L’anziano leader spirituale tibetano vuole impedire a Pechino di approfittare del vuoto di potere che potrebbe crearsi dopo la sua morte. la scelta resterà di esclusiva competenza dei membri del Gaden Phodrang Trust
Il Dalai Lama ha annunciato che, alla sua morte, sarà nominato un successore per garantire la continuità della sua guida spirituale alla comunità tibetana. Ha inoltre ribadito che solo il suo ufficio ha l’autorità per riconoscere la futura reincarnazione, escludendo categoricamente qualsiasi ingerenza da parte della Cina.
“La mia istituzione continuerà”, ha dichiarato in un messaggio letto nel monastero di McLeod Ganj, a Dharamsala, in India, dove vive in esilio dal 1959, dopo l’invasione cinese del Tibet. Il processo di riconoscimento del prossimo Dalai Lama, ha precisato, sarà gestito esclusivamente dal Gaden Phodrang Trust, l’Ufficio di Sua Santità, unico organismo autorizzato in materia. Secondo Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, “nessun altro ha l’autorità di interferire in questa questione”, escludendo esplicitamente ogni legittimità del governo cinese nel processo.
Tradizionalmente, la ricerca del nuovo Dalai Lama inizia solo dopo la morte di quello in carica e può richiedere anni per identificare il bambino ritenuto la sua reincarnazione, oltre a un lungo periodo di formazione. Il timore, espresso dallo stesso Dalai Lama, è che la Cina approfitti del vuoto per imporre un proprio candidato e cancellare il movimento per l’autonomia tibetana.
Nella dichiarazione video registrata durante l’incontro con alti monaci, il Dalai Lama ha fornito pochi dettagli ma ha lasciato intendere che il suo successore potrebbe nascere in un Paese libero, forse tra i circa 140.000 tibetani in esilio, la metà dei quali vive in India. Ha anche aperto alla possibilità di nominare un successore già in vita ed espresso la disponibilità al fatto che non sia necessariamente un bambino, rompendo secoli di tradizione. Ulteriori chiarimenti potrebbero arrivare il 6 luglio, in occasione del suo 90° compleanno.
Pechino considera il Dalai Lama un separatista e, nel corso dei decenni, ha cercato di assorbire le istituzioni religiose tibetane nel sistema statale, nel tentativo di cancellare la cultura tibetana e integrarla sotto il controllo del Partito Comunista. Una portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che la reincarnazione deve essere approvata dal governo centrale e i media statali hanno reagito in modo critico, sostenendo che la reincarnazione non può essere decisa da un singolo individuo.
Il Global Times, organo del Quotidiano del Popolo, ha accusato il Dalai Lama di voler manipolare il processo di reincarnazione per fini politici e personali, e ha ribadito che l’identificazione del successore debba avvenire tramite l’antico metodo dell’estrazione da un’urna d’oro, secondo le regole introdotte nel 1792. Alla luce del crescente controllo del Partito Comunista sulle religioni, si fa sempre più concreta l’ipotesi che in futuro possano esserci due Dalai Lama: uno riconosciuto da Pechino e uno dal governo tibetano in esilio.