Il proprietario di Tesla punta a diventare l’ago della bilancia della politica Usa. Programma in 7 punti: taglio alla spesa a più tecnologia
Alla fine Elon Musk si è fatto il suo partito, sancendo la separazione da quel Donald Trump che lo stesso magnate si era scelto come alleato meno di un anno fa. Si chiamerà America Party (il Partito America) e nelle intenzioni dovrebbe rappresentare tutti coloro che non vogliono il trumpismo e neppure il liberalismo woke. Impresa difficile, prontamente bollata come “ridicola” dallo stesso tycoon, ormai trasformatosi da alleato in implacabile detrattore. Del resto, l’avventura inizia con un paradosso: per essere un imprenditore che ha basato la sua intera immagine pubblica sull’essere l’incarnazione vivente del futuro, dalla transizione energetica ai viaggi su Marte passando per i chip nel cervello, la sua nuova avventura politica inizia con un retrogusto di déjà vu.
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Dello stesso Trump, per cominciare, il collega tycoon/rivale che dieci anni fa salì su una scala mobile per approdare alla Casa Bianca. Ma anche quel Silvio Berlusconi che, alle italiche latitudini, trent’anni fa si dimostrò pioniere di quel tecno-populismo mediatico e personalistico oggi rappresentato anche da Musk. Un’eco che pare trasparire anche dal nome di quella che, per ora solo sulla carta, dovrebbe essere la creatura politica del magnate di origini sudafricane, quell’American Party che suona molto come una Forza Italia in salsa americana.
Per il momento comunque, del “partito del futuro” esiste solo la domanda di registrazione presentata alla Commissione elettorale federale statunitense. Il patron di Tesla ha pubblicato anche un manifesto in sette punti: ridurre il debito e la spesa pubblica; modernizzare l’esercito con l’AI e la robotica; politiche pro-tecnologia; deregolamentazione governativa, specie energetica; libertà di parola; incentivi alla natalità; misure centriste per il resto.
Come si può notare, si tratta più di intenzioni che di un programma di governo vero e proprio. Il punto centrale sembra essere il rigore nei conti pubblici, come dimostrato dal contestato Big beautiful bill, che ha tagliato le tasse ai ricchi riducendo l’assistenza sanitaria e aumentando il debito pubblico. Proprio su questo tema Musk e Trump hanno rotto. Ora Musk punta a contrastarlo non con una candidatura, che gli è preclusa perché non nato negli USA, ma con l’elezione di un piccolo gruppo di parlamentari decisivi.
Citando il generale tebano Epaminonda, Musk ha detto di voler concentrare i suoi sforzi in pochi stati chiave per eleggere deputati e senatori in grado di fare da ago della bilancia. Secondo i suoi calcoli, basterebbero 2-3 seggi al Senato e 8-10 alla Camera per contare davvero. Più che una rivoluzione, appare però come l’ennesima operazione da “partitino personale”, simile a dinamiche ben conosciute nella politica italiana.
Secondo alcuni, Musk starebbe cercando di proteggere i suoi interessi industriali. Trump lo accusa infatti di aver fondato il partito solo dopo la cancellazione dei sussidi alle auto elettriche, vitale per Tesla. I titoli dell’azienda sono crollati dell’8% dopo l’annuncio dell’America Party. Se Musk voleva dimostrare di non agire per salvare i suoi affari, forse ci è riuscito: proprio la sua discesa in politica potrebbe metterli in pericolo.