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Israele accusa il leader del partito arabo: “Odeh verso l’espulsione”

Via libera al procedimento contro l’esponente arabo-israeliano, l’opposizione vota con Netanyahu

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«Alcuni di loro ci odiano più di quanto amino la democrazia. Questa non è un’opposizione, è una coalizione mascherata». Nel primo pomeriggio di ieri queste sono state le parole di Ayman Odeh, leader del partito arabo-israeliano di sinistra Hadash-Ta’al, dopo aver appreso la notizia che la commissione della Knesset incaricata di valutare un potenziale impeachment a suo carico si era espressa in senso favorevole.

Su 16 membri della commissione, ben 14 hanno votato a favore dell’impeachment, e tra questi figurano anche importanti esponenti dell’opposizione all’attuale governo.

Il noto politico arabo-israeliano dovrà ora affrontare un voto cruciale in Parlamento: con 90 voti favorevoli su 120 complessivi, rischia di essere espulso dalla Knesset e di perdere il suo seggio.

A mettere a rischio la sua posizione è stato un commento rilasciato ad inizio anno relativo a uno dei primi scambi di prigionieri tra Israele e il gruppo terroristico palestinese Hamas. In quell’occasione, Odeh si era detto felice per il raggiungimento di un cessate il fuoco — successivamente rotto da Israele —e per il rilascio di quelli che definì dei «prigionieri». Un commento che, visto il clima politico tesissimo che caratterizza Israele ormai da mesi, suscitò forti reazioni tra molti parlamentari israeliani. Il Likud ne chiese l’impeachment sulla base di una legge del 2016, che prevede la possibilità di espellere dalla Knesset i membri ritenuti colpevoli di «razzismo» o di «sostegno a gruppi eversivi». E dopo mesi di dibattiti e commissioni, ieri il desiderio del partito di Netanyahu si è concretizzato. Ora Odeh dovrà affrontare la Knesset e sperare di riuscire a compattare parte dell’opposizione per “fare muro” contro la proposta. Un compito non facile, considerando che negli ultimi mesi Odeh è stato al centro di numerose polemiche per altre dichiarazioni controverse.

Solo poche settimane fa, per esempio, è finito nuovamente nell’occhio del ciclone per alcune affermazioni pronunciate durante un comizio ad Haifa. In quell’occasione, ha infatti dichiarato che «Israele è diventato uno stato paria in tutto il mondo, tra tutte le nazioni e in Occidente». Parole che sembrano ricalcare, quasi alla lettera, quelle usate da Yair Golan, capo del Partito Democratico israeliano e critico degli eccessi dell’IDF a Gaza, il quale aveva detto a inizio giugno che «Israele è sulla buona strada per diventare uno stato paria, come lo era il Sudafrica, se non torniamo a comportarci come un Paese sano».

Ma Odeh è andato ben oltre la linea già tracciata da Golan, affermando anche che la guerra in corso nella Striscia «è una sconfitta storica per l’ideologia di destra che è stata annientata a Gaza. Gaza ha vinto e Gaza vincerà». Un commento, soprattutto quest’ultimo, che ha urtato anche i membri più moderati dell’opposizione a Netanyahu.
«Uno dei motivi per licenziare un parlamentare è l’incitamento al razzismo, e io vi dico che l’antisemitismo è razzismo. Chiunque gridi “Gaza vincerà” durante una guerra non merita di sedere nella Knesset israeliana», ha dichiarato Pnina Tamano-Shata, parlamentare di Unità Nazionale. Benny Gantz, leader del partito, ha tuttavia frenato sull’eventualità che il suo gruppo parlamentare voti compatto per l’impeachment, annunciando che prima ci sarà «un dibattito tra i membri» per valutare la questione. Ma è evidente che le posizioni assunte da Odeh sulla guerra, molto più radicali rispetto a quelle di altri partiti critici dell’esecutivo, gli abbiano procurato ben pochi alleati.

Il leader arabo-israeliano ha duramente criticato la convergenza tra partiti di destra nazionalista e oppositori di Netanyahu, dichiarando che «l’opposizione oggi ha oltrepassato una linea rossa. Invece di combattere il governo, ha collaborato con esso, schiacciando lo spazio democratico». Il politico ha inoltre lanciato un appello alla difesa delle istituzioni democratiche del Paese, sotto attacco da parte di coloro i quali «vogliono sottomettere il sistema giudiziario, mettere a tacere le voci critiche e trasformare Israele in una dittatura messianica».

Alla luce dei numeri alla Knesset, comunque, la possibilità che la mozione per l’impeachment venga approvata non è affatto remota, soprattutto se i partiti di Yair Lapid e Benny Gantz decidessero, anche solo in parte, di appoggiare l’iniziativa del Likud.

Se Odeh dovesse essere espulso dalla Knesset, rappresenterebbe un chiaro segnale della deriva illiberale che l’attuale governo israeliano ha intrapreso con l’aggravarsi del conflitto a Gaza e in Medio Oriente. Un’espulsione motivata non da atti concreti di sostegno al terrorismo, ma da opinioni politiche, aprirebbe infatti un precedente molto pericoloso per la democrazia israeliana, già sotto assedio da anni da parte delle varie forze estremiste che dividono il governo con il Likud di Netanyahu. In tal senso, il caso di Odeh non è che l’ultimo esempio di un processo in corso fin dalla salita al potere di Bibi. Un processo che potrebbe mutare radicalmente l’aspetto della democrazia nello Stato d’Israele.

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