Per la prima volta parla il colonnello dei carabinieri coinvolto nella vicenda dell’omicidio del sindaco di Pollica
La deriva mediatica del caso Vassallo era prevedibile. A quindici anni dall’omicidio di Angelo Vassallo, il “sindaco pescatore” di Pollica, il procedimento a carico dei tre imputati – il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, il brigadiere Lazzaro Cioffi e l’imprenditore Giuseppe Cipriano – si apre sotto un riflettore che punta la piazza piuttosto che il tribunale. In questi giorni, a Salerno, si sta celebrando l’udienza preliminare.
La campagna mediatica
Un passaggio tecnico, a porte chiuse, che tuttavia si è trasformato in un vero e proprio evento mediatico: ogni data è l’occasione per un nuovo punto stampa della Fondazione Vassallo, gestita dai fratelli del sindaco. Lo stesso ente che, con una martellante campagna stampa, divulga da mesi comunicati e appelli che riguardano l’inchiesta. Il risultato? Spesso i resoconti di cronaca non provengono da carte processuali, ma dai microfoni e dalle telecamere. Una dinamica che rischia di trasformare il dibattimento in un’arena. Ogni cittadino onesto desidera verità e giustizia per la morte di un uomo giusto, un sindaco illuminato che si è battuto per anni per l’ambiente e per i suoi concittadini, ma cercare la giustizia a tutti i costi può avere conseguenze drammatiche. E la storia giudiziaria italiana trabocca di errori che hanno distrutto vite, famiglie, carriere.
Il “processo parallelo”
In questo clima, il colonnello Fabio Cagnazzo, che ha scelto il silenzio da quando, oramai quasi un anno fa, si è ritrovato in manette, ha scelto di rompere la riservatezza e di parlare – in esclusiva per L’Altravoce – per denunciare quello che definisce un “processo parallelo”. “Sono il primo a chiedere verità e giustizia per Angelo Vassallo. Sono un carabiniere da sempre dalla parte della brava gente e delle vittime – dice il colonnello – ma non approvo questo comportamento, questo ‘processo fuori dal processo’ che si attua ogni volta che si conclude un’udienza e pertanto non intendo parteciparvi, pur consapevole della mia innocenza e del fatto che dovrò sopportare due fardelli: quello processuale, che affronto con serenità, e quello mediatico, che in un Paese civile non dovrebbe gravare su alcun indagato con tale violenza.” E ancora: “Mi rifaccio al principio di presunzione di innocenza e all’impatto mediatico sui procedimenti legali. È un tema serio: il trattamento mediatico di un caso può influenzare non solo la percezione pubblica, ma anche il processo stesso. E c’è chi questo impatto sta cercando di strumentalizzarlo. I processi si fanno nelle sedi opportune”.
Il pressing mediatico
Cagnazzo dunque non si fa trascinare nell’arena, pur conoscendo i rischi di una mediatizzazione a senso unico. Ma ci sono delle conseguenze reali al pressing mediatico sul caso Vassallo? Non è certo l’orientamento dei giornali a influenzare le decisioni dei giudici, ma ci sono episodi che spingono a una riflessione. Il primo riguarda la costituzione di parte civile del Pd regionale, avvenuta solo dopo l’intervento dei giornali. Inizialmente il partito di Vassallo aveva scelto di non presentare la richiesta, mentre si costituivano governo, i familiari, associazioni di varia natura e il primo sospettato dell’omicidio. Dopo un comunicato della Fondazione ripreso dai media nazionali, il cambio di rotta e la costituzione in extremis. Un altro episodio riguarda il rigetto del reintegro in servizio di Cagnazzo, pochi giorni dopo la pubblicazione di una lettera dei familiari. Coincidenze. Ma la tempistica alimenta interrogativi legittimi.
L’inchiesta
Peraltro in un’inchiesta che non ha certo avuto finora un percorso lineare. La Cassazione ha già smontato l’impianto accusatorio costruito dalla Procura di Salerno. Indifferente alle indicazioni della Cassazione, il Riesame ha confermato l’impianto accusatorio e il rinvio a giudizio degli imputati a Salerno viene dato per scontato. Eppure la Suprema Corte ha demolito il teorema dei pm, definendolo segnato da “gravi vizi formali e sostanziali” fondato su “atti inutilizzabili” e racconti “privi di riscontri”.
Il Riesame
Al Riesame era stato chiesto di rivalutare il quadro probatorio e fornire motivazioni più solide, su ruoli, tempi e movente, ciononostante, rispondendo alle esigenze tecniche, il tribunale ha scelto di andare avanti per la propria strada, benché lastricata di frutti avvelenati di un’inchiesta nata zoppa (e dopo tre archiviazioni già ottenute da Cagnazzo) e sospinta dalla mediaticità raccolta in anni di dolorosa assenza di verità. Come avvelenati sono i frutti di una narrazione partigiana mediatizzata che non ha basi né nelle carte giudiziarie, tantomeno in approfondimenti giornalistici. Un esempio su tutti: nelle settimane scorse, la Cassazione ha respinto il ricorso di Cioffi e Cipriano dichiarandolo “inammissibile per carenza di interesse”. La Fondazione ha inviato un comunicato in cui ha scritto che la Suprema Corte aveva confermato i gravi indizi di colpevolezza. Un errore marchiano, puntualmente ripreso da diversi media.
La difesa
Nel merito è intervenuto l’avvocato Franco Liguori, che difende Cioffi. “Nel nostro codice esiste la legittima suspicione che prevede, in caso di rischio di influenza ambientale sull’imparzialità del giudice, si deroghi al principio del giudice naturale, trasferendo il processo in una diversa sede”, dice. “Le cronache giudiziarie sono piene di errori generati anche dalla pressione mediatica e dalla “necessità” di trovare “un” colpevole (qualsiasi) ad ogni costo. Non è sano operare in un contesto in cui c’è chi pensa di influenzare i giudici e l’opinione pubblica veicolando notizie in certi casi anche false. Non si rispetta, in tal modo, né la giustizia né il giudice”.









