Il viceministro della giustizia Francesco Paolo Sisto risponde ad alcune critiche sulla riforma e accusa i magistrati che fanno politica
Casi come Garlasco o l’imam di Torino sono stati evocati dalla premier Meloni per evidenziare la necessità di correttivi al processo penale. Così facendo, il rischio è però quello di confondere il merito della riforma della giustizia con cose che, con la separazione delle carriere, hanno poco a che fare. Francesco Paolo Sisto, viceministro della giustizia e senatore di Forza Italia, di quella riforma è l’artefice, insieme al ministro Nordio. Secondo le ultime indiscrezioni, la data in cui i cittadini potrebbero essere chiamati ad esprimersi è l’1 marzo.
Viceministro, il governo sta sbagliando qualcosa nella comunicazione sul referendum?
«Quella della separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri è una riforma semplice, logica. Non si è mai visto un arbitro della stessa città di una delle due squadre che scendono in campo. È un triangolo isoscele: sulla cima un giudice terzo, non contaminato dalla vicinanza ad una delle parti, e alla base le due parti, accusa e difesa, alla stessa distanza. Detto questo, un giudice terzo e imparziale ha meno possibilità di commettere errori. La terzietà del giudice rende meno probabile errori influenzati dall’incidenza della pubblica accusa».
LEGGI ANCHE Giustizia, la riforma tirata a braccetto
Quindi la separazione delle carriere impatterà anche su casi come Garlasco?
«La vera terzietà, il rispetto della geometria costituzionale, diminuisce, come detto, la possibilità di errori giudiziari. Quella di Garlasco è un’evocazione mediatica. La riforma ha un effetto immediato sul cittadino, perché chi entra in aula si sente più rassicurato se sa che il giudice è terzo rispetto all’accusa; e mediato proprio sulla minore possibilità di errori giudiziari».
Come pensate di comunicare con la gente?
«In maniera semplice e trasparente, dribblando le clamorose fake degli oppositori, messe in giro sperando di spaventare il bimbo adombrando il pericolo – inesistente – del lupo cattivo».
E’ una fake anche quanto si dice rispetto al possibile assoggettamento dei pm all’esecutivo?
«C’è una figura dell’oratoria che è la fallacia del fantoccio. È quando qualcuno modifica le tesi che vuole confutare e confuta le tesi modificate. Abbiamo scritto, nel 104 della Costituzione, che la magistratura rimane autonoma e indipendente: il tenore letterale delle parole prevale su qualsiasi illazione o, per dirla con Mel Brooks, qualsiasi “balla spaziale”».
Il procuratore Gratteri sostiene che la strategia del governo è insistere su casi giudiziari molto mediatici per fare campagna referendaria.
«Il procuratore Gratteri, citazioni inesistenti a parte, si erge a paladino del No “a corrente alternata”, perché mi risulta che fosse favorevole al sorteggio dei componenti del CSM. Ho comunque delle difficoltà a comprendere come il procuratore della più grande procura d’Italia possa andare in televisione a presentare, inopportunamente, in prima serata un programma dove evidenziare le sue opinioni sulla giustizia. Se qualcuno sceglie la carriera della magistratura, dovrebbe mantenersi in linea con la discrezione e il garbo che dovrebbe contraddistinguere quel ruolo, come ha sottolineato ai giovani magistrati anche il presidente Mattarella. Il magistrato, più che un protagonista, deve essere un punto di riferimento».
Insomma, secondo lei i magistrati non dovrebbero scendere nell’arena politica?
«Esprimere le proprie opinioni è diritto garantito dall’art.21 della Carta. Le modalità per esercitare il diritto vanno però modulate in virtù dei ruoli. L’Anm ha costituito i comitati per il No, che sono, per legge, comitati politici a tutti gli effetti. Il risultato sarà, comunque vada, che la postura politica assunta dalla magistratura correntizia avrà influenze sul futuro della giustizia. Si immagini se qualcuno che ha sostenuto il Sì si troverà ad essere giudicato da qualcuno che ha fatto parte dei comitati per il No. Anche solo questo è un danno che la magistratura sta arrecando e si sta arrecando».
La riforma non agisce però sul principale problema della giustizia, che è legato ai tempi dei processi.
«Questa riforma è una cura ricostituente e strutturale della giustizia. È chiaro che una patologia si combatte con gli antibiotici, ma la cura ricostituente favorisce l’azione dei farmaci. La separazione delle carriere fa bene alla giustizia nella misura in cui un giudice terzo esercita meglio la propria funzione. I nostri oppositori poi non dicono che noi abbiamo già velocizzato il processo penale, grazie al Pnrr, con cui abbiamo ridotto del 29% il tempo necessario per celebrare un processo. Siamo oltre il target europeo che era fissato al 25%, meritiamo i fondi del Pnrr di seguito ad un’accelerazione mai vista e uno smaltimento dell’arretrato altrettanto imponente. Questo anche grazie all’impegno, silente, di tanti magistrati, dei funzionari dell’Ufficio per il processo, delle massicce assunzioni di personale amministrativo, dei progressi del processo telematico».
Oggi la magistratura non gode del prestigio né della fiducia che aveva all’epoca di Mani Pulite. State cercando di sfruttare la corrente a vostro favore?
«Quella della separazione è una partita che va giocata fino al novantesimo. Non ci sono proiezioni favorevoli che consentano di rallentare l’opera capillare di diffusione attenta e leale delle ragioni del Sì. Abbiamo assistito a scelte decisamente discutibili, come aver scelto le aule di giustizia o le aule universitarie per le manifestazioni esclusivamente sul No. C’è una movimentazione scomposta su quel fronte, perché qualcuno vuole trasformare il referendum in uno scontro tra politica e magistratura, altri in una lotta tra maggioranza e opposizione, specchi deformanti della verità: è una riforma, questa, senza colore politico, che protegge il cittadino nelle aule giudiziarie e libera il magistrato dal giogo delle correnti».
E non è vero che è uno scontro politico?
«Come è noto, la riforma è stata approvata anche da una parte dell’opposizione. Questo dimostra come la riforma abbia un solo colore, quello della Costituzione. La resistenza è solo quella della magistratura correntizia, direttamente proporzionale al timore di perdere i privilegi. Le correnti, ancora oggi sono decisive per determinare gli incarichi e nomine al Csm».
Il sorteggio mette fine a questi privilegi?
«Sì. Con franchezza dico che il sorteggio non è un rimedio elegante, ma è assolutamente necessario. È l’unico modo per spezzare il rapporto tra Anm e Csm ed evitare che ci siano i “predestinati”, con grave pregiudizio per i meriti effettivi».
LEGGI ANCHE Feltri: «Su immunità il Parlamento sbaglia. Non è il ’93»
Il parlamento Ue ha revocato l’immunità alla deputata Pd Alessandra Moretti. In nome del garantismo critica quel verdetto?
«L’Europa, come noto, ha regole e sensibilità diverse rispetto a quelle del nostro sistema. Tornando a noi, basterebbe, per ritrovare equilibri sani, rispettare il 101 della costituzione: il Parlamento scrive le leggi e i giudici le applicano, senza alcuna reciproca intromissione. Questo è una garanzia anche per i giudici, per recuperare quello smalto e quella fiducia che, statistiche alla mano, hanno perso. Il giudice, equidistante, senza condizionamenti, è la figura centrale della riforma, quella che si erge al di sopra delle parti e decide in piena libertà. Ancora una volta però nessuno affronta questi problemi in modo chiaro, preferendo prospettare scenari apocalittici o evocando fantasmi».
Se vincerà il Sì preferirete dedicare la vittoria al Cavaliere o a Licio Gelli?
«Non scherziamo. La separazione delle carriere nasce con Matteotti nel ’19, prosegue con i padri costituenti, Calamandrei, Terraccini, Chiaromonte, Moro e arriva fino a Giovanni Falcone. Silvio Berlusconi ha raccolto il testimone di questi illustri predecessori e ne ha fatto una battaglia nell’interesse del Paese. Su Gelli non accetto il contraddittorio, perché, a leggere meglio, la citazione è solo strumentale. Il finale? Siamo fiduciosi che il Paese possa fare propria una riforma di profonda civiltà».


















