La luna di miele è finita. Il presidente degli Stati Uniti è tornato a minacciare l’Unione europea sui dazi. Dopo aver osannato l’accordo siglato con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, come il migliore possibile, ha cambiato idea. Proprio a poche ore dagli annunci di Bruxelles di una rapida conclusione della dichiarazione congiunta.
Trump è tornato nella “modalità Trump” e ha avvertito la Ue che i dazi scatteranno al 35% (l’accordo firmato li prevede al 15%) se non verrà rispettato l’impegno a investire in beni americani. «L’Ue – ha dichiarato il Tycoon – ci ha assicurato 600 miliardi di dollari per farci quello che vogliamo». E ancora. Ha ipotizzato tariffe fino al 250% sui farmaci importati dagli States. Si partirà da una tassa più bassa, poi entro un anno le tariffe decolleranno. La motivazione è sempre la stessa: i farmaci devono essere made in Usa. Come tutto del resto.
Si torna così nella totale incertezza. A partire da semiconduttori e chip che, secondo fonti comunitarie, sarebbero soggetti al 15%. Ma Trump ha gelato Bruxelles: «Faremo un annuncio su semiconduttori e chip, che sono una categoria separata, perché vogliamo che siano prodotti negli Stati Uniti». Sembra dunque servire a poco la buona volontà dimostrata dall’Unione europea che ieri ha adottato le procedure d’urgenza per sospendere le contromisure alle tariffe americane che altrimenti sarebbero dovute entrare in vigore domani. Le parole dell’inquilino della Casa Bianca contrastano anche con le dichiarazioni del commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, che ha ribadito di essere in contatto con il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick e l’ambasciatore Jamieson Greer «per mettere in pratica l’accordo Ue-Usa di luglio, in tutti i suoi elementi. Il lavoro prosegue con spirito costruttivo».
Dall’osservatorio comunitario risulterebbero alcuni prodotti in esenzione da subito. Tra questi sembrerebbero per ora esclusi vini, liquori e birra. Ma il lavoro è in corso. Su questi prodotti la strategia di Bruxelles è di far leva sull’unicità delle produzioni. È vero infatti che anche negli Usa si produce vino, ma molte eccellenze vitivinicole europee non sono replicabili. Secondo Bruxelles sarebbe anche pronta al 90-95% la dichiarazione congiunta Usa-Ue finalizzata a creare un percorso condiviso per l’attuazione dell’intesa. I tempi sarebbero dunque stretti, anche se fonti della Commissione hanno affermato che ci potrebbero essere dei ritardi poiché le controparti americane sono impegnate con altri partner commerciali. Ma la visione ottimistica della Commissione, che aveva addirittura ipotizzato un riconoscimento da parte degli Usa di dazi al 15% per prodotti farmaceutici e semiconduttori, è stata immediatamente messa in discussione dallo stesso Trump che ha fatto saltare le “garanzie ottenute”. Tutto è ancora in gioco. A partire dalle auto gravate da tariffe del 25%, più il 2,5%, che secondo la Commissione dovrebbero scendere al 15%.
La Commissione infatti ancora ieri era pronta a ulteriori concessioni come l’aumento dell’import di aragoste e carne di bisonte dagli Stati Uniti. L’accordo stabilisce infatti l’apertura delle frontiere europee a una serie di prodotti agroalimentari per un valore di 70 miliardi, tra i quali anche frutta secca, soia, formaggi, prodotti lattiero-caseari selezionati, mangimi per animali domestici e fertilizzanti. Esclusi invece manzo, zucchero, etanolo e pollame.
Bruxelles continua a credere nella garanzia incassata