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Urbani: «Berlusconi Jr inesperto. Ingiuste le accuse a Tajani»

Pier silvio berlusconi e Giuliano Urbani

L’ex ministro della cultura: «Il centrodestra deve seguire il solco del Cavaliere. Lui era un politico già prima della discesa in campo»

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«La politica sembra un affare per tutti perché tutti possono aprir bocca, è un po’ come andare dal barbiere: la cosa importante è chiacchierare. In realtà però occorre avere una preparazione di base. Credo che quella di Pier Silvio Berlusconi sull’anzianità della classe dirigente di Fi sia stata un’uscita a vuoto». Prima di iniziare la sua conversazione con l’Altravoce, Giuliano Urbani tiene però a precisare: «Non conosco personalmente Pier Silvio Berlusconi. Quando facevo politica lui era poco più che un ragazzino».

Oltre ad essere stato tra gli artefici della prima grande coalizione di centrodestra nel ’94, Urbani è stato per più di dieci anni deputato di Forza Italia, nonché ministro della cultura del governo Berlusconi II dal 2001 al 2005.

Ha detto di non conoscere bene Pier Silvio. Tajani invece lo conosce bene?

«Sì, lui lo conosco molto bene, perché quando si trattò di prendere contatti solidi con An e con Fini, fu proprio Tajani ad accompagnarmi a dialogare con gli “ambasciatori” di An. All’epoca lui era responsabile della redazione romana del Giornale di Montanelli, di cui io ero editorialista. Starei molto attento a pensare che sia semplice sostituire l’attuale classe dirigente di Forza Italia. L’uscita di Pier Silvio denota una certa faciloneria. Il giovane Berlusconi ha sicuramente un grande successo nel suo campo imprenditoriale, ma non è detto che questi successi siano trasferibili in ambito politico».

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Però, mi permetta l’obiezione, anche Berlusconi padre ha trasferito il suo successo imprenditoriale in politica. Che cosa manca a Pier Silvio per ripercorrere le orme del Cavaliere?

«Gli manca l’esperienza, quell’esperienza che Silvio aveva acquisito per difendere Mediaset e le sue aziende e che lo aveva costretto ad avere una lunga consuetudine con la politica già prima della discesa in campo».

Come interpreta l’endorsement di Pier Silvio a Meloni?

«Io non lo interpreto come un endorsement, ma semmai come un avviso: “attenta, Meloni, guardati le spalle dai nemici e anche dagli amici”. La Meloni è brava di suo: è una persona umile, intelligente, pragmatica. È riuscita ad avere successo in Italia e nel mondo, si è fatta rispettare negli Usa e in Europa. Attaccare Tajani come ha fatto Pier Silvio significa indebolire la Meloni, perché significa avere una Forza Italia più critica nei confronti della premier. Fossi nel giovane Berlusconi mi guarderei bene dall’esprimere giudizi affrettati, perché corre il rischio di destabilizzare il governo e la coalizione di maggioranza».

Non è che voglia invece provare a collocarsi nello stesso spazio politico di Meloni per contenderle, un domani, la leadership del centrodestra?

«Se questo fosse il disegno sarebbe un disegno suicida. In questo momento il centrodestra ha un capo unico, hanno avuto la fortuna di trovare una persona che sta dimostrando delle capacità notevolissime. Devono conservarla, altrimenti sarà un suicidio».

Non vede il rischio che un partito di matrice liberale come Forza Italia finisca per accodarsi al sovranismo di Meloni?

«L’impronta di Meloni non è sovranista. È un’impronta internazionalista che – certo – difende a spada tratta gli interessi nazionali. Altrimenti non si spiegherebbero gli elogi che vengono da sinistra: da quelli di Cacciari sul fronte intellettuale a quelli – nientemeno – di D’Alema. Quelli di D’Alema sono elogi a una politica che non è riuscita a lui. Io ho simpatia per coloro che vogliono rinforzare la coalizione che ho contribuito a fondare, ma a patto che non scherzino col fuoco. Devono un po’ amarsi se vogliono costruire qualcosa che sia effettivamente una cattedrale politica e non appaia soltanto tale».

A proposito, che differenze vede tra l’attuale coalizione di centrodestra e quella che lei ha contribuito a fondare? Nel ‘94 Berlusconi riuscì a tenere insieme i post-fascisti di An e i secessionisti della Lega Nord. Nella coalizione attuale sembra esserci più margine per una convergenza politica e ideologica rispetto all’epoca.

«La coalizione che abbiamo creato negli anni ‘90 era fondata su una cosa di cui con Silvio Berlusconi discutevamo fin dall’inizio: i comunisti e i “fascisti” non avevano diritto di cittadinanza. I comunisti erano eredi di una forza storica e globale. Ora, grazie al cielo, quelle forze non esistono più, checché ne dica la sinistra, che continua a vedere rigurgiti di fascismo. Ma se il centrodestra vuole rinforzarsi non deve ammettere diatribe interne. La speranza è che possa offrire al paese un governo solido, forte e rappresentativo».

Silvio Berlusconi e Giuliano Urbani
Silvio Berlusconi e Giuliano Urbani

Esistono autentici liberali nel centrodestra?

«Io sono liberale da tutta la vita e Silvio Berlusconi è stato tra i primi ad avere il coraggio e la forza di dichiararsi apertamente liberale. Poi lo era fin lì e fin là, a suo modo, tanto che negli ultimi tempi ho dovuto allontanarmi. Ciò malgrado, si tratta di proseguire sulla strada che lui ha tracciato. Per quanto la cosa possa apparire stravagante, la Meloni ora è, di fatto, la leader del liberalismo italiano. So bene che viene da An, ma resta il fatto che il destino ci ha riservato questa signora e credo che il centrodestra debba tenersela stretta».

Lei ha incontrato anche Giovanni Malagodi, storico segretario del Partito Liberale.

«Ricordo che quando Malagodi voleva individuare la successione alla leadership del partito, iniziò una campagna elettorale in mio favore per farmi diventare leader del PLI. Io risposi che, avendo moglie e figli, non potevo pensare di essere leader dei liberali in un paese guidato dai democristiani e con i comunisti all’opposizione (ride). I liberali sono sempre stati minoranza in questo paese».

È stato ministro della cultura del secondo governo Berlusconi. Cosa pensa della successione dei due ministri della cultura dell’attuale governo?

«Sul ministero della cultura il governo Meloni è stato particolarmente sfortunato, perché ha incrociato due persone completamente inadatte a quel ruolo, non dotate del coraggio e della lungimiranza necessari. Quando insistetti per redigere il primo codice dei beni culturali italiani tutti si meravigliarono. Ora vedo che quel codice ha un grande seguito a destra e a sinistra, perché fissa le regole del gioco di tutti coloro che si interessano di cultura. Questo deve fare la politica: fissare le regole del gioco. Torniamo al nostro punto di partenza: la politica non si fa per caso, si fa studiando e applicandosi. Tutto qui».

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