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Droga e botte per costringerla alle nozze: libera 20enne, arrestati genitori

L’indagine ribattezzata dagli investigatori Saman 2 durata mesi. La ragazza portata in Bangladesh per le nozze con un uomo più adulto

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Un’indagine durata mesi, ribattezzata dagli investigatori “Saman 2”, in riferimento al caso di Saman Abbas, la giovane pakistana uccisa dalla famiglia nel 2021 per aver rifiutato un matrimonio combinato. Un’indagine, quella coordinata dal sostituto procuratore Davide Ercolani, che stavolta si è conclusa positivamente, portando alla liberazione di una 20enne anche lei costretta con la violenza a sposare in Bangladesh un uomo più adulto.

La madre della ragazza, 42 anni, e il padre, 55, entrambi cittadini bengalesi residenti a Rimini, sono stati raggiunti martedì 30 settembre da un’ordinanza di custodia cautelare di arresti domiciliari, disposta dal gip Raffaele Deflorio ed eseguita dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Rimini, con l’accusa di aver sequestrato, picchiato e drogato la figlia per costringerla, dopo averla fatta rientrare in Bangladesh, alle nozze con un connazionale molto più grande di lei appartenente a una famiglia facoltosa.

Le indagini, avviate a febbraio 2025, hanno ricostruito che tra novembre 2024 e aprile 2025 i genitori avrebbero agito per costringere la propria figlia a contrarre un matrimonio combinato con un connazionale da loro scelto, celebrato in Bangladesh il 17 dicembre 2024.

La giovane – arrivata in Italia all’età di 7 anni –  nel dicembre scorso era stata costretta con l’inganno a tornare in Bangladesh. I due genitori, con la scusa della visita alla nonna malata le avevano, invece, combinato l’appuntamento con un uomo di 10 anni più grande di lei, che nei piani sarebbe dovuto diventare suo marito. La ragazza, che si era nel frattempo innamorata di un 23enne connazionale residente a Forlì, si era più volte rifiutata ma una volta giunta a Dacca, i parenti le avevano sottratto i documenti e la carta di credito.

E a quel punto era cominciato l’inferno: “Se non ti sposi, mi suicido”, le diceva il padre che suggeriva alla madre di legarla al letto e romperle braccia e gambe per non farla scappare. “Sei una poco di buono, ci stai rovinando”, le urlava la mamma. Zii e cugini avevano poi contribuito a creare sulla giovane una pressione emotiva enorme. Costantemente controllata, minacciata e percossa, alla fine si era piegata al matrimonio combinato.

Costretta ad assumere farmaci per dormire e stare calma, ma anche per favorire la gravidanza, lei era riuscita a non restare incinta prendendo di nascosto la pillola anticoncezionale. Grazie all’aiuto di un’amica era poi riuscita a mettersi in contatto telefonico con il consultorio del dipartimento salute donna di Rimini e con una volontaria di un centro anti violenza. E a quella donna dall’altra parte del mondo aveva iniziato a raccontare con messaggi e foto quello che le stavano facendo. “Voglio tornare in Italia. Se resto qui mi uccidono”, diceva. Inizia così il lungo e lavoro della rete di volontari, carabinieri e Procura per tutelare la salute della ragazza e creare le condizioni del rientro a Rimini.

La possibilità arriva quando tre mesi dopo il matrimonio, viste le difficoltà di rimanere incinta della figlia, i genitori avevano acconsentito di tornare per un po’ in Italia. E così, quando la famiglia è atterrata all’Aeroporto di Bologna ad aprile scorso, la ragazza è stata immediatamente presa in carico dai carabinieri e portata in una località segreta.

All’arresto dei genitori si è arrivati invece solo ieri perché i reati più gravi erano stati commessi all’estero. Il pm ne aveva chiesto l’arresto e la detenzione in carcere il 27 maggio scorso, il gip però aveva potuto emettere solo un’ordinanza di divieto di avvicinamento alla parte offesa con braccialetto elettronico, dopodiché la Procura aveva chiesto al ministro della Giustizia di poter procedere nei confronti degli indagati. I reati contestati ai due – difesi dall’avvocata Valentina Vulpinari – dal pm sono di maltrattamento in famiglia e costrizione e induzione al matrimonio commessi all’estero, per cui il provvedimento restrittivo è stato disposto su richiesta della Procura della Repubblica di Rimini con istanza di procedimento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

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