Il provvedimento supera il vaglio della Camera per soli due sì. Fallisce dopo otto ore l’ostruzionismo dei democratici
I repubblicani si ricompattano e seguono la linea di Donald Trump. Il Big Beautiful Bill, dopo giorni di discussioni, è ormai in dirittura d’arrivo. Il primo importante tassello della manovra, il voto procedurale necessario ad avviare la votazione finale sul Bbb, è passato, nella notte tra mercoledì e giovedì, con 219 voti a favore e 213 contrari.
Alla fine delle lunghe negoziazioni interne al partito Repubblicano solo due degli “elefanti”, il deputato Thomas Massie del Kentucky e il suo collega Bryan Fitzpatrick della Pennsylvania, si è unito ai democratici votando contro il volere del presidente. Prima dell’ultima approvazione anche altri cinque repubblicani avevano votato “no”, tra cui Keith Self del Texas, Victoria Spartz dell’Indiana e Andrew Clyde della Georgia, mentre altri otto si sono astenuti. Grazie agli sforzi dello Speaker Mike Johnson, repubblicano della Louisiana, il blocco trumpiano è però riuscito a convincerli a dare il loro assenso finale all’avvio delle votazioni e a serrare i ranghi del partito sulla manovra. A fatica e per il rotto della cuffia il Big Beautiful Bill passa dunque alla votazione finale per l’approvazione.
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Lo scenario a cui si è assistito alla Camera ha ricordato da vicino quanto già successo nei giorni scorsi nella camera alta del Congresso, il Senato. Durante le votazioni al Senato a rompere lo stallo è stato il vicepresidente J. D. Vance, il quale ha espresso il voto decisivo per far passare la misura lo scorso martedì dopo ore di tese negoziazioni durate tutta la notte. Il voto finale è infatti arrivato solo dopo consultazioni e lavori durati tutto il fine settimana e dopo una maratona di 27 ore al Senato in cui sono stati votati gli emendamenti alla misura. Ma nonostante gli sforzi titanici dei fedelissimi di Trump per convincere i refrattari a sostenere la manovra, le assenze illustri sono state comunque molte. A votare contro la misura, infatti, anche i senatori repubblicani Thom Tillis, Rand Paul e Susan Collins, oltre ovviamente a tutti i senatori democratici.
Proprio per evitare la stessa empasse verificatasi al Senato l’intera amministrazione, e tutti i deputati “trumpiani”, hanno lavorato per giorni cercando di far pressione ai meno convinti tra i repubblicani alla Camera. Anche lo stesso presidente si è impegnato molto, in prima persona, per tentare di persuadere i più reticenti tra i deputati repubblicani. Mercoledì, in tal senso, ha tenuto diversi incontri alla Casa Bianca nella speranza di convincere gli “zoccoli duri” dell’opposizione al Big Beautiful Bill.
Tra i deputati visti entrare alla Casa Bianca c’erano i rappresentanti repubblicani Jeff Van Drew, Rob Bresnahan, Dusty Johnson, Dan Newhouse, Mike Lawler e Andrew Garbarino, tutti facenti parte del cosiddetto “Main Street Caucus”, un gruppo di deputati che si autodefiniscono conservatori “pragmatici”, vale a dire concentrati sul portare a termine le cose. Evidente, in questi incontri, l’intento di Trump: affascinare con le sue solite maniere istrioniche i più incerti tra i suoi parlamentari per spingerli a votare a favore del Big Beautiful Bill. E per ottenere il loro supporto il Presidente non si è fatto particolari scrupoli.
Molti dei parlamentari arrivati alla Casa Bianca, stando alle fonti del New York Times, se ne sono andati dalla struttura portando con sé gadget firmati, foto nello Studio Ovale e altri “regali”. Una scena che potrebbe apparire comica ma che potrebbe aver provocato l’effetto sperato da Trump: secondo il NYT, infatti, molti dei parlamentari entrati alla Casa Bianca ne sono usciti con un’opinione migliore della misura fortemente voluta dal tycoon.
Dopo l’approvazione del voto procedurale, però, parte della Camera ha continuato a fare ostruzionismo in vari modi per rallentare le procedure di voto. Il democratico Hakeem Jeffries, leader del partito alla Camera e deputato di New York, ha parlato per più di otto ore all’assemblea, raggiungendo il record per il discorso più lungo tenuto alla Camera. Durante il suo lungo intervento Jeffries ha più volte accusato la Camera di essere «una scena del crimine» e ha rimproverato i suoi colleghi per aver ceduto alle pressioni della Casa Bianca. Il deputato ha inoltre denunciato con forza i tagli previsti a Medicaid, l’assistenza medica prevista per i meno abbienti, e ai sussidi alimentari Snap, leggendo testimonianze di cittadini che verrebbero colpiti negativamente dalle modifiche in molti stati americani.
La lunga tirata di Jeffries si è resa necessaria, almeno stando a quanto riportato dai media americani, per tentare di allungare i tempi per l’approvazione del Big Beautiful Bill oltre il termine ultimo posto dal presidente Trump, ovvero il 4 luglio, festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Non appena capito che i repubblicani avevano trovato la quadra e riportato all’ovile i deputati “ribelli”, infatti, i democratici hanno deciso di tentare il tutto per tutto per far sfigurare in extremis il presidente. L’unica strada rimasta ai democratici per colpire politicamente il tycoon era quella di sbugiardare le sue promesse, facendo slittare la data di ratifica oltre il termine previsto, e assicurato, dal presidente.
E l’impresa di continuare a parlare per ore e ore, al Congresso, non è così impossibile come dimostrano molti casi storici, l’ultimo dei quali avvenuto solo pochi mesi fa. Tra il 31 di marzo e il primo di aprile il senatore democratico Cory Booker, del New Jersey riuscì infatti a bloccare il Senato per esattamente ventiquattr’ore e cinque minuti, conquistando il record per l’intervento più lungo nella storia della camera alta degli Stati Uniti. Booker bloccò il Senato in segno di protesta contro la presidenza di Donald Trump e alcune delle sue annunciate misure di politica interna, molte delle quali sono state attaccate anche da Jeffries durante il suo discorso. Anche a fronte dell’impresa di Jeffries, comunque, i repubblicani hanno avuto tutto il tempo per far passare la misura entro il limite temporale imposto loro dal tycoon.
Al netto di tutte le complicazioni sopraggiunte negli scorsi giorni, dunque, Trump è riuscito consolidare il partito e a far passare la sua misura più attesa e divisiva sul piano politico. Tuttavia, non nei modi né nei tempi da lui desiderati e questo fatto è un chiaro segnale che il programma politico del tycoon resta controverso anche tra le fila dei repubblicani. Quanto questo aspetto influirà sulla capacità di governare di Trump sul lungo periodo, però, è ancora un’incognita.