17 Dicembre 2025

Direttore: Alessandro Barbano

16 Dic, 2025

Silver economy, la terza età è oro per la società

In Italia le politiche per la terza età non sono state in grado di adeguarsi al battito dell’orologio biologico della demografia, come se l’allungamento dell’attesa di vita a un certo punto divenisse non più un problema sociale, ma un fatto privato, a cui le persone e le loro famiglie devono provvedere in proprio. Il fiume Stige che separa queste due condizioni di vita è la disabilità.

Le persone vivono più a lungo e per molti anni in buona salute grazie ai progressi della medicina; ma arriva il momento in cui devono gettare la spugna. E in quel momento si accorgano che il sistema di sicurezza sociale – fino ad allora generoso e vigilante – diventa impotente. La sanità interviene nel caso di malattie acute; le prestazioni monetarie aggiuntive si limitano ad una prestazione universale (nel senso che non è condizionata dal reddito) che si chiama indennità di accompagnamento concessa solo se il soggetto è affetto da una totale impossibilità di provvedere alle indispensabili esigenze vitali. I percettori sono circa 2,4 milioni, in prevalenza donne (anche perché hanno una aspettativa di vita più lunga di quella degli uomini).

Negli ultimi anni si sono aggiunti a queste tutele congedi parentali e permessi retribuiti per l’assistenza dei familiari a carico.
C’è uno stereotipo dell’anziano ormai del tutto superato nella realtà dei fatti, ma protagonista della vulgata mediatica, in una sequenza che allinea la terza età al profilo del pensionato e alla condizione di povertà, se non addirittura di indigenza. In sostanza, ci portiamo appresso la figura del protagonista del film ‘’Umberto D.’’ di Vittorio De Sica.

In verità si tratta di una rappresentazione collegata al vizio nazionale di farci del male. Basterebbe, infatti, scorrere le statistiche dell’Ocse (non solo quando affronta il tema dei salari) per scoprire che la pensione media è più elevata in Italia della retribuzione media. Inoltre l’Italia ha un’aliquota contributiva pensionistica tra le più alte dell’OCSE, attestandosi intorno al 33% (rispetto a una media OCSE di circa il 18,2%), rendendola leader per contributi obbligatori, il che pesa significativamente sul cuneo fiscale e sulla spesa pensionistica pubblica complessiva, che è elevata (oltre il 15% del PIL), a fronte di una spesa pubblica LTC (long term care ovvero per un insieme di prestazioni eterogenee, prevalentemente in natura, erogate a livello locale per finalità socio-assistenziali rivolte ai disabili e agli anziani non autosufficienti) stimata, nel 2024, in 0,27 per cento del PIL di cui il 60,6 per cento è riferibile a prestazioni di natura non-residenziale e residenziale e il rimanente 39,4 per cento a trasferimenti in denaro.
Il confronto tra l’incidenza della spesa sul Pil per i due settori (al netto della componente sanitaria) mette bene in evidenza che il sistema tutela l’anziano di un’altra epoca (in un quadro demografico completamente diverso dall’attuale) che oggi – in conseguenza dell’invecchiamento e dell’incremento dell’attesa di vita – viene definito un anziano/giovane, tanto che la terza ha ceduto il passo ad una quarta età. Esiste del resto una nuova definizione degli anziani suddivisi in quattro sottogruppi: “giovani anziani”, cioè persone tra i 64 e i 74 anni, anziani (75-84 anni), “grandi vecchi” (85-99 anni) e centenari.

Soprattutto nel campo delle pensioni – la prestazione che contraddistingue la condizione dell’anziano – i requisiti anagrafici e contributivi sono stati modificati per tener conto dell’aspettativa di vita, senza adeguarsi tuttavia all’incremento dell’arco temporale durante il quale ha luogo la prestazione, che è poi il periodo della medesima durata messo a carico (nell’ambito del finanziamento a ripartizione) delle generazioni future.
Gian Carlo Blangiardo, autorevole demografo già presidente dell’Istat, ha calcolato che il rapporto tra il totale degli anni-vita destinati (verosimilmente) ad essere spesi in pensione e quelli che verrebbero vissuti al lavoro risulta pari all’80,02%. Un indicatore, quest’ultimo, che è identificabile come “indice di carico sociale prospettico” e consente di valutare l’equilibrio tra il potenziale produttivo e la domanda di welfare intrinsecamente presenti nella struttura della popolazione, in base alla sua composizione per sesso ed età alla data indicata. Per quanto riguarda gli indici di povertà, le coppie anziane sono la categoria meno colpita, con un’incidenza del 4,4%, due punti in meno rispetto alle coppie più giovani.

Ciò dimostra che, pur con importi spesso modesti, la pensione resta una risorsa stabile e un argine contro la povertà. In molti casi, il reddito del pensionato contribuisce anche al sostegno dei figli e dei nipoti, diventando una base di sicurezza per l’intera famiglia.
In proposito è bene separare il numero delle pensioni da quello dei pensionati, perché ci sono almeno 7 milioni di assegni che vengono redistribuiti sulla medesima platea; si pensi al caso delle donne pensionate, oltre tre milioni delle quali percepisce una pensione di reversibilità (contro le 500mila degli uomini). Quasi 10 milioni di anziani vivono in appartamenti di loro proprietà. È molto diffusa la pratica della vendita della nuda proprietà, nell’ambito di quella che viene definita la silver economy, un mercato che ha assunto una notevole importanza proprio in conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Se negli anni ’70-’80 del secolo scorso il mercato scoprì i teenager, in rapporto ai trend demografici di quei tempi non è difficile capire oggi l’importanza del nuovo mercato.
Oggi i processi tra loro in sinergia negativa della denatalità e dell’invecchiamento hanno trasformato la struttura demografica del Paese. Basti un solo dato: per ogni 100 nati sono presenti 170 settantenni. E la platea dei silver è formata da milioni di persone tuttora in buona salute, con la prospettiva di un’attesa di vita non breve e in crescita costante sia alla nascita che alla decorrenza della pensione, in grado di dedicarsi agli interessi e agli affetti trascurati durante la vita attiva.

È un cambiamento di visuale molto significativo, perché il mondo della terza età (come si diceva un tempo) non deve essere considerato come la ‘’terra di nessuno’’ dell’assistenzialismo, una sorta di cronicario sociale a cui vanno dedicate consistenti risorse del tutto improduttive; il che implica, anche in relazione all’allungamento delle aspettative, un mutamento evidente degli stili di vita. Orientare le politiche fiscali, sociali e contrattuali al potenziamento della silver economy può concorrere ad un processo di crescita dell’intera società.

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