Per l’America attenta a dove mette i piedi l’età dei tassi bassi può attendere. L’America di Donald Trump, invece scalpita. È bastata una frase calibrata pronunciata con la consueta severità da Jerome Powell, per congelare gli istinti del presidente Usa: “Non è ancora il momento di tagliare i tassi in modo aggressivo”. Fine del sogno. O forse solo inizio dell’incubo. Perché per il Presidente, che ha fatto della rombante crescita economica il cuore della sua narrazione economica, il colpo è duro. Il capo della Federal Reserve – sì, quello che Trump stesso ha nominato nel 2018 e poi sconfessato come fosse un consigliere infedele – ha ricordato che la Fed non è a servizio della Casa Bianca. E mentre la Fed vede ancora l’inflazione come un rischio da domare, Trump vorrebbe i tassi giù, a picco, subito. Anzi, ieri.
Il messaggio di Powell? “Se abbassiamo troppo i tassi, l’inflazione si scatena come un leone in gabbia, e allora dobbiamo correre a rimetterla a posto. E credetemi, non è una passeggiata.” Nel corso di un seminario a Rhode Island, tra un’occhiata al mare e l’altra, ha fatto sapere che la Fed si trova in una posizione da equilibrista su una corda tesa, con un’inflazione testarda, e un mercato del lavoro che traballa come un ballerino alle prime armi.
Le ricette di Powell sono chiare: niente tagli massicci, ma piccoli “aggiustamenti” che potrebbero arrivare a ottobre e dicembre con la delicatezza di chi maneggia un vaso di cristallo. Non più di mezzo punto per volta. “Troppo gas sull’acceleratore e rischiamo di dover mettere la retromarcia, troppo freno e facciamo aumentare la disoccupazione,” ha spiegato. Insomma, la politica monetaria è un incastro di pazienza, non un carnevale di promesse.
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E qui entra in scena Donald Trump, che di pazienza ne ha poca e ama le soluzioni veloci, o almeno così sembra dal suo vociare via Twitter e dalle sue critiche alla Fed. Già in passato, ha definito Powell “l’uomo sbagliato” per guidare la banca centrale, chiedendo tagli drastici ai tassi per dare una spinta all’economia. Salvo poi ritrovarsi con l’inflazione di nuovo arzilla. Ora che Powell gli dice “niente tagli selvaggi”, il presidente si ritrova con un nuovo scoglio da affrontare. Non a caso, ci sono diversi tentativi (falliti, per ora) di mettere mano alla Fed anche con il cambio di governatori.
L’ultimo episodio di guerriglia è stata la destituzione di Lisa Cook, una fedelissima di Powell accusata di aver manipolato le pratiche per ottenere un mutuo. Il tribunale l’ha reintegrata ma, nel frattempo la Casa Bianca, approfittando dell’uscita di uno dei consiglieri, ha nominato Stephen Miran, l’ideologo della politica economica di Trump. Per il momento, però, Jerome resta saldo, il suo mandato durerà a fino a maggio e promette di non cedere alle pressioni populiste.
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In questo panorama, Powell ha anche ricordato come la Fed sia stata un riferimento durante le tempeste economiche degli ultimi anni: le crisi del 2007-2009 e quella pandemica hanno lasciato cicatrici profonde, ma grazie alle manovre della banca centrale, gli Stati Uniti sono comunque riusciti a registrare performance migliori rispetto a molte altre grandi economie avanzate. Insomma, tra mareggiate e venti contrari, la barca americana tiene la rotta, anche se il capitano Trump avrebbe preferito una crociera a pieno motore.
Mentre Powell argina la voglia di tagli aggressivi, dall’altra parte del mondo i giganti della tecnologia – pensate a Nvidia, con i suoi cento miliardi di dollari pronti a scommettere sull’IA aperta – spingono l’acceleratore dell’innovazione senza guardarsi troppo indietro. Cina e Corea del Sud non stanno a guardare, e in questo clima di tensioni e corse tecnologiche, il messaggio di Powell suona come un monito serio: l’economia non è un gioco da cowboy, e chi pensa di pilotarla con le grida dal prato rischia di perdersi nella campagna.
In definitiva, mentre Trump sogna tagli ai tassi da far girare la testa ai mercati e ai cittadini, Powell gioca la partita con nervi saldi e un occhio all’inflazione che ancora bussa alla porta. Il finale? Probabilmente non sarà quello voluto dal presidente, ma almeno per ora, la Fed dimostra che – nonostante tutto – l’indipendenza e la prudenza sono ancora di moda a Washington.
E così, nel grande teatro della politica economica Usa il sipario cala su un nuovo duello: da una parte il Presidente Usa impaziente, dall’altra il banchiere capace di dire di no all’uomo più potente del mondo. Una storia che sembra un romanzo d’avventura, ma che si gioca nei numeri e nelle strategie di tassi, inflazione e lavoro.