«Non posso perdere un anno di tempo a farmi logorare da un’inchiesta. Non attacco i giudici. Dico basta a una storia che non si deve ripetere più, quella del solito presidente di Regione che sopravvive dimezzato ad un’inchiesta della magistratura creando così le condizioni per far vincere la parte avversa».
Roberto Occhiuto è appena sceso dal palco a Catanzaro che sta ospitando la convention di Forza Italia. Applausi e tante emozioni. Giornata lunga, pesante ma, dice, «mi sento bene, forte, dalla parte giusta». Ammette che spingere il tasto “invio” sul video social con cui l’altra sera ha annunciato le dimissioni e la contestuale ricandidatura dalla Presidenza della Regione Calabria non è stato «un gesto fatto in leggerezza». Il momento peggiore è stato prima, la valutazione degli effetti collaterali, compreso il fatto che quando ti dimetti poi non sai mai come va a finire. «Ma ho fatto l’unica cosa possibile per invertire la storia di questa regione».
Presidente, tutto confermato? Sicuro che nelle prossime ore qualcuno o qualcosa non le faccia cambiare idea?
«Impossibile. La mia scelta è stata condivisa con tutti i leader nazionali della coalizione. Prima di registrare il video ha parlato con Antonio Tajani, Maurizio Lupi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Hanno tutti condiviso e direi anche apprezzato le mie ragioni».
La più importante?
«Non mi dimetto perché indagato per corruzione. Mi sono dimesso e mi ricandido perché mi ribello al logoramento e alla paralisi dell’azione politica e amministrativa. Due mesi fa, quando seppi la notizia delle mia iscrizione al registro, confesso che ero preoccupato, o meglio, dispiaciuto. Poi ho visto cosa sta succedendo in questi mesi: la paralisi dei cantieri, delle decisioni, nessuno firma più nulla, paura, indecisione. È iniziato il logoramento. E io non ci sto a fare il presidente dimezzato».
Le viene in mente Sala a Milano?
«Non conosco quell’inchiesta. Resto convinto che non ci si deve dimettere per un avviso di garanzia. Ciò detto, la Calabria non è Milano. Non può permettersi di stare ferma un anno. Anni di immobilismo, e anche malaffare, l’hanno ridotta così. Adesso siamo ripartiti, non tutto è perfetto e tanto ancora deve essere fatto, ma questa regione si sta muovendo, cantieri, sanità, e non ci possiamo permettere di stare fermi in attesa che la magistratura chiuda l’inchiesta».
Lei sembra molto sicuro del fatto suo. Anche rispetto all’inchiesta in cui è coinvolto.
«Io ho la coscienza a posto. L’interrogatorio davanti ai pm del 23 luglio mi ha convinto di aver chiarito la mia posizione. Come sa, ho chiesto io di essere sentito e non era obbligatorio per loro sentirmi. Siamo stati faccia a faccia per quattro ore. Vede, io non ce l’ho con i magistrati a cui riconosco un ruolo fondamentale soprattutto in questa regione. Il problema è che il riverbero di un avviso di garanzia si traduce nella paralisi dell’amministrazione. È questo il problema».
Inchieste, paralisi, logoramento della giunta in carica e strada spianata all’avversario politico che poi sarò a sua volta logorato da un’altra inchiesta…
«Appunto, è la storia della Calabria degli ultimi trent’anni. Giuseppe Chiaravalloti, Forza Italia; Agazio Loiero, Pd; Giuseppe Scopelliti di Forza Italia; Mario Oliverio del Pd… Li ho messi in fila, per carica e partito di provenienza. Sono i governatori della Calabria degli ultimi venticinque anni e hanno tutti condiviso un comune destino: indagati, logorati dai tempi delle inchieste, quasi tutti assolti. Vede bene come si sono alternati: prima la destra poi la sinistra, poi ancora la destra e la sinistra, fuori uno avanti l’altro. Allora, io questo film non lo voglio più vedere e il finale questa volta ho deciso di farlo scrivere ai calabresi portandoli al voto».
