Giù le mani dalla Giusi. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio si erge a protezione della Capo di gabinetto di via Arenula Giusi Bartolozzi, giorno dopo giorno sempre più “protagonista” del pasticcio Almasri per cui i vertici governativi della nostra sicurezza rischiano il processo per reati che vanno dal favoreggiamento all’omissione di atti di ufficio e peculato.
Il punto è che se i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, autorità delegata all’intelligence, potranno beneficiare dello scudo ministeriale (il Parlamento non autorizzerà il processo), la faccenda potrebbe complicarsi per le figure tecniche, tra cui Bartolozzi, il cui comportamento è definito “mendace” dai giudici del Tribunale dei ministri. Nordio dice basta alle “illazioni”: “Tutte le sue azioni sono state esecutive dei miei ordini di cui ovviamente mi assumo la responsabilità politica e giuridica”. A scanso di equivoci, qualora mai il Tribunale ordinario decidesse di procedere nei confronti del Capo di gabinetto di via Arenula, è già pronta la soluzione. Cioè lo scudo: l’immunità del ministro sarà infatti automaticamente estesa a Bartolozzi perchè, ai sensi della legge 219 del 1989, è “braccio operativo del ministro”.
Conviene allora soffermarsi sui passaggi delle 1400 pagine della richiesta dove Giusi Bartolozzi è protagonista. I fatti si svolgono tra il 18 gennaio, data in cui la Corte penale internazionale (Cpi) firma il mandato di arresto per Osama Almasri per crimini contro l’umanità e il 21 gennaio quando il generale libico viene scarcerato, messo su un Falcon della Presidenza del Consiglio e riportato in Libia.
La mattina del 19 gennaio la Digos e l’Antiterrorismo della questura di Torino eseguono l’arresto. Nelle stesse ore tutti i canali vengono attivati per le dovute informazioni: ministero della Giustizia, ministero dell’Interno, ministero degli Esteri e Corte d’appello di Roma competente per la convalida dell’arresto. Lo sviluppo dei fatti in quei tre giorni, a cavallo di un fine settimana, sono ormai noti: l’arresto, eseguito dalla polizia, doveva essere convalidato dalla Corte d’appello che a sua volta doveva avere il visto del ministro della Giustizia. Quel via libera non è mai arrivato (o è stato bloccato?) e così Almasri è stato liberato.
Ciò che qui interessa è il dettaglio dei verbali di sommarie informazioni resi tra l’8 e il 31 marzo. L’8 marzo è stato sentito Luigi Birritteri, capo dipartimento per gli Affari di giustizia di via Arenula (incarico poi lasciato per dissidi interni con Bartolozzi), la dottoressa Cristina Lucchini direttore dell’Ufficio di cooperazione giudiziaria internazionale. Il 31 marzo sono stati sentiti Augusto Massari, consigliere diplomatico del ministero della Giustizia, Maria Emanuela Guerra, direttore internazionale degli Affari internazionali e la stessa Bartolozzi.
Merita evidenziare anche che, in quelle ore frenetiche – si stava finalmente arrestando un pericoloso criminale – tra le missive della Cpi si trovano le raccomandazioni alle “Autorità italiane di interpellare la Corte per ogni dubbio o ostacolo”. Nessuno però in quei tre giorni (domenica 19 e martedì 21) ha scritto alla Corte.
Birritteri spiega alcuni passaggi. Il primo: “il Dag, (Dipartimento affari giuridici, di cui era all’epoca dirigente, ndr) è l’organo tecnico che di norma cura l’istruttoria e predisponeva gli atti che poi il Ministro decideva di firmare o meno”. Nella vicenda Almasri, però, “il consigliere diplomatico del ministro Nordio aveva girato la richiesta di cooperazione solo al Capo di gabinetto Giusi Bartolozzi che – dice Birritteri a verbale – aveva ritenuto di gestire la procedura in maniera completamente differente” escludendo nei fatti gli uffici tecnici.
Bartolozzi, sentita il 31 marzo, ha spiegato di aver subito saputo dell’arresto di Almasri, il 19 mattina, e di essere stata coinvolta in un giro di riunioni supersegrete con Mantovano, Caravelli (Aise) e i vertici del Viminale e della polizia. Per questo non aveva coinvolto gli uffici e anzi si era raccomandata di “comunicare solo via Signal e di non fare le mail interne”.
Gli uffici però, come quello di Birritteri, già sapevano (il 19 gennaio alle 8-30) e si erano comunque messi a lavorare come di consueto. Le dottoresse Guerra e Lucchini hanno avuto da subito perplessità sulle modalità dell’arresto (le stesse sollevate dalla Corte d’Appello) perchè “era stato operato dalla Pg senza un passaggio dal Ministero”. Da notare che la mattina del 19 gennaio in via Arenula erano già disponibili tutti i verbali e la relative traduzioni in italiano dall’inglese e dall’arabo. Circostanza negata dal ministro e anche dalla Bartolozzi salvo poi correggersi davanti ai giudici del Tribunale dei ministri.
“Alle 13 del 19 gennaio – dice Birritteri – scrivo via whatsapp al Capo di gabinetto spiegando che la situazione è urgente e va gestita in fretta”. Il fermo di Pg, per cui Almasri era già in carcere, andava convalidato dalla Corte d’appello entro 48 ore, sarebbe scaduto a fine mattinata del 21 gennaio. La risposta di Bartolozzi fu: “Sono già informata. Ci sono riunioni tecniche in corso. Parlate il meno possibile e solo su Signal”.
In quei giorni le riunioni (“non si capisce se in presenza o a distanza, non esistono verbali) avvengono a palazzo Chigi. Gli uffici di via Arenula vengono tagliati fuori. Bartolozzi ha “deciso di accentrare tutto” ma precisa di “aver come sempre avvisato il ministro di ogni passaggio, noi ci sentiamo anche quaranta volte al giorno”. A verbale, il Capo di gabinetto riconosce che “i colleghi (Guerra, Lucchini, Birritteri, ndr) sono molto esperti nel settore dal punto di vista tecnico”, ammette di “aver ricevuto da loro una bozza di provvedimento (per convalidare l’arresto di Almasri, ndr) ma di non averla sottoposta al ministro e neppure di avergli prospettato la sua esistenza perchè mancava tutta la parte che io sapevo e che noi stavano coltivando con i Servizi. Un quadro molto complesso di cui io e il ministro eravamo a conoscenza”. In questi casi, ha aggiunto, “non si mette in dubbio ciò che dicono i Servizi. La valutazione era soprattutto politica”. Non solo: sempre Bartolozzi spiega che “non eravamo tenuti a rispondere alla Procura generale. Non è stato neppure valutato. E comunque poi Almasri è stato liberato”.
La sensazione netta, leggendo le carte, è che la volontà primaria e politica sia sempre stata quella di liberare Almasri il prima possibile perchè “ci potevano essere ritorsioni da parte dei libici nei confronti di cittadini italiani in Libia”. Per il Tribunale dei ministri le dichiarazioni di Bartolozzi sono “inattendibili e mendaci”. Di sicuro non coincidono con le versioni rese al Parlamento il 5 febbraio dai ministri Nordio e Piantedosi.