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Sanità, gli screening per salvare vite e spesa pubblica

Dove la prevenzione funziona si muore e si soffre meno, ma il nodo restano le liste d’attesa

«Ma sto bene, cosa me ne faccio della prevenzione?». Una domanda che è frequente ascoltare da persone adulte, che hanno la fortuna di essere ancora in forma. È un concetto che viene spesso frainteso, la salute nel presente non significa garanzia d’immunità sanitaria. Alcune patologie sono silenti, non presentano sintomi finché non arrivano alla fase finale. La prevenzione, quindi, conviene, eccome: al cittadino per la lunghezza e qualità della vita e allo Stato per il risparmio economico che comporta. È un po’ come fare il tagliando alla macchina: spendi poco e ti eviti guai grossi in futuro.
Dove gli screening funzionano si muore meno e si soffre meno. Un esempio concreto: tra chi aderisce allo screening del colon-retto in Emilia-Romagna il rischio di morire si riduce del 65% negli uomini e del 54% nelle donne (dati della Regione Emilia-Romagna). Per il seno vale lo stesso principio: curare un tumore al primo stadio costa in media 5.966 euro, al terzo stadio si sale mediamente a 10.143 euro; intercettarlo prima significa terapie più leggere e conto più basso (dati Gisma/Epicost). Il Servizio sanitario italiano manda inviti gratuiti per tre controlli: mammella (mammografia), cervice (oggi soprattutto test Hpv) e colon-retto (test del sangue occulto, Fit). Nel 2024 gli inviti complessivi sono stati 17,9 milioni e le adesioni 7,37 milioni. Ma il punto non è solo quanti sono gli inviti: è chi risponde e dove. Sulla copertura da esami il colon-retto resta il tallone d’Achille, con il 33,3% a livello nazionale e un’Italia spaccata: al Nord risponde il 45,8%, al Centro il 32,1%, tra Sud e Isole soltanto il 17,8%. Per mammella e cervice il quadro migliora ma con differenze ancora larghe: la copertura nazionale è intorno al 50% per mammella e cervice, con un divario Nord–Sud rispettivamente di 27,5 e 24,7 punti; se guardiamo all’adesione all’invito della mammografia, si passa dal 63,2% al Nord al 40,1% tra Sud e Isole, mentre per la cervice il Centro è al 43,5% e il Sud con le Isole al 32,7%.
Tradotto: al Nord la “chiamata” trova più risposta, al Centro regge, al Sud e nelle Isole l’invito si perde per strada. Perché si salta l’appuntamento? Le risposte ricorrenti sono terra terra: «Non mi sento a rischio», paura dell’esame, o dell’esito, invito che non arriva, Cup intasati e spostamenti lunghi. Quando gli inviti sono chiari e multipli e il ritiro dei kit è facile, ad esempio in farmacia), le adesioni crescono. Approfondire quanto paga lo Stato per questi test e quanto risparmia è un esercizio che riserva sorprese positive: i test costano poco. Una mammografia di primo livello nello screening organizzato pesa 32,40 euro, il secondo livello 83,88 euro, una biopsia Vab per la mammella 583 euro (dati Gisma/Ons). Il test Hpv può variare dai 5 agli 11 euro. Il Fit, per il sangue occulto nelle feci costa al servizio sanitario pochi euro a provetta e viene dato gratis ai cittadini: il grosso dei costi scatta solo se il test è positivo e serve la colonscopia. È la dimostrazione che spendere poche decine di euro oggi evita migliaia di euro domani in farmaci e ricoveri. E per il seno, come detto, passare dal primo stadio al terzo quasi raddoppia il costo diretto medio.
Il problema si aggrava per chi non rientra negli inviti ma ha un problema e il medico gli prescrive un esame. Qui scatta il labirinto delle liste d’attesa. Dal 2025 la nuova Piattaforma nazionale pubblica i tempi mese per mese; le prime letture dicono che per molte visite “programmabili” si ragiona in mesi e che la mappa non è uniforme: le stime parlano di 114 giorni medi al Nord, 126 giorni al Centro, 108 giorni al Sud e Isole. Non stupisce che nel 2024 circa 1 su 10 abbia rinunciato almeno a una prestazione, con differenze territoriali contenute ma reali: Nord 9,2%, Centro 10,7%, Mezzogiorno 10,3% (rielaborazioni Istat). In pratica: la “corsia” degli screening funziona meglio, la corsia delle richieste prescritte rischia di ingolfarsi, soprattutto dove la rete è fragile.
Questa insufficienza nel proprio territorio costringe chi ha bisogno di analisi urgenti e accurate a mettersi in viaggio. L’esodo sanitario verso il Centro-Nord è ormai strutturale: le regioni più attrattive sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mentre le maggiori fughe vengono da Campania, Calabria e Sicilia. Lo studio Agenas ci dice che nel 2022 i saldi positivi più alti sono stati in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, con flussi rilevanti anche verso Toscana e Lazio. Nel 2023 la spesa complessiva per mobilità interregionale, a conferma di quanto dicevamo in merito all’aumento dei costi per mancata prevenzione, è salita a 2,88 miliardi di euro. Tradotto: quando l’appuntamento tarda, molti cittadini del Sud e delle Isole cercano diagnosi e interventi nelle regioni del Nord, soprattutto per ricoveri e prestazioni complesse. È una migrazione che costa soldi alle regioni di partenza e sacrifici faticosi alle famiglie, oltre a fotografare una sfiducia nell’offerta locale.
Le code si formano perché sommiamo più problemi: personale insufficiente (radiologi, tecnici, endoscopisti), macchinari non sempre usati a pieno regime e non sempre all’altezza della precisione richiesta, prescrizioni non prioritarie che ingolfano le agende, Cup spezzettati, poca trasparenza sui tempi reali. Il governo ha varato un pacchetto dedicato (la legge 107/2024) con straordinari serali e nel weekend, incentivi fiscali per chi recupera, acquisti mirati dal privato accreditato, monitoraggio nazionale e rispetto delle priorità. Ma i decreti, da soli, non tolgono le code: contano l’attuazione e l’organizzazione quotidiana nelle aziende sanitarie. C’è un divario tra quello che potremmo fare e quello che facciamo. Prendendo come indice il 2022 l’Italia ha speso in prevenzione tra il 6 e il 6,4% della spesa sanitaria corrente, meno di molti Paesi Ue (fonte Ocse). Nello stesso anno in Europa, la prevenzione valeva in media il 5,5% della spesa sanitaria: Germania 7,9% e 458 euro pro capite, Austria 7,4% e 411 euro. In rapporto all’economia, spendiamo in prevenzione lo 0,54% del PIL contro lo 0,57% Ue: poco, specie per un Paese che invecchia. E intanto Bruxelles chiede che gli screening di mammella, cervice e colon registrino, tra inviti e analisi effettivamente svolte, raggiungano il 90% degli aventi diritto: obiettivo ancora lontano in varie aree del Paese. La differenza tra inseguire le malattie e prenderle per tempo sta tutta qui: occorre portare gli stanziamenti almeno sui livelli europei e trasformarli in appuntamenti reali, non solo in promesse.

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