18 Dicembre 2025

Direttore: Alessandro Barbano

17 Dic, 2025

«Ho 65 anni e cerco lavoro»: la storia di Guido, idraulico precario

Nel settore delle costruzioni italiano la fascia 50-64 anni è oggi la più numerosa con 616 mila addetti


Il pensionato di spalle davanti al cartello dei lavori in corso, con le mani incrociate dietro la schiena, rimanda un’immagine plastica e poetica di una terza età che dovrebbe stare a guardar cantieri mentre, nella realtà, in quei cantieri ci vive ancora. Quelli ancora al lavoro, nell’edilizia, dopo i 60 anni non sono eccezioni.

«Ho sessantacinque anni e sto cercando lavoro». Non è il titolo di un film dalla trama tragicomica, ma la storia di Guido, idraulico napoletano licenziato per somma di contratti a tempo e di nuovo in cerca di impiego. Ed è la storia di una generazione di italiani, soprattutto meridionali, che lavora da sempre ma non vede ancora la pensione.

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Con l’età più incidenti

La fotografia di un fenomeno che istituzioni e sindacati vedono solo quando accadono incidenti sul lavoro – come quello avvenuto a Napoli ad agosto, che ha visto coinvolti due ultrasessantenni ancora in cantiere – e che poi dimenticano. Un fenomeno più profondo e radicato del nero, regolare perché a norma, ma non per questo accettabile.

Nel 2024 il settore delle costruzioni italiano ha continuato a mostrare un profilo demografico maturo: secondo Cresme/Euroconstruct, la fascia 50-64 anni è oggi la più numerosa con 616 mila addetti e supera ampiamente i 15-34enni (che sono 322 mila) e i 35-49enni (623 mila). In totale, gli over 50 rappresentano circa il 40% della forza lavoro del comparto.

E benché i lavoratori con addirittura più di 65 anni restino una minoranza, la loro presenza cresce: nel 2024 la quota 65-89 anni è stimata al 3,4%, segnalando che una parte — piccola ma non marginale — degli ultrasessantenni continua a restare in cantiere.

Il motivo è il perdurare del nero in larghe fasce del Paese, dove molti hanno lavorato per cinquant’anni ma spesso senza alcun contratto e quindi si ritrovano senza contributi a sufficienza per andare in pensione, a meno di accettare la “sociale”, da fame. E quindi si va avanti a oltranza.


Subappalti e lavoro temporaneo

Il quadro si inserisce in un mercato del lavoro nazionale che vede aumentare la partecipazione dei 55-64enni, oggi occupati al 61,3%. Parallelamente, la filiera delle costruzioni è in espansione: nel 2024 Federcostruzioni stima 156 mila addetti in più, per un totale di 3,3 milioni di occupati, mentre la produzione nei primi nove mesi dell’anno è cresciuta del 6,4%.

Accanto a questi segnali di crescita, emerge però un’altra dinamica strutturale del comparto: la forte diffusione di subappalti e di rapporti di lavoro temporanei. Molte imprese, soprattutto nelle fasi di picco dei cantieri o nei lavori frammentati, ricorrono al subappalto per mantenere flessibilità e ridurre i costi fissi; un meccanismo che spesso coinvolge anche i lavoratori più anziani, chiamati per competenze specialistiche o per colmare carenze improvvise di personale.

Allo stesso modo, la prevalenza di contratti a tempo determinato — usati in alcuni casi fino al raggiungimento del limite massimo consentito — porta non di rado al mancato rinnovo o alla cessazione del rapporto prima di arrivare al tempo indeterminato.

Questo crea una zona grigia in cui la continuità lavorativa non è garantita, soprattutto per chi, superati i 60 anni, fatica a ricollocarsi in modo stabile.

La via del lavoro in nero

Operaio specializzato dopo molti anni di lavoro in proprio, Guido, 65 anni, napoletano, è una di quelle figure di cui il mercato si serve.

