La responsabile esteri e vicesegretario di Forza Italia fa il punto sulla situazione della coalizione di centrodestra e sulla postura internazionale del governo
Viareggina di nascita, la deputata Deborah Bergamini, vicesegretaria nazionale e responsabile esteri di Forza Italia, esce dalla sfida elettorale per le regionali in Toscana, dov’era capolista per gli azzurri nel collegio di Lucca e provincia, con più chances di ottenere a Roma un incarico di maggiore visibilità. Da qualche tempo, dopo che Pier Silvio Berlusconi aveva esternato alla stampa l’esigenza d’imprimere un rinnovamento a Forza Italia per allargare la base degli elettori liberali e moderati di centrodestra, si sono messe in moto le fronde e le frondine interne, quelle che lavorano inesorabilmente ai fianchi come gocce cinesi.
È da quest’estate che dalle parti del “transatlantico” si parla della Bergamini e dei suoi ottimi rapporti con Marina e Pier Silvio Berlusconi, ai quali non spiacerebbe per niente limitare lo strapotere acquisito dagli esponenti laziali. Se sono voci fondate lo vedremo in seguito, nella nostra intervista intanto lo abbiamo chiesto direttamente all’interessata.
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Onorevole Bergamini, Forza Italia è al secondo posto fra i partiti all’opposizione in Toscana, subito dopo FdI. Avete ottenuto il 6,2 per cento dei voti, mentre la Lega, che puntava su Vannacci, subisce un crollo rovinoso.
«Sì, cresciamo quasi del 50 per cento rispetto al 2020 in una regione non facile sul piano elettorale. Significa che il nostro messaggio ha funzionato e promette bene. Certo, avremmo voluto un centrodestra vincente, tuttavia il segnale è sostanziale. Da parte mia sono grata ai 3.738 elettori che mi hanno accordato la loro fiducia nel collegio di Lucca. Sulla Lega dico che Silvio Berlusconi ci ha insegnato a concepire la coalizione come una squadra e se un giocatore non fa i goal dispiace anche a tutti gli altri. E’ la ragione per cui noi non facciamo mai campagna elettorale contro un alleato».
In campagna elettorale lei si è espressa contro il reddito di cittadinanza. Visto che nel nuovo Consiglio regionale in Toscana Forza Italia avrà due consiglieri, Marco Stella e Jacopo Maria Ferri, cosa proporrete in alternativa per le fasce più fragili?
«Il reddito di cittadinanza ha mostrato molte storture, delineandosi come uno strumento sbilanciato sul piano assistenziale, un disincentivo al lavoro e un incentivo al sommerso. Noi, come ha ribadito anche il nostro segretario Tajani, crediamo piuttosto in un reddito di dignità, destinato a chi davvero non può lavorare, come disabili, casalinghe e vedove senza reversibilità. Nel nostro programma elettorale abbiamo proposto politiche attive per i più deboli, come incentivi fiscali alle imprese per creare occupazione, formazione professionale e inserimento lavorativo. Poi ancora sostegno alle famiglie e aiuti alla non autosufficienza, per creare un incontro tra solidarietà e lavoro».
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Pier Silvio Berlusconi tre mesi fa ha lasciato trapelare l’intenzione di voler svecchiare il partito. Reduce da questo successo personale che lei ha ottenuto come capolista di Forza Italia a Lucca e provincia, ritiene che a Roma ci saranno degli avvicendamenti che la riguardano? Si dice che lei potrebbe assumere il ruolo di capogruppo degli azzurri a Montecitorio, al posto del suo collega deputato Paolo Barelli.
«Sono abituata a ragionare sulla base di circostanze concrete, che oggi mi vedono vicesegretaria e responsabile esteri di Forza Italia, due ruoli che richiedono impegno e molto lavoro. In più, ho intenzione di sviluppare la sinergia e il confronto con gli elettori che mi hanno concesso il loro voto in Toscana. Il risultato delle regionali è la radiografia di un patrimonio di fiducia che va allargato».
Cosa succederà dal punto di vista di Forza Italia per trovare un accordo sul ruolo dei candidati per le regionali del Veneto? Non è certo un mistero che sia tuttora in corso un gioco di veti incrociati fra la Lega, FdI e voi, per prenotare tutti i posti che contano nella futura giunta.
«Forza Italia lavora a testa bassa, con la sua ottima classe dirigente sul territorio, per il consolidamento anche in Veneto dei risultati raggiunti nelle ultime tornate elettorali. Per quanto riguarda i rapporti fra alleati, il centrodestra è una coalizione in cui ogni forza ha personalità da spendere per il governo del territorio. Per questo motivo in alcune situazioni è necessario confrontarsi più a lungo. Ma il nostro tratto distintivo è che la sintesi si trova sempre».
Non la preoccupa il fenomeno crescente dell’astensionismo?
«È vero, c’è una ferita aperta nella partecipazione democratica, ma siamo convinti di aver individuato la strada per poterla curare: l’equilibrio della nostra proposta politica di centrodestra moderato, fondata non sulle suggestioni, ma sulle soluzioni, come alternativa a un confronto degenerato in uno scontro polarizzante. Se quest’ultimo accende gli animi sui social, a quanto pare non sta migliorando il rapporto tra cittadini e politica. Non si può negare la complessità in un mondo che ne è attraversato, non si possono ridurre le grandi questioni a uno scontro tra fazioni».
Il 13 ottobre a Sharm el-Sheikh si è materializzata una giornata storica. L’Italia, come annunciato dalla presidente Meloni, farà la sua parte nell’ambito del piano di ricostruzione a Gaza. Qual è il suo parere sulle possibilità che nell’area del conflitto possano crearsi le condizioni per restituire ai palestinesi di Gaza una terra in cui ricominciare a vivere e a quelli della Cisgiordania un sistema che non sia così gravato da tante limitazioni? Giorgia Meloni ha detto che si potrebbero creare le condizioni per un riconoscimento dello Stato palestinese da parte dell’Italia.
«L’ok alla prima fase del piano Trump restituisce alla politica la vocazione a cambiare in meglio le cose. Ci sentiamo ottimisti, per quanto siamo solo all’alba di un percorso molto complesso, quello della ricostruzione politica, civile, economica di Gaza, in cui l’Italia deve avere un ruolo importante. Le condizioni per il riconoscimento dello Stato di Palestina matureranno all’avvio della ‘nation building’, cosa impensabile fino a qualche giorno fa. L’accordo sulla prima parte del piano Trump certamente avvicina quel momento».
Per l’altro fronte, in Ucraina, dove il conflitto non si sblocca, cosa prevede?
«Putin non sta dimostrando alcuna volontà di negoziare. Mentre parliamo ci giungono notizie di un convoglio del World Food Programme colpito in Ucraina. Se c’è una strada per spingere il dittatore russo a trattare è mantenere unite le due sponde dell’Atlantico a tutela del Paese aggredito. Nelle ultime settimane, la postura assunta da Donald Trump sembra andare in quella direzione, e questo è senz’altro positivo».