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«Antò fa caldo», quando l’emergenza climatica non è più uno spot

lo spot NESTEA (2001) vede come ambientazione una stanza da letto in penombra, con una donna (Luisa Ranieri) addormentata e il marito accanto

Sudati e smarriti, siamo comici, drammaticamente inadeguati. «Fa caldo», lo ripetiamo con tono apocalittico, per giustificare ogni mancanza

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Antò fa caldo, e si sorrideva maliziosi facendo il verso a Luisa Ranieri bellissima e accaldata nello spot del Nestea. Era il 2001, un’altra era climatica, sui giorni surriscaldati si poteva ancora scherzare. «Antò fa caldo», per anni un tormentone insieme a «na’ birra e un calippo», tra i rimedi più improbabili per sconfiggere l’afa, e «sto a schiumà» per indicare il surriscaldamento delle ascelle e quell’effetto da scioglimento dei ghiacciai. Adesso, nemmeno più l’energia per ridere, evaporata anche quella. E tra bollini rossi, collassi, incendi, vittime, previsioni di catastrofi si scioglie al sole anche la voglia da scherzare.

Eppure, sudati e smarriti, siamo involontariamente comici, drammaticamente inadeguati. «Fa caldo», lo ripetiamo ogni istante, ma con tono grave, quasi apocalittico, molto spesso assolutorio, per giustificare qualsiasi mancanza. Se siamo distratti, cafoni, pigri, procrastinatori, inaffidabili, bugiardi, come spesso d’altra parte, adesso esigiamo tolleranza, pretendiamo perdono: fa caldo!

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Sei in ritardo di mezz’ora! Fa caldo… Era una videocall, ti collegavi da casa! Ma fa caldo! Hai chiamato il tecnico dell’aria condizionata? Fa caldo! Una telefonata…. Ma fa caldo! Vai a prendere tu i bambini al centro estivo? Vacci tu, fa caldo! Ha caldo anche lei, ovviamente, ma la legge del termometro vale sempre, per lui 37,01 è febbre alta, nella stagione dell’influenza, e 36 gradi sul cruscotto è agonia.

E così la spesa, il ricorso, la consegna, l’esame, le pulizie, il post, la call. Se tutto si fa male o non si fa proprio, c’è una ragione superiore, insindacabile, oggettiva, certificata dai bollini rossi. Anche la maleducazione si giustifica con il caldo. Scusi, mi ha fregato il parcheggio… Signo’, fa caldo! Stronzo, fammi passare….Ma come si permette? Fa caldo! Mi ha dato una spinta…Fa caldo! Sudiamo e ci assolviamo.

Le temperature impossibili diventano un alibi collettivo, la più clamorosa strategia di deresponsabilizzazione. Ci mettiamo in pausa, dai pensieri, dalle azioni e dalle buone maniere, senza un alito di senso di colpa. Fa caldo!
Indifferenti anche alla battaglia politica che si scatena sui 40 gradi, tra la destra accusata di sottovalutarli e la sinistra di farne una questione ideologica. Ne discutiamo più in là, tra dieci gradi in meno, ora no, fa troppo caldo! Irritati da chi ha voglia di litigare e si scalda, come se l’asfalto bollente non fosse lo stesso per tutti. Destra o sinistra? Sapete che c’è, andiamo dove fa più fresco. Il qualunquismo del caldo.

Ci assolviamo come individui e adesso anche come specie. Gli scienziati ci hanno detto che il riscaldamento globale è troppo rapido e gli esseri umani non hanno il tempo di adattarsi. Che volete da noi? Non ce la possiamo fare. Noi, l’umanità. Ok, ma chi ha reso la terra una palla di fuoco? Vogliamo farci qualche domanda? Trovare insieme risposte e soluzioni? Non adesso, scusate, con i pensieri appannati. Fa caldo!

E così, fiacchi e confusi, ci sentiamo accomunati da una nuova fragilità, tutti insieme in balia dei termometri impazziti, di eventi di cui non abbiamo controllo, di un ciclone che non guarda ai confini, travolge nord e sud, rimpicciolisce il mondo. Qui a Parigi, si muore. A Parigi? Pensavamo che Tunisi si fermasse a Roma, e invece.
Bolliti, rassegnati e inquieti, quasi terrorizzati, perché quella sensazione di catastrofe spalanca pensieri difficilmente governabili sulla nostra finitezza, sul senso dell’esistenza, sulla precarietà del vivere con le ondate di calore che non sono più ondate, arrivano e non se ne vanno.

Come svegliarsi ogni mattina con un terremoto, non trema la terra ma noi alle prese con l’umidità. Ci sentiamo accomunati da questo destino bollente che non guarda genere, classe sociale, istruzione, lingua, nazionalità. La fratellanza del caldo, l’inclusività dei 38 gradi.

E sotto lo stesso cielo infuocato, che ancora ci si accanisce a surriscaldare con le esplosioni delle bombe, viene voglia di una tregua. Senza ragioni e trattative, senza tante discussioni, perché anche l’odio fa sudare. La pace del caldo. Sarebbe un sogno, un meraviglioso straordinario risarcimento a tutte le notti senza sonno. Ci ritroveremo insieme, felici, in piazza, con le bandiere arcobaleno, o come vi pare a voi, a ringraziare il caldo che ha fatto il miracolo della pace e ha reso il mondo migliore.

Svegliatevi, fine del sogno. Non andrà così nemmeno questa estate, continueremo a fare i paraculi, a rimandare con la scusa dei 38 gradi, a limitarci all’essenziale, a rotolarci sul divano sotto l’aria condizionata. Non mi chiedere di fare niente. Fa caldo!

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