un caso che, sebbene con le dovute differenze, ricorda da vicina quanto rivelato dal Guardian mesi fa riguardo alle presunte minacce dell’ex capo del Mossad al procuratore capo della Corte Penale Internazionale.

Stando al giornale britannico, infatti, in una serie di incontri segreti Yossi Cohen, all’epoca a capo dell’agenzia di spionaggio esterna d’Israele, avrebbe cercato di fare pressione al procuratore affinché abbandonasse un’indagine sui crimini di guerra commessi dall’Idf nei territori palestinesi. Unita al caso della Albanese il precedente delle intimidazioni alla Cpi non fa che peggiorare la posizione internazionale d’Israele, sempre più spesso accusato di tentare in tutti i modi di rendersi inattaccabile, all’estero, per il suo operato nella Striscia di Gaza e più in generale per le politiche attuate nei confronti della popolazione palestinese.

Sul breve periodo queste situazioni potrebbero influire sulla tenuta interna del governo Netanyahu, il quale subisce ormai da tempo l’assedio dell’opposizione domestica, mentre sul medio-lungo periodo potrebbero incrinare drasticamente la percezione che il mondo, e in particolare l’Occidente europeo, ha del Paese. Per questo, ora più che mai, trovare una soluzione accettabile e realistica alla guerra a Gaza è una priorità strategica e geopolitica per lo Stato d’Israele.

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