«Milano è un città con orizzonti più ampi di quelli dei singoli partiti di centrodestra, perciò trovo giusto che il prossimo candidato sindaco sia espressione della società civile»: non ha dubbi Letizia Moratti, europarlamentare di Forza Italia, a proposito delle elezioni comunali in programma nel 2027. L’ex sindaco del capoluogo lombardo, che alle spalle ha un passato anche da presidente della Rai e ministro dell’Istruzione oltre che da vicepresidente della Lombardia, analizza lo scenario politico in un momento delicato non solo per il centrodestra italiano, ma per l’intero Paese e l’Europa.
Onorevole, domenica si voterà nelle Marche dove la sua coalizione ha deciso di sostenere Francesco Acquaroli. Il 23 e 24 novembre, però, le urne si apriranno in Veneto, Campania e Puglia ma per queste tre Regioni il centrodestra non ha ancora individuato i candidati alla presidenza: non sarà il caso di accelerare?
«I leader nazionali dei partiti della coalizione troveranno una soluzione in tempi opportuni. E sarà la soluzione migliore per ciascuna delle tre Regioni in questione».
Intanto già ci si interroga sulla natura del candidato sindaco di Milano: espressione dei partiti o civico?
«La storia recente della città dimostra quanto le due ultime candidature civiche espresse dal centrodestra si siano rivelate vincenti. Mi riferisco alla mia e a quella di Gabriele Albertini. Milano, d’altra parte, è una città riformista i cui orizzonti sono più ampi di quelli dei singoli partiti di centrodestra. Quindi ritengo che quella del candidato civico sia la soluzione migliore: serve una figura in grado di allargare il perimetro della coalizione».
Nel frattempo su che cosa sta concentrando il suo impegno?
«Forza Italia ha messo a punto una proposta che punta ad affrontare con misure strutturali i problemi atavici della sanità nazionale come liste d’attesa, caos in pronto soccorso, mancanza di continuità assistenziale, scollamento tra territorio e ospedali. Quella proposta prevede, negli ospedali, più medici e infermieri pagati meglio e, per quanto riguarda la sanità territoriale, più specialisti in servizio e più posti letto negli ospedali e sul territorio. L’obiettivo è garantire diagnosi più accurate, ridurre gli accessi impropri ai pronto soccorso, assicurare cure più appropriate la continuità assistenziale, scongiurare il caos nei pronto soccorso e ridurre le liste d’attesa. Ancora, per rafforzare la sanità territoriale, è stabilito che i medici di medicina generale conservino lo status di liberi professionisti ma che prestino un certo numero di ore di servizio retribuite nelle strutture pubbliche attive sul territorio. Infine, per coprire le circa venti specializzazioni mediche per le quali oggi mancano il personale, i professionisti, si prevede un incremento delle borse per i giovani professionisti specializzandi».
Il governo troverà le risorse necessarie per realizzare questo piano?
«Ne abbiamo già discusso con i ministri Schillaci e Giorgetti. La riforma che proponiamo è assolutamente sostenibile, contiamo di iniziare a trovare le risorse nella prossima manovra di bilancio».
Passiamo all’Europa. Putin sembra prendersi beffa dell’Unione e della Nato: basta il 19esimo pacchetto di sanzioni per fermare il dittatore russo?
«Le sanzioni sono un’arma importante, soprattutto se si considera che quella russa è un’economia militare. Serve un forte impegno dell’Unione europea nel sostegno all’Ucraina. In questa prospettiva la proposta del cancelliere Merz di sbloccare fondi russi congelati per 300 miliardi di euro e utilizzarli non solo nella ricostruzione ma anche nella difesa dell’Ucraina, va nella giusta direzione».
La sensazione, però, è che l’Europa sia subalterna agli Stati Uniti e continuamente nel mirino della Russia: serve un cambio di passo, non crede?
«Un cambio di passo c’è già stato. Abbiamo un commissario europeo per la difesa, ci sono fondi che consentono accordi per evitare la frammentazione della difesa, il Fondo Safe sostiene tecnologie e progetti strategici per la protezione del continente come droni, satelliti e intelligenza artificiale. C’è grande attenzione alla difesa che consideriamo uno strumento indispensabile per centrare l’obiettivo finale che è e resta la pace. Però l’Unione europea può e deve fare di più adottando decisioni in maniera più rapida ed efficace. Ciò deve avvenire non solo nel campo della difesa, ma anche nel campo dell’economia per fronteggiare le autocrazie, anche ai fini di recuperare competitività e colmare la distanza dagli Stati Uniti».
Nel frattempo ad agitare l’Europa e l’Italia ci pensa la missione della Flotilla: come giudica questa iniziativa e la sua gestione da parte del governo Meloni?
«Innanzitutto condivido l’appello rivolto agli attivisti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dispiace, però, che gli stessi attivisti abbiano scelto di ignorare non solo l’appello del capo dello Stato ma anche la mediazione offerta dal cardinale Zuppi che avrebbe consentito loro di fare tappa a Cipro e poi far arrivare gli aiuti a Gaza senza correre troppi pericoli. I ministri Crosetto e Tajani hanno assicurato che il governo farà di tutto per proteggere la missione. Ma la protezione italiana non può arrivare alle acque sotto il controllo della marina israeliana. Alla luce di tutto ciò, temo che la missione abbia un carattere politico e purtroppo si può sospettare che il suo obiettivo sia soltanto quello di provocare un incidente in acque sotto il controllo della Marina israeliana».
La premier Giorgia Meloni ha detto che l’Italia riconoscerà lo Stato palestinese soltanto quando i terroristi di Hamas saranno stati esclusi dal governo di quel territorio e gli ostaggi israeliani liberati: non le sembra una soluzione un po’ pilatesca?
«Mi ritrovo perfettamente nella posizione di Meloni. L’Italia è sempre stata favorevole alla soluzione dei due popoli e due Stati, ma le modalità di difesa adottate dal premier israeliano Netanyahu non fanno altro che ostacolare il processo che deve condurre alla soluzione appena descritta. Sia chiaro: Israele ha giustamente reagito al terribile attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, ma quella reazione si è rivelata non proporzionata all’offesa. L’ho fatto presente anche all’ambasciatore israeliano in Italia. E non a caso il Partito popolare europeo ha votato a favore della risoluzione che prevede il sostegno al popolo palestinese e le sanzioni nei confronti dei ministri israeliani estremisti».
Teme che le strategie adottate dal governo Netanyahu possano alimentare l’antisemitismo in Italia?
«Noto una recrudescenza del fenomeno soprattutto tra i giovani e nelle università. E non le nascondo la mia preoccupazione».
In Italia, dopo la morte di Charlie Kirk, si discute dell’odio politico. Lei, garantista da sempre, ha dichiarato che voterà a favore della revoca dell’immunità parlamentare alla sua collega Ilaria Salis, accusata di aver malmenato esponenti di destra in Ungheria. Non vivrà questo voto come una contraddizione?
«Affatto. Sono e resto garantista. E sono consapevole dell’importanza di un istituto giuridico come quello dell’immunità che è indispensabile per consentire ai parlamentari di svolgere il loro mandato al riparo da pressioni esterne. Nel caso di Salis, però, gli eventuali fatti illeciti che le vengono contestati sarebbero stati compiuti prima della sua elezione. Col mio voto contrario, quindi, non farò altro che oppormi all’uso strumentale dell’immunità parlamentare».