L’ex procuratore generale della Corte di Cassazione è tra i soci fondatori del Comitato nazionale ‘Sì Riforma’
Il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere non è politico, «non è come andare a votare per i membri del Parlamento»: chi sceglie di schierarsi per il Sì deve avere come unico faro la «tutela di ogni cittadino». L’ex procuratore generale della Corte di Cassazione Luigi Salvato, tra i soci fondatori del Comitato nazionale ‘Sì Riforma’, in questa lunga intervista spiega le ragioni per cui ha deciso di impegnarsi a favore della riforma. Un Sì che oggi ha un peso enorme dopo una lunga carriera svolta con riserbo e silenzio, che chi esercita la giurisdizione, dovrebbe avere come cardine di una bussola spesso disorientata.
Procuratore, il suo Comitato nel fronte del sì ha suscitato una certa apprensione negli ambienti non solo della Cassazione, ma della magistratura associata. Nessuno si aspettava che l’ex procuratore generale, mettesse il proprio nome su questa battaglia civile…
«Innanzitutto io credo di essere stato tra i magistrati più riservati per tutto il corso di 45 anni di carriera. Solo nelle recenti interviste ho espresso la mia posizione: adesso non indosso più la toga. Oggi sono un cittadino, non ho più gli obblighi che mi derivano dalla funzione e certo posso esercitare la libertà di manifestazione del pensiero e partecipare al dibattito, come ogni cittadino. Ho studiato, ho visto quali sono i contenuti della riforma, e dico fermamente che mi sembrano esagerati gli allarmismi e i toni apocalittici attorno alla riforma. Una riforma che non elimina tutti i mali della giustizia, ma certamente non è contro la magistratura, anzi rafforza la fiducia nella stessa ed è rivolta al cittadino».
C’è chi ha fatto circolare un video in cui lei esprimeva delle critiche nei confronti della riforma. Come ha modificato questo suo atteggiamento?
«Partiamo dal presupposto che ho detto sempre, fin dall’inizio, davanti alla Commissione Affari Costituzionali della Camera (il 23 luglio 2024) e allora ricoprivo il ruolo di pg, che a mio avviso la riforma non intacca i principi della Costituzione e che la titolarità del potere di scelta è in capo all’istituzione, massima espressione della rappresentanza politica, il Parlamento. Sul merito di alcuni aspetti ho espresso dei dubbi, non una preclusione di principio alla riforma. Il primo, in cui chiedevo ‘ma non diventano addirittura troppo potenti i pubblici ministeri?’, e in secondo e terzo luogo avevo perplessità sul sorteggio e sull’alta corte disciplinare, sulla quale io non sono mai stato pregiudizialmente contrario».
In un primo momento la propaganda contro la riforma era che il pm passa sotto l’egida dell’esecutivo, poi si è visto che così non era e allora si è incominciato a dire che il pm diventa troppo forte, un poliziotto fuori controllo. Ma non è già così in molte Procure?
«Abbiamo sgomberato il campo dalla tesi che il pm finisca sotto l’esecutivo perché le nuove norme lasciano immutate l’appartenenza ad un ordine, autonomo e indipendente da ogni altro potere, con le stesse garanzie di oggi. La riforma costituzionale secondo me è una netta conseguenza della riforma Cartabia: stabilendo che le funzioni devono essere separate, se giudice e pm continuano a stare in uno stesso ordine si perpetua una commistione oramai non più giustificata e si pregiudica la realizzazione di un modello di organizzazione del Pubblico Ministero che deve essere necessariamente diverso da quello del giudice. La valutazione professionale che si deve fare è diversa, e se come ha detto la riforma Cartabia non è praticamente più possibile il cambio di funzione, non si giustifica più che gli uni giudichino gli altri o che si possano creare delle confusioni nell’organizzazione».
LEGGI Esposito: «Separazione delle carriere? Si doveva già fare nell’89»
La magistratura, nella figura del pm, è venuta nel corso di questi trent’anni ad interpretare una serie di domande di giustizia che vengono dall’opinione pubblica e dalla piazza. C’è una sorta di logica di risultato che è diventata parte dell’azione penale?
«Quando si dice che il pm ha avviato l’azione penale però poi c’è stata un’assoluzione, questo non significa che il pm ha sbagliato. Perché è vero che per coltivare l’azione penale occorre una ragionevole previsione di condanna, ma resta una valutazione diversa da quella che è chiamato ad operare il giudice per emettere una sentenza di condanna. Il punto è che si tratta di valutare la ragionevolezza con cui il pm ha esercitato l’azione penale. Inoltre, se le carriere non sono separate, l’opinione pubblica tende ad omologare l’atto del pm a quello dei giudici. Oggi nella percezione pubblica l’avvio dell’indagine del pm è quasi omologato ad atti di contenuto e significato diversi emessi dal giudice, e questo pregiudica la presunzione di non colpevolezza».
E le perplessità che sono sorte attorno al sorteggio?