«Sono idraulico sin da quando ero ragazzino. Mio papà era muratore e insieme ai miei fratelli per anni abbiamo fatto ditta. Poi, dopo la morte di mio padre e con il cambiare dei tempi e la crisi della costruzione dovuta anche ai tanti vincoli imposti a Napoli e provincia, il settore si è come fermato. Mio fratello ha fatto un concorso nell’Asia (l’azienda del Comune di Napoli che si occupa di igiene ambientale, n.d.r.). Io ho continuato a fare l’idraulico, in proprio, ma tra i costi della partita Iva, le tasse e i rischi ho considerato che dovevo fare una scelta: pagare lo Stato o sfamare le mie due figlie».

A quel punto Guido ha scelto la via del nero. «Ho chiuso la partita Iva e ho cominciato a lavorare a nero, cose piccole, per tirare a campare. Per qualche anno sono andato avanti, poi le regole sono cambiate e ho avuto i primi problemi per comprare dei materiali».

Dormitori e materiali scadenti

Controlli, nuove norme e poi la fattura elettronica, le garanzie per gli acquisti a credito: il sistema, a partire dal 2010, è andato modificandosi per la tracciabilità della filiera e, per lavorare nell’edilizia – comprare materiali a credito, smaltire la risulta e via dicendo – Guido, come tanti piccoli operai, si è appoggiato ad altre ditte individuali. «Chiedi il favore a qualche amico, poi però ognuno pensa per sé», e quindi ha deciso di cercare un impiego alle dipendenze: alla soglia dei 50 anni, Guido si è trovato su un van per L’Aquila, diretto ai cantieri della ricostruzione post terremoto.

«Da ex terremotato campano, partire per andare in quelle zone mi fece un certo effetto e, potendo scegliere, non ci sarei andato. Ma non potevo fare altrimenti. Partivamo la domenica sera e per quindici giorni, a volte anche venti, a Napoli non ci tornavamo. Lì, tra materiali scadenti, orari massacranti, stipati la sera in piccoli dormitori, sembrava di vivere in un mondo sospeso, dove non si aspettava altro che arrivasse il venerdì del ritorno a Napoli».

Guido è andato avanti così per più di un anno. Poi è riuscito a trovare un posto in Campania. «Tramite un parente seppi che cercavano operai in un cantiere della metro a Napoli. Mia figlia mi stampò il curriculum in una copisteria vicina all’università, all’epoca studiava per diventare architetto, e lo portai a mano nel cantiere di piazza Municipio. Passarono alcuni giorni. Dopo Natale mi chiamarono. Ma non era la ditta i cui cartelli erano appesi davanti al cantiere»: in quel momento, Guido ebbe il primo dei suoi tanti contratti a tempo determinato, tutti ottenuti da ditte che lavorano in subappalto per grandi opere.

«Tre contratti, poi ti licenziamo. Ma non ti preoccupare: cerchiamo di farti rientrare con un’altra ditta»: glielo disse il capocantiere, quel giorno di tanti anni fa, e così è andata avanti.

Il miraggio dell’età pensionabile

Dalla metro, poi la costruzione di una scuola in Emilia-Romagna e, dopo qualche mese, di nuovo in Campania, con un’azienda che ha realizzato un polo residenziale in provincia di Avellino. Un annetto di contratti, lunghe pause tra una firma e l’altra coperte dalla cassa edile, poi il mancato rinnovo.

E ancora altre ditte, altre città. Ma mai un contratto a tempo indeterminato. Ogni volta quel mancato rinnovo del contratto, per Guido, ha sempre il sapore di un licenziamento.

«L’ultimo a fine novembre: mi occupavo di idraulica per una ditta che gestisce comparti residenziali in costruzione in diverse zone della Campania. Il capo mi ha chiamato e mi ha detto che non mi avrebbero rinnovato. Sono abituato, ma stavolta, a un mese da Natale e a sessantacinque anni appena compiuti, mi sono sentito molto abbattuto. Ricomincerò a cercare, ma fa male. E quindi il lunedì successivo ho preso le ferie che non avevo goduto. E il mio capo, sul gruppo di noi operai, sai cosa ha scritto? ‘Guido, ti sembra corretto non venire al lavoro?’ Mi sono sentito mortificato».

Al posto di Guido, a gennaio, ci sarà un operaio meno esperto, meno specializzato, più giovane e meno costoso. Il cantiere andrà avanti, la ditta anche. Ma Guido e la sua generazione resteranno incastrati in un limbo che l’innalzamento dell’età pensionabile ha reso un inferno.

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