I tragici fatti verificativi in Friuli-Venezia Giulia rendono indispensabile una strategia che preveda la manutenzione del territorio
C’è qualcuno sano di mente che ancora può pensare che l’Italia possa reggere condizioni di fragilità e vulnerabilità così elevate, fare da punchball nella lotta oggi impari contro le forze della Natura, alimentate dal riscaldamento globale? Anche la drammatica giornata di ieri, con il Friuli Venezia Giulia, Liguria e Toscana sotto i colpi di violenti nubifragi con frane che hanno colpito intere comunità, soprattutto in provincia di Gorizia a Cormons con altri due morti e i vigili del fuoco coraggiosamente impegnati nei salvataggi di famiglie per l’esondazione di corsi d’acqua e nel recupero di persone rifugiate sui tetti, impone a tutti una riflessione.


PER APPROFONDIRE:
Gli interventi urgenti
L’Italia deve avviare la più urgente, grande, utile e diffusa opera pubblica nazionale per proteggere vite umane, aree urbane, industrie, infrastrutture vitali, patrimoni culturali avendo un territorio per due terzi ad alto rischio di dissesto idrogeologico dove vivono 33 milioni di abitanti. Deve farlo anche per scongiurare il collasso dei bilanci dello Stato sotto una spesa per continue emergenze con ricostruzioni e risarcimenti dopo alluvioni e frane, siccità e terremoti, che ormai supera largamente i 10 miliardi di euro in media all’anno.
Il clima pazzo
L’estremizzazione climatica ci ha fatto entrare ormai in una condizione di rischio inesplorata, e tutto quel che accade richiama un disperato bisogno di ripensare i fondamentali, aumentare al massimo le difese delle nostre aree urbane da precipitazioni atmosferiche ad alta capacità esplosiva, di riprendere le manutenzioni ordinarie e straordinarie lungo le aste fluviali e sui versanti collinari e montuosi dove l’Ispra ha censito ben 628.000 frane ovvero i due terzi delle 750.000 del continente europeo!
Città-spugna
Abbiamo bisogno di trasformare le nostre città il più possibile in città-spugna per ridurre la facilità con la quale subiamo allagamenti per alluvioni lampo, cicloni extratropicali e uragani mai visti alle nostre latitudini. Sapere che i 6 grandi eventi alluvionali con tipologia l’alluvione di Firenze del 1966 subiti in media ogni 15 anni nel corso del Novecento, dal Duemila sono diventati un centinaio all’anno e colpiscono all’improvviso aree ristrette con morti e danni. Quel che sta accadendo, insomma, e il bisogno di sicurezza dovrebbe scuotere la politica e noi cittadini.
Il Piano nazionale
L’Italia, che ha alle spalle circa 1.500 alluvioni e 11.000 frane ultimi 70 anni con 6000 morti, oggi ha urgente bisogno di “‘mettere a terra” un Piano nazionale di contrasto al dissesto idrogeologico e agli effetti del clima. Avrebbe anche effetti sul lavoro: per ogni miliardo investito ci sarebbero almeno 20.000 nuovi occupati in una miriade di piccole e grandi opere per ridurre la nostra fragilità aumentando difese strutturali. Un grande Piano di messa in sicurezza del nostro territorio è la priorità assoluta, con la regia della Presidenza del Consiglio.
Il Piano finanziario
Farebbe bene il Governo a condividere con tutta la politica un accordo, un patto, creando uno spazio di collaborazione fuori dalla competizione quotidiana, rimettendo in piedi una struttura tecnica e operativa di alto livello che possa però operare oltre le durate dei nostri governi. Potrebbe presentare un Piano finanziario accorpando investimenti già in pancia in vari ministeri e non spesi, rimodulando in emergenza quote di fondi del PNRR vista la coerenza con gli obiettivi europei.
Gli investimenti
Potrebbe recuperare i 10.200 interventi per un investimento di circa 30 miliardi di euro da realizzare in 10 anni, previsti nell’unico Piano redatto a Palazzo Chigi dalla struttura di missione Italiasicura che ha operato con i governi Renzi e Gentiloni dal 2014 al 2018, con la collaborazione di Protezione Civile, Regioni, Comuni ed enti scientifici, poi chiusa e purtroppo sostituita con il nulla. Prevede interventi oggi ancora più urgenti, dalla laminazione delle piene al consolidamento delle 2.400 frane più pericolose in aree ad elevato rischio presenti nel 94% dei comuni italiani. Potrebbe essere la base di partenza per riorganizzare le difese collettive verso la massima sicurezza possibile.
La svolta culturale
Mai come oggi serve coraggio e lungimiranza, serve guardare in faccia la realtà e avviare prima possibile una reazione corale per misure di precauzione e prevenzione. Un Big Bang culturale e operativo è oggi tanto più urgente di fronte alla cruda verità di essere una penisola-bersaglio di enormi rischi naturali e meteo-climatici. Quella al dissesto idrogeologico e per l’adattamento ai pericoli naturali è l’unica guerra che merita di essere combattuta.












