Le destre, specie in Italia, si affrettano a celebrare Donald Trump “statista”, addirittura “stratega” la cui leadership aiuta a fare ordine in questo mondo disordinato. Le sinistre, non solo in Italia, attaccano a testa bassa: “I leader europei venduti a Trump”, l’unico “con gli attributi che gli ha tenuto testa è stato Sanchez”. Perché, dicono Schlein, Bonelli, Fratoianni e Conte, “Meloni non ha fatto come il premier spagnolo?”.
Mettendo la giusta distanza dai fatti, cercando di leggerli senza ideologia, può essere invece che Trump sia stato illuso e compiaciuto ma poi alla fine faccia quello che serve all’Europa. Che la sua “leadership da pacificatore e condottiero del mondo” sia solo una narrazione di comodo.
L’annuale summit della Nato è stato per mille motivi la cartina di tornasole di attese, aspettative, decisioni per nuovi e vecchi assetti. Per capire chi ha vinto e chi ha perso, occorre fissare punto di partenza e obiettivi.
Il punto di partenza sono cinque mesi di governo Trump in cui l’ipotesi di lasciare l’Alleanza atlantica è stata dannatamente molto seria. L’Europa senza Washington in questo momento di minaccia russa sul campo e di minacce ibride da un po’ ovunque non saprebbe cosa fare e dove andare perché impreparata e non attrezzata.
L’obiettivo numero uno dunque per i 31 paesi dell’Alleanza (27 europei più UK, Canada e Turchia) era trattenere Trump saldo nella Nato, tutelare almeno quest’ultimo baluardo di multilateralismo. A qualunque costo.
Missione compiuta, nel senso che ha vinto l’Europa. Trump infatti, coccolato dai reali olandesi che lo hanno fatto dormire negli appartamenti reali, vezzeggiato da Rutte che lo ha chiamato “daddy” e ne ha lodato la leadership nel famoso messaggio whatsapp che è rimasto segreto giusto il tempo dell’invio, appagato dal documento dove balza agli occhi “5% Gdp for defence capability”, ha detto di essere “decisamente” dentro l’Alleanza dove ha trovato “persone speciali” che hanno fatto “qualcosa di straordinario perché io l’ho preteso”, cioè portare la spesa militare al 5% del pil nazionale.
“Solo uno – secondo la versione di Trump – si è rifiutato, la Spagna, paese che amo ma che pagherà caro questa decisione perché pagheranno il doppio dei dazi rispetto agli altri”.
Alla vigilia del summit Trump era arrivato persino a mettere in dubbio l’articolo 5 del Trattato, quello che fissa il principio dell’assistenza comune e difensiva a un membro sotto attacco. Principio “sacrosanto” ha specificato a domanda diretta.
Salva la Nato. Soprattutto salva, almeno per ora, l’Ucraina. Anche questo era un obiettivo primario dell’Unione e del G6 appena concluso. Senza gli Usa, Kiev e l’Europa non sarebbero in grado di supportare lo sforzo bellico sul campo e neppure logistico e d’intelligence. Serve tempo, due-tre anni almeno nonostante Kiev abbia acquisito in meno di tre anni una capacità militare “impressive” (cit., tra gli altri, Von der Leyen).
Esaltato dal 5%, Trump non ha voluto definire “aggressore” la Russia ma è arrivato ad ipotizzare la consegna a Kiev delle batterie antimissile Patriot. Con Zelensky hanno parlato di “produzione militare in loco”. Il summit Nato porta 35 miliardi di aiuti a Kiev. Nel 2024 erano stati venti. Anche questa è una vittoria.
Il punto è questo: se presenti tutto come un “deal” che va a soddisfare il suo ego ipertrofico, Trump è contento, si sente il pifferaio magico che mette in fila gli alleati ed è convinto di aver vinto. Poi però magari soddisfa anche altri contraenti.
Per il presidente Usa è un deal, certamente, il 5% di investimenti in spesa militare e per la difesa: triplica la spesa degli europei (Trump ha quasi “contato” i circa 544 miliardi che ogni anno gli alleati dovranno investire, “stupefacente” ha chiosato) e però bisogna vedere se, come e quando tutto questo succederà.
L’accordo infatti fissa una sola scadenza temporale (il 2035), il 2029 come “data di verifica” e garantisce molta flessibilità anno per anno e nella tipologia degli investimenti specie per quel 1,5% del totale che dovrà tradursi – e questa è la grande sfida dei paesi europei, a cominciare dall’Italia – nelle mille facce che il concetto di sicurezza può assumere: hi tech, IA, dual use, infrastrutture e quindi anche pil e lavoro di qualità.
L’ “eccezione spagnola”, che Trump non ha capito, è in realtà un’eccezione che vale per tutti, Stati Uniti compresi che intendono restare al 3,3%. Indicare “alleati” generico invece che “noi alleati” lascia lo spazio a chiunque di poter modificare i termini dell’accordo se necessario.
Sanchez ha preferito dirlo subito per tenere bada l’opinione pubblica interna. Gli altri potranno dirlo dopo. Tutti sono convinti – e questa è la vera svolta – che l’Europa deve poter fare sempre più da sola.
In Italia la sinistra è già sulle barricate. Ma anche il pacifismo deve diventare sostenibile e fare i conti con la necessità della difesa e della deterrenza.