Al di là dell’«indiscusso valore professionale di Pasquale D’Ascola», nominato primo presidente della Cassazione, «oggi possiamo tranquillamente dire che la gestione politica della magistratura è figlia degli accordi tra l’area di centro e quella di sinistra». Una «alleanza» che resiste, capace di orientare politicamente gran parte del mondo delle toghe, e che «diventerà ancora più importante in vista del referendum costituzionale e della annunciata riforma sulla separazione delle carriere». Per Luca Palamara, ex magistrato già presidente dell’Anm, «nonostante il vanto – soprattutto per la Calabria – per una nomina di prestigio come quella di D’Ascola», la deriva correntizia per cui lui stesso ha pagato un prezzo molto caro, diventando il capro espiatorio di un sistema molto più complesso di quanto sembri, prosegue indisturbata la sua corsa. «L’unico antidoto per fermarla – fa notare l’ex pm – è il sorteggio».
La nomina del nuovo primo presidente della Cassazione avviene di fronte ad un Csm spaccato. Un commento su questa elezione e sul peso che avrà sui futuri assetti giudiziari. Chi vince e chi perde?
«Partiamo da una premessa. Pasquale D’Ascola è un magistrato di primo livello e la sua nomina comunque è un motivo di vanto per l’intera Calabria. Normalmente, quando si arriva a concorrere per cariche così importanti, il livello dei magistrati che partecipano al concorso è molto alto. Tuttavia, l’esperienza ci insegna che non basta solo il merito, ma occorre qualcosa in più, e cioè gli accordi tra correnti – in questo caso Area ed Unicost – che, con l’appoggio dei laici di centrosinistra, hanno consentito a D’Ascola di essere nominato alla carica di primo presidente di Cassazione. Al di là dell’indiscusso valore professionale, non possiamo nascondere che la gestione politica della magistratura è figlia di questi accordi tra l’area di centro e quella di sinistra».
Ha generato polemiche l’astensione dei due togati indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, che hanno puntato l’indice sul meccanismo di nomina previsto dal Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria, sottolineando che non elimina il fenomeno delle correnti. Nulla di nuovo sotto il sole?
«Nulla di nuovo sotto il sole. Si può ipotizzare qualunque modifica al testo unico della magistratura, ma in un sistema dominato dalla correntocrazia è impossibile pensare di sradicare questo meccanismo, ricorrendo a situazioni che vogliono privilegiare solo il merito anziché l’appartenenza. Sicuramente l’astensione di Fontana e Mirenda rappresenta un tentativo di scardinare l’attuale sistema, ma finché non ci sarà una profonda modifica normativa, è difficile pensare ad una situazione diversa rispetto a quella attuale».
Il sorteggio, che è tra i punti cardine della riforma costituzionale della separazione delle carriere, è l’unica soluzione per mettere fuori gioco il sistema correntizio?
«A partire dalla metà degli anni Sessanta, le correnti hanno dominato il mondo della magistratura ed hanno rappresentato un importante momento di crescita culturale dell’intera categoria. Dalla riforma Mastella del 2007, l’introduzione del merito a scapito dell’anzianità, ha definitivamente eroso il ruolo ideale e culturale che le correnti avevano svolto nella prima fase dell’Italia repubblicana, essendosi trasformate in meccanismi di controllo dell’intera carriera del magistrato. L’unico antidoto per ovviare a tale situazione è rappresentato dal sorteggio, che è un meccanismo attraverso il quale qualunque magistrato, al di là delle appartenenze, può avere la possibilità di recitare un ruolo da protagonista. Ovviamente si tratta di riforme che insieme ai pregi hanno i limiti che devono essere adeguatamente affrontati».
Sul suo caso, il ministro Nordio ha detto chiaramente che non può essere ridotto alle dimissioni più o meno forzate di quattro colleghi, che sono stati dimessi dal Csm, e alla sua radiazione. C’era molto di più che è stato insabbiato?
«A me non è mai piaciuta l’autodifesa come qualcuno troppo frettolosamente aveva ipotizzato. Al contrario, mi è piaciuto sempre documentalmente dimostrare quello che dicevo. Il dato di fatto che oggi dobbiamo registrare è che chi ha toccato la mia vicenda tendenzialmente ha fatto carriera, mentre chi mi era vicino è stato adeguatamente bastonato, per usare un eufemismo. Insomma, una giustizia double face, alla quale però penso non tutti vogliano adeguarsi. Come dicevo, la prima conseguenza di quello che è accaduto è che sicuramente chi è venuto dopo è più puro di chi c’era prima ma, ciò nonostante, oggi siamo tornati al punto di partenza, bloccati da un’alleanza tra la sinistra ed il centro, che in qualche modo orienta politicamente l’intera magistratura. Quanto all’insabbiamento io penso che, oltre ai libri, l’unico modo corretto sia quello di portare a conoscenza di queste vicende l’autorità giudiziaria e gli organi istituzionalmente competenti, al di fuori di condizionamenti, perché dal 2019 ad oggi tanto materiale nuovo è venuto fuori, e come tale ciò consentirà di comprendere bene gli accadimenti di molte vicende».
Una nuova inchiesta potrebbe riscrivere la storia degli scandali giudiziari che hanno travolto il Csm e la magistratura. Il grande accusatore Piero Amara è sotto indagine per calunnia ai suoi danni e del magistrato Fava. Dobbiamo aspettarci ulteriori colpi di scena?
«Su questo sono in corso degli accertamenti giudiziari ed è giusto che tutto venga istruito nelle sedi competenti. Ma io penso che ancora ne vedremo delle belle, non mancheranno sorprese. Tutto questo per dire che non lesinerò alcuno sforzo per arrivare alla revisione del processo».