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Morcone: “I ragazzini perduti: l’obbligo scolastico il miglior rimedio”

È ancora forte l’eco dei quattro minorenni di etnia Rom che a bordo di un’auto rubata hanno travolto e ucciso una donna di 71 anni a Milano. Il prefetto Mario Morcone, oggi assessore alla Sicurezza della Regione Campania, ha affrontato la gestione delle politiche per l’inclusione più volte nei suoi ruoli istituzionali.

Prefetto, come valuta l’incidente di Milano?

«È un evento che ci interpella tutti. È chiaro che questi ragazzi devono assumersi la responsabilità, nei limiti consentiti dalla loro età, per la gravissima leggerezza commessa».

La famiglia ha responsabilità?

«Certamente. Una famiglia, Rom o non Rom, che consente a un tredicenne di usare un’auto fino a provocare un reato così grave, si assume una responsabilità che il magistrato dovrà valutare con grande attenzione. Non credo che, almeno per ora, questi ragazzi possano rientrare in famiglia».

Come si collega questo episodio al tema più ampio dell’inclusione dei Rom?

«In Campania abbiamo situazioni molto critiche, come il campo di Giugliano in via Carrafiello. Con il progetto “Abramo” abbiamo avviato percorsi che almeno sul piano scolastico stanno funzionando. Per me il punto di partenza è impedire l’abbandono scolastico: andare a scuola aiuta a rispettare le regole, curare l’igiene. È il tema fondamentale d’incontro con i Rom: non consentire l’abbandono scolastico da parte dei ragazzi. È un percorso che gli consente di assumere comportamenti corretti. Poi si tratta di cercare occasioni di lavoro, soprattutto per le donne, più disponibili a percorsi di inclusione».

Le istituzioni locali come reagiscono?

«I sindaci pensano più a spostare il problema altrove che ad affrontarlo. In Campania ci sostengono soprattutto realtà del mondo cattolico, come il vescovo Giuseppe Mazzafaro, la Curia e la Caritas. Ma a livello locale c’è ancora la cattiva abitudine di tenere distante il problema».

Come si supera la logica dei campi?

«I campi non sono più riproponibili e le regole europee ne presuppongono il superamento. A Giugliano abbiamo pensato di utilizzare beni confiscati per sistemare famiglie Rom, ma non è semplice: parliamo di famiglie allargate di 30-40 persone. Non puoi prendere padre, madre e figli e piazzarli di colpo in un appartamento. Occorre dialogare con i capifamiglia e convincerli, offrendo opportunità».

Quindi il modello abitativo va adattato alla cultura delle comunità?

«Esatto. La casa singola può funzionare in casi isolati, ma in genere serve una sistemazione che rispetti le relazioni di gruppo. Se li isoli, dopo pochi giorni se ne vanno. Convincerli a trasferirsi in blocco è la vera sfida, e non sempre la comunità locale aiuta: a Giugliano abbiamo ricevuto minacce e proteste per l’uso dei beni confiscati e per l’arrivo di famiglie Rom».

Che atteggiamento serve per gestire questi processi?

«Pazienza, preparazione e mediazione. Ci sono operatori e insegnanti straordinari che lavorano con passione, ma servono progetti continui».

Tornando al caso di Milano, c’è chi propone di “radere al suolo il campo” che ospita la famiglia dei minori.

«C’è una parte di persone che vivono di pregiudizi e magari non conoscono i problemi, non se ne occupano. C’è una parte di persone invece che queste cose le vivono con una ricchezza culturale diversa. C’è infine chi coglie queste occasioni per un ulteriore indurimento. Come ho detto, ognuno deve essere responsabile delle proprie azioni. Però non credo alle “soluzioni militari”: non risolvono nulla, né per i Rom né per altri. I problemi si affrontano con politiche strutturate, anche se lente e complesse, non con scorciatoie punitive».

Come giudica la reazione politica e mediatica?

«I problemi non si risolvono con scorciatoie, per cui io aumento le pene, mi invento dei reati e così ho risolto il problema. Invece alla fine così non avrò risolto niente. La lasci fare a me, invece, una polemica: poche ore fa sono morte annegate 27 persone nel Mediterraneo, che non suscitano la stessa indignazione. Qualche editorialista ha scritto che tutto questo è colpa del nostro buonismo. Ora, francamente, faccio davvero fatica a capire come il nostro buonismo possa causare 27 morti nel Mediterraneo. Lo trovo miserabile: non è la politica che apprezzo».

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