Una mossa del cavallo. Con quale reale obiettivo?
«Questa mia scelta è un messaggio con tanti destinatari. Ripeto, non son contro l’azione della magistratura al cui fianco sto combattendo battaglie sull’acqua, sulla sanità. Non c’è dubbio però che i tempi della giustizia non siano quelli della politica. Qualcosa su questo punto deve cambiare, una soluzione va trovata».
Poi, altri destinatari?
«La politica stracciona, quella che non propone nulla e però appena sente odore un’inchiesta fa sciacallaggio convinta che tanto la prossima volta tocca alla sua parte politica. Oltre alla politica stracciona metto anche certa informazione per non parlare dei registi via social. Ecco, a tutto questo ho detto no».
Anche la burocrazia e l’amministrazione sono straccione nel senso in cui intende lei?
«Ho saputo l’11 giugno di essere indagato. Da allora nei miei uffici nessuno fa più nulla, non si firmano documenti, autorizzazioni, permessi. Gli uffici hanno paura. E fermano tutto. Ecco perché un gesto così radicale come le dimissioni: anch’io ho bisogno di capire tante cose. Ad esempio lunedì riunirò tutte le direzioni generali della giunta della Regione Calabria e dirò chiaro che io sono convinto di vincere e che deciderò con chi proseguire il mio cammino nella seconda giunta Occhiuto in base a come lavoreranno in questi mesi di campagna elettorale. Parlerò con tutti, in modo molto chiaro. E dirò che senza coraggio non si amministra la Calabria».
Coraggio e coscienza pulita.
«Certo, poi si può sempre fare qualche errore ma in assoluta buona fede, senza vantaggio personale. Io vorrei essere ascoltato soprattutto da tanti politici e amministratori locali che subiscono passivamente e magari ascoltano troppo passivamente i propri avvocati. Inizia così il logoramento dell’azione politica».
Che lei rifiuta. Quasi un manifesto politico. Punta a ruoli importanti nel partito?
«Io voglio far ripartire la Calabria. Voglio toglierle di dosso l’immobilismo. Ce la possiamo fare. Questo è il mio progetto politico».
Così saranno sette le regioni al voto in autunno. Non crede di complicare gli equilibri nel centrodestra con questa decisione? Meloni ha già il suo bel da fare nel decidere i candidati in Veneto. E nel gestire i mal di pancia in Fratelli d’Italia.
«Ripeto, erano tutti informati e hanno appoggiato la mia scelta. Io ho il dovere di pensare alla mia regione e devo evitare lo stallo figlio dell’inchiesta. Poi, in tutta franchezza credo che il problema lo abbia più il centrosinistra che non sa chi candidare. Ho notato che si sono molto arrabbiati, spiazzati dalle mie dimissioni. Capisco: più facile logorare e vincere per inerzia la volta dopo. La storia della Calabria».
Però il governo della sua parte politica ha appena tagliato undici miliardi di Pnrr destinati in buona parte alla sua regione per l’alta velocità. Magari si è dimesso anche per questo?
«Non è un taglio. È una riprogrammazione perché i cantieri non ci sono e rischiamo di perdere i soldi. Io mi sto battendo per far arrivare in Calabria almeno il miliardo indispensabile per completare il tratto di alta velocità fino a Praia a Mare. Per i calabresi vuol dire risparmiare mezz’ora per andare a Roma. Sarà un punto fermo della campagna elettorale».
Il primo a congratularsi ieri è stato Salvini, il papà della legge sull’autonomia regionale. Crede che il leader della Lega possa approfittare del voto per il ponte sullo Stretto?
«Matteo Salvini ha compreso perfettamente e ha condiviso le ragioni della mie dimissioni e della mia ricandidatura».
Come commenta la svolta di Conte che abdica al giustizialismo sfrenato e appoggia Ricci nelle Marche?
«Una buona notizia».
Quando andrete a votare?
«Spero già in ottobre. La Calabria non può attendere e meno che mai perdere tempo».