L’azienda potrà usare i fondi residui del prestito ponte fino a febbraio 2026, quando è attesa la conclusione della procedura di gara per l’acquisizione
Da Taranto a Genova, il dossier Ilva continua ad agita il dibattito nazionale. Dopo le mobilitazioni dei tarantini delle scorse settimane, la rottura del tavolo tra il ministero e i sindacati, le manifestazioni degli operai genoani in presenza della sindaca Silvia Salis, ieri è stato il giorno di un nuovo aggiornamento.
Il Consiglio dei ministri ha infatti dato il via libera al decreto-legge che introduce misure urgenti per assicurare la continuità operativa degli stabilimenti ex Ilva, tutelare i lavoratori e riconoscere indennizzi al territorio.
Nel dettaglio, il provvedimento autorizza Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria a utilizzare i 108 milioni di euro residui del finanziamento ponte fino a febbraio 2026, quando è attesa la conclusione della procedura di gara al termine della quale verrà scelto il nuovo aggiudicatario. I restanti 92 milioni erano già stati destinati agli interventi sugli altoforni, alle manutenzioni, ai lavori ambientali legati alla nuova Aia e al Piano di Ripartenza.
Un capitolo importante riguarda i lavoratori: il decreto stanzia ulteriori 20 milioni per il biennio 2025-2026, consentendo allo Stato di coprire fino al 75% dell’integrazione della Cigs, finora sostenuta direttamente da Acciaierie d’Italia.
Il provvedimento interviene anche sul Fondo indennizzi per i proprietari di immobili del quartiere Tamburi (Taranto) — le somme residue del 2025 potranno integrare gli indennizzi parziali relativi alle domande dell’anno precedente — e riconosce ad Acciaierie d’Italia un indennizzo sui contributi per le imprese energivore, dagli sconti sulle forniture alle quote Ets (Emissions Trading System, i “permessi a inquinare” del sistema europeo di scambio delle emissioni).
Le richieste dei sindacati
Eppure, ancora non basta: i sindacati chiedono che sia ritirato il piano presentato dal ministro e che si riapra la trattativa. La giornata politica si è poi spostata sul fronte dei territori, dove tra Genova e Taranto sono state ufficializzate nuove convocazioni.
Al Mimit si terranno due incontri il 28 novembre: la mattina dedicata agli stabilimenti del Nord (Genova, Novi Ligure, Racconigi) e il pomeriggio a Taranto. Una scelta che ha suscitato irritazione tra i lavoratori del siderurgico tarantino, che da ieri mattina presidiano gli accessi alla città bloccando la statale Appia e quella Jonica, annunciando la volontà di proseguire la protesta anche durante la notte. I sindacati giudicano la convocazione in due tempi come un segnale verso uno “spezzatino” industriale e ribadiscono la richiesta al Governo di ritirare il piano ritenuto “di chiusura e dismissione”.



Le reazioni
La prima reazione politica arriva da Genova. La sindaca Silvia Salis parla di un incontro «doveroso», pur ricordando che «la paura legittima è che Genova vada verso la chiusura. Sarebbe un dramma sociale». Salis ha chiesto al ministro Urso di chiarire «quale tipo di investimento vuole per il polo del Nord», ribadendo che «non si può immaginare il progressivo smantellamento dello stabilimento, perché qui si produce banda stagnata, una eccellenza nazionale. Serve aumentare la produzione, non disarmare». La prefettura ha confermato nella serata di ieri che Salis e il presidente ligure Marco Bucci parteciperanno alla riunione del 28, considerata decisiva per il futuro di Cornigliano.
La partita delle regionali
In Puglia, è il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione, Luigi Lobuono, a rivendicare un dialogo costante con il Governo: «Da ieri sono in contatto con il ministro Urso e il vicepresidente Tajani. Ho chiesto la riapertura del tavolo negoziale e lo ringrazio per la sensibilità e la volontà di stare al fianco della Puglia». Per Lobuono, l’ex Ilva è «una questione nevralgica non solo per Taranto, ma per tutta la Regione», e il Governo Meloni dimostra «massima attenzione».
Dura la replica del governatore pugliese uscente Michele Emiliano: «Non vogliono che qui ci siano gli impianti Dri (per la produzione del preridotto necessario ad alimentare i forni elettrici, ndr) perché Taranto con i Dri diventerebbe monopolista dell’acciaio di qualità in Italia e in Europa».
Emiliano fa riferimento a «strane alleanze» che avrebbero cercato di bloccarne la realizzazione e chiede al Governo di «dire la verità ai lavoratori». Da Roma, il direttore di Svimez Luca Bianchi sostiene che la produzione dimezzata rispetto al 2022 «ha dimezzato anche lo 0,7% del Pil del Mezzogiorno generato dallo stabilimento», e continua spiegando che la nazionalizzazione «sia ormai l’unica scelta percorribile», con un investimento pubblico tra i 7 e i 9 miliardi per trasformare Taranto «in un polo di eccellenza dell’acciaio verde».
Dall’opposizione, Nicola Fratoianni attacca il Governo parlando di «pessima gestione» del ministro Urso e chiedendo che sia Giorgia Meloni «ad assumersi la responsabilità politica della vicenda», riaprendo subito il tavolo nazionale con le organizzazioni sindacali (saltato pochi giorni fa). «Serve un vero piano industriale, serio e credibile, che affronti anche il tema dell’inquinamento».