«L’elezione è un fondamentale principio democratico che riguarda gli organi di governo politici e amministrativi. Il punto è, ma il Csm che cosa è? Io mi sono rivisto delle sentenze della corte Costituzionale. Sono consapevole che anche le sentenze possono essere diversamente interpretate. Però io ho letto delle parole che mi sembrano chiare: in una sentenza del ’73 è stato escluso che il Consiglio rappresenti in senso tecnico l’ordine giudiziario. Altra pronuncia dell’83 ha detto che è nella logica del disegno costituzionale che il Csm sia garantito nella propria indipendenza, tanto nei rapporti con altri poteri quanto nei rapporti con l’ordine giudiziario, nella misura necessaria a preservarlo da influenze che potrebbero indirettamente precipitare i decisi parziali dell’amministrazione e della giustizia.
LEGGI Sì del Senato all’articolo 2, passa la separazione delle carriere
Un’ultima sentenza del ’71, nello spiegare perché al Csm devono essere nella stessa proporzione i togati appartenenti a varie categorie, ha chiarito che non è in questione la rappresentanza di interessi di gruppo, ma l’apporto del contributo di diverse esperienze. Il principio di rappresentanza è richiamabile per l’elezione degli organi di governo politico-amministrativo. Qui parliamo di una designazione a far parte di un organo di altissima amministrazione, composto da appartenenti ad una categoria professionale di altissimo livello, che, per Costituzione, si distinguono solo per diversità di funzioni, e ciò rende non irragionevole il sorteggio».
Chiunque venga sorteggiato dunque dovrebbe essere in grado di assolvere questa funzione, è così?
«Deve essere in grado. Le competenze richieste per fare il consigliere sono essenzialmente quelle in materia di ordinamento giudiziario, che sono l’humus di ogni magistrato. Tra l’altro nei processi oggi si ha un’assegnazione praticamente automatica, non c’è discrezionalità su chi debba occuparsene. Allo stesso modo per esercitare il compito di autogoverno che è richiesto al CSM può essere giusto riferirsi a questa competenza, che è di tutti i magistrati. Mentre il principio della delega e della rappresentanza, che è proprio della politica, non mi sembra richiamabile per il CSM. Oltretutto questa riforma non mina la rilevanza dell’Anm, che ha il compito importantissimo di essere sede del confronto e dell’elaborazione delle idee che costituiscono l’humus della magistratura. Ed è la custode del codice etico dei magistrati. Scusi se è poco».
Rispetto al tema dell’Alta Corte e quindi del giudizio disciplinare, quest’ultimo è stato tacciato di essere un giudizio corporativo…
«Non sono d’accordo. A mio avviso non è un problema: la giurisdizione disciplinare del CSM ha dimostrato di non essere domestica e di essere una giustizia giusta. I consiglieri che fanno parte della sezione disciplinare non possono far parte di determinate Commissioni per evitare incompatibilità. Tuttavia la commistione di funzioni crea, nell’immaginario collettivo, una confusione sulla finalità della responsabilità disciplinare, mentre resteranno altresì imputate le competenze del CSM in materia di valutazioni e professionalità, che potranno essere rafforzate senza pregiudizievoli confusioni. Deve comunque essere chiaro che la responsabilità disciplinare non è lo strumento mediante il quale rivedere le sentenze».
Procuratore, sulle critiche alla politica che spesso fa un uso ‘strumentale’ della riforma cosa dice?
«Questo non è un referendum politico, non andiamo a votare come per le elezioni al Parlamento. Questa è una riforma che deve dare una maggiore chiarezza nel riconoscere le professionalità dei magistrati e prendere atto di quello che già oggi è sancito, però la stessa separazione delle funzioni è la ragione che non giustifica più la compresenza in uno stesso organo di governo autonomo».
In queste ore c’è la polemica sul procuratore di Bari che fa volantinaggio per il no nelle piazze: è atteggiamento compatibile con l’esercizio della giurisdizione?
«Non mi esprimo. Ma quello che mi sento di dire è: perché non ci sono state polemiche per i magistrati in pensione che si sono espressi per il no? In ogni caso, non spetta a me giudicare se può farlo o no. Quello che è certo è che da questo referendum il cittadino non ha nulla da temere. Ecco perché mi sono schierato».
Il Guardasigilli Nordio ha affermato che dopo la riforma sulla separazione delle carriere il primo impegno sarà quello della riforma dei codici. Qual è il suo parere?
«I codici certamente vanno riformati. La riforma Cartabia non ha modificato al meglio il processo civile, e anche il processo penale va rivisto. Ma abbiamo un problema di fondo che non si risolve mai: quali sono i limiti del potere interpretativo del giudice? Giustiniano fece un editto in cui proibì ai giudici di interpretare le leggi che lui aveva emanato, senza esito. Il potere interpretativo è, ovviamente, ineliminabile, ma resta il fatto che incontra dei limiti, lo ha sottolineato anche la Corte Costituzionale. Due sentenze delle Sezioni Unite civili affermano: una del 2021 che la lettera della legge è il limite invalicabile del potere di interpretazione. Non si può far dire alla norma quello che non dice. Una del 2024 ha definito l’attività di interpretazione naturalmente creativa. Io sono per la tesi più rispettosi della lettera della legge alla luce della Costituzione».
I cittadini ormai sono spaventati dalle correnti. Secondo lei, che è stato per anni ai vertici della Cassazione e del Csm le correnti spirano ancora forte? La riforma le ridurrà?
«Per me le associazioni e quindi la diversificazione culturale è un valore. Non vorrei entrare in queste polemiche».


















