Con la pubblicazione delle stime aggiornate dell’Istat sui conti economici nazionali per gli anni 2023-2024, il cantiere della legge di Bilancio entra nel vivo: i dati definitivi sulla crescita, il deficit e il debito aiutano il Mef a definire i margini di manovra sul fronte delle risorse disponibili, margini sempre troppo stretti di fronte alla molteplicità delle richieste sponsorizzate dai partiti della maggioranza e sollecitate da opposizioni e parti sociali. Alleggerire il carico fiscale, in particolare quello sostenuto dal ceto medio, è la priorità, ha detto la premier Giorgia Meloni e ribadito il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che domenica di fronte al popolo di Pontida è tornato a impegnarsi anche sulla pace fiscale, la rottamazione “cara” al suo segretario Matteo Salvini.
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Una promessa, quella del taglio delle tasse, di cui il dato Istat misura l’urgenza: nel 2024 la pressione fiscale ha fatto un balzo di oltre un punto percentuale, salendo al 42,5%, dal 41,2% del 2023 – il livello più alto dal 2020 – “a seguito di un aumento delle entrate fiscali e contributive (5,8%) superiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+2,7%)” spiega l’Istat, ma molti economisti chiamano in causa il fiscal drag: ovvero, in un sistema progressivo, con l’inflazione elevata i redditi nominali aumentano, scivolando in scaglioni Irpef più alti – a beneficio delle entrate -, ma il potere d’acquisto resta lo stesso o diminuisce.
Istat, confermate previsione di marzo
Ma torniamo al quadro macroeconomico e di finanza pubblica vidimato dall’Istat che conferma le previsioni di marzo sulla crescita del Pil nel 2024, che si attesta allo 0,7%, mentre rivede al rialzo all’1% quelle del 2023, che segna quindi +0,3% rispetto al dato diffuso in primavera. Un risultato quest’ultimo celebrato “con soddisfazione” dal titolare del Mef che venerdì ha incassato con altrettanta soddisfazione la promozione di Fitch, che ha alzato il rating dell’Italia da BBB a BBB+, con outlook positivo, e vede sempre più alla portata l’obiettivo di un rapporto deficit/Pil sotto la soglia del 3% già quest’anno e la chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo nella primavera del 2026.
Nel 2024, intanto, il deficit si è attestato al -3,4%, in linea con la precedente stima dell’istituto di statistica, e grandemente al di sotto del dato del 2027 quando il peso del superbonus l’aveva portato a segnare -7,2%. Buone notizie sul fronte del debito che in rapporto al Pil si attesta al 134,9%, in discesa rispetto al 135,3% della precedente stima.
«I dati sono sicuramente positivi per il Pil. Questa è la dimostrazione del fatto che lavorare bene e con prudenza premia sempre», commenta il viceministro dell’Economia Maurizio Leo. «Le stime dell’Istat, i giudizi delle agenzie di rating e quelli di tutti i più importanti istituti internazionali confermano che l’Italia è sulla strada giusta», aggiunge il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, anticipando che, nell’ambiato della manovra, il governo sta studiando «un nuovo strumento di incentivazione nazionale per le imprese con risorse nazionali che possa prendere il posto di Industria 4.0 e Transizione 5.0 sottoposta ai limiti del Green Deal europeo».
Se i ministri festeggiano, le opposizioni, M5s in testa, vedono nero: «Abbiamo un Pil 2024 a +0,7%, che inchioda l’Italia dietro tutto e tutti nello stesso anno», dicono citando «Ue +1%, Eurozona +0,9%, la tanto vituperata Francia +1,2%, Spagna +3,2%, Portogallo +1,9%, Grecia +2,3%, Belgio +1%, Olanda +1,1%».
Giorgetti atteso al Senato
Mercoledì, su richiesta delle opposizioni, Giorgetti farà il punto sulle prospettive economiche in vista della manovra nell’aula del Senato, dove tornerà il giorno dopo per il Question Time. I punti chiave della manovra sono ormai noi: sforbiciata dal 35 al 33% del secondo scaglione Irpef, ovvero per i redditi tra i 28 e 50mila euro, che si vorrebbe estendere fino a 60mila e che interesserebbe 13,6 milioni di contribuenti – su cui spingono FI e FdI soprattutto – per un costo di circa 2,5 miliardi nel primo caso, di 5 nel secondo; la rottamazione delle cartelle – fortemente voluta dalla Lega – che costerebbe altri 5 miliardi.
C’è poi la promessa di sterilizzare l’aumento automatico di tre mesi dell’età pensionabile che scatterebbe a partire dal 2027 – costo 3 miliardi –, la proroga del bonus casa al 50% (per cui era prevista la discesa al 36%, ndr), che in formula piena peserebbe 2 circa miliardi; la conferma dell’Ires premiale per le imprese, che si punta a rendere strutturale, e altro ancora. E le risorse? «Non c’è nessun tesoretto», ha avvertito Giorgetti.
Le entrate fiscali da sole certamente non bastano. Il titolare del Mef e Salvini puntano a un contributo delle banche – l’ipotesi più accreditata è quella di una nuova proroga delle Dta, le imposte attive differite -, mentre il leader di FI, Antonio Tajani, torna a mettere il veto sulla tassazione degli extraprofitti anzi, riferendosi ai dati Istat, afferma: «Bisogna abbassare la pressione fiscale». E si guarda anche ai numeri del concordato preventivo, i cui termini per l’adesione scadono a fine mese. Ma Leo, resta cauto: «I bilanci si fanno alla fine, non ancora abbiamo tutti gli elementi, vediamo».