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Bombe su Gaza, fonti: “Hamas vicina ad accettare la tregua”

La Striscia di Gaza

Dopo il fallimento del precedente cessate il fuoco, a marzo, oltre 6.000 persone hanno perso la vita e la crisi umanitaria è peggiorata

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Non si fermano i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. Stando alle dichiarazioni del personale sanitario locale, ieri almeno 15 palestinesi sono stati uccisi in attacchi notturni contro due tende che ospitavano sfollati nella zona meridionale di Khan Younis. Si tratta solo dell’ultima tornata di raid aerei molto violenti che nella settimana sono tornati ad infiammare la piccola enclave palestinese, ormai ridotta pressoché completamente in macerie. Nonostante le devastazioni subite nel corso di quasi due anni di guerra, però, l’intera area di Gaza resta un fronte aperto e decisamente caldo, come dimostrano anche le perdite subite dall’Idf in settimana.

L’intensificarsi degli attacchi e delle manovre militari israeliane a Gaza va di pari passo con la ripresa dei contatti tra i due principali attori in campo, vale a dire Hamas e lo Stato d’Israele. L’organizzazione palestinesi ha infatti fatto sapere, nella mattinata di ieri, di aver aperto le discussioni con gli altri gruppi militanti della Striscia in vista di un possibile cessate il fuoco con gli israeliani.

Hamas, stando a quanto riportato dai media locali, sarebbe particolarmente favorevole al raggiungimento di un accordo immediato con Tel Aviv e forse l’aumento dell’intensità degli attacchi israeliani registrato negli scorsi giorni è solo un modo, da parte dell’Idf, per fare ulteriori pressioni sui gruppi più recalcitranti del fronte della “resistenza” palestinese. Alcune sigle, infatti, sarebbero molto meno propense di Hamas ad accettare un nuovo cessate il fuoco, specialmente qualora non preveda uno stop definitivo alla guerra e un parziale ritiro dell’Idf dalla Striscia.

Si alza del fumo dopo un attacco aereo israeliano

Nella dichiarazione rilasciata venerdì mattina, Hamas ha comunque affermato di stare discutendo con tutti i leader delle altre fazioni palestinesi la proposta ricevuta da qatarini ed egiziani e di essere intenzionato a consegnare una «decisione definitiva» ai mediatori al termine delle consultazioni. Forse, si avrà una risposta finale sulla questione del cessate il fuoco persino entro l’inizio della prossima settimana. Che le tempistiche per il raggiungimento di un accordo siano brevi lo conferma, del resto, anche il presidente americano Donald Trump, il quale ha affermato che si raggiungerà un accordo entro la fine del weekend.

Per quanto riguarda i contenuti, la proposta presentata ad Hamas dovrebbe prevedere l’inizio di un periodo di 60 giorni di cessate il fuoco e il rilascio graduale di 10 ostaggi israeliani ancora vivi e dei corpi di altri 18 ostaggi, in cambio di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Durante questi 60 giorni di tregua, entrambe le parti dovrebbero impegnarsi in trattative che portino alla completa cessazione delle ostilità, e, almeno secondo i desiderata palestinesi, al ritiro quasi totale dell’Idf. Questo punto resta infatti molto importante per Hamas, così come restano fondamentali la riapertura dei canali di afflusso degli aiuti umanitari alla popolazione gazawi.

Sulla questione del ritiro e sulla cessazione definitiva delle ostilità, però, in Israele persistono forti dubbi. Una parte dell’alleanza di governo che sostiene il primo ministro Benjamin Netanyahu, infatti, continua a far pressioni per continuare a combattere fino alla completa annessione di Gaza e degli altri territori palestinesi. Mercoledì, per esempio, il ministro della Giustizia israeliano Yariv Levin ha invitato il governo ad accelerare l’annessione legale della Cisgiordania, dichiarando che «questo periodo offre un’opportunità storica che non dobbiamo perdere». Le dichiarazioni di Levin sono arrivate durante l’incontro con il capo di un consiglio dei coloni. Secondo Levin l’annessione della Cisgiordania è essenziale per la sicurezza di Israele e per il suo futuro visto che, a suo modo di vedere, la West Bank non è «solo il cuore del Paese, ma anche una cintura di sicurezza per lo Stato».

Giovedì, invece, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha rinnovato il suo appello per l’occupazione totale della Striscia di Gaza, la cessazione degli aiuti umanitari e l’espulsione dei palestinesi dall’enclave. Un appello più volte lanciato anche dal collega Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze. A seguito di queste dichiarazioni e per evitare che i membri dell’estrema destra del gabinetto del primo ministro tentino di ostacolare l’imminente cessate il fuoco e l’accordo di rilascio degli ostaggi minacciando Netanyahu, il leader d’opposizione Benny Gantz si è unito a Yair Lapid nell’offrire al premier una rete di sicurezza politica. I due importanti politici hanno garantito, in buona sostanza, il sostegno necessario a Netanyahu per mantenere in piedi il governo qualora i più oltranzisti tra le fila del suo governo dovessero tentare di far cadere la coalizione di maggioranza per impedire la fine della guerra. «Non esiste blocco al mondo che fermerà il ritorno degli ostaggi», ha commentato in merito Gantz.

Tanto a Gaza quanto a Tel Aviv, dunque, dovrebbero esserci le possibilità politiche e materiali per raggiungere un accordo soddisfacente per fermare le ostilità nella Striscia. Hamas deve solo convincere le altre sigle palestinesi, minoritarie e in condizione di sudditanza rispetto all’organizzazione che domina Gaza, mentre in Israele Netanyahu può contare su un campo larghissimo per far passare la misura senza perdere il controllo del governo. È sulla volontà politica di raggiungere un cessate il fuoco, semmai, che persistono ancora delle incertezze. Incertezze che però, dopo venti mesi di brutale guerra, cedono sempre più il passo alle tanti voci che in entrambi gli schieramenti chiedono l’arrivo definitivo della pace.

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