La lettera, scritta da 11 poeti, consiglieri, attivisti e sostenuta dal Premio Nobel Dmitry Muratov, è stata diffusa il 3 luglio dalla Reuters
L’hanno scritta in undici, dal fondo delle prigioni russe. Alcuni sono poeti, altri consiglieri municipali, altri ancora semplici attivisti: hanno osato opporsi al regime di Putin e alla guerra di conquista che questi ha scatenato contro l’Ucraina. Ora, da dietro le sbarre, lanciano un appello al mondo: chiedono che il loro rilascio – e quello di migliaia di altri come loro – sia incluso nei negoziati di pace tra Mosca e Kyiv. Ma soprattutto chiedono che l’opinione pubblica internazionale si ricordi che esistono. La loro lettera, sostenuta anche dal Premio Nobel Dmitry Muratov, è stata diffusa il 3 luglio dalla Reuters.
«In Russia oggi non esistono giustizia né equità; chiunque osi pensare in modo critico può finire in carcere», scrivono i dissidenti. Una testimonianza di coraggio civile che contiene un duplice atto d’accusa. Il messaggio, infatti, denuncia certo il sistema corrotto e repressivo di Putin, ma indirettamente dice anche molto sulla cecità di una parte non piccola dei nostri intellettuali e dei nostri attivisti per la pace, nei cui appelli, articoli, perorazioni, uscite televisive, quasi mai abbiamo trovato un riferimento ai dissidenti russi, schiacciati dal peso delle torture e dei processi farsa.
Anzi, da quando è cominciato il conflitto ucraino, se c’è da biasimare qualcuno, questi intellettuali scelgono di incolpare il cattivo Occidente, i leader europei «bellicisti», la Nato o la politica degli Stati Uniti. Putin, colui che ha invaso uno Stato sovrano e lo bombarda giorno e notte, resta piuttosto sullo sfondo. Addirittura – dicono – lo zar è stato provocato. Si organizzano marce per una pace neutrale, che non costa nulla ed evita accuratamente l’indirizzo delle ambasciate russe. I loro colleghi intellettuali che in Russia ci vivono, invece, conoscono bene come vanno le cose a Mosca, e guarda caso hanno un’idea ben diversa sulle responsabilità.
Come se non bastasse, il notabilato intellettuale nostrano affetto da strabismo ideologico, ama autopercepirsi come dissidente, descriversi costantemente «in direzione ostinata e contraria» e denunciare di continuo minacce alla propria libertà: c’è sempre una «deriva autoritaria» sul punto di arrivare o un «pensiero unico» contro cui lottare. Sappiano costoro che appena fuori dalla bolla narcisistica e conformista in cui vivono tranquilli, ad esempio in Russia, nessuno di loro potrebbe esprimere neppure un quarto delle proprie idee senza rischiare il lavoro, il carcere o la vita.
Nella lettera si legge dell’uso sistematico della tortura, della totale assenza di un processo equo, della pratica abituale di prolungare le pene attraverso accuse inventate e denunce orchestrate. Non si punta solo a spegnere le voci dei resistenti, ma a fiaccarne il morale e a terrorizzare chi vorrebbe solidarizzare. Non è distopia, non è metafora, non è invenzione. È ciò che accade ora.
Succede ad Alexei Gorinov, ex consigliere municipale di Mosca, in carcere per aver ricordato, durante una riunione, che «in Ucraina stanno morendo dei bambini». Succede a Darya Kozyreva, solo 19 anni, che si è presa una condanna a 2 anni e 8 mesi per dei graffiti e delle strofe contro la guerra. Succede ad Artem Kamardin, poeta, torturato e violentato dopo una lettura pubblica. Succede ad Azat Miftakhov, giovane matematico, ancora detenuto per il suo attivismo politico.
Succede, a loro e a tanti altri, ciò che aveva raccontato nelle sue inchieste la giornalista ostile al regime di Putin, Anna Politkovskaya, prima di essere assassinata a Mosca. In un suo libro aveva scritto: «Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà quanto voi». Il suo grido, e quello di tanti altri, continua ad essere ancora sostanzialmente ignorato da una parte dei nostri intellettuali, rapiti da una delle varianti più funeste del kitsch culturale: demolire per il gusto di demolire.
Intanto, mentre loro prendono a martellate la liberaldemocrazia (che certo può e deve essere criticata), gli intellettuali veri vengono imprigionati, uccisi, umiliati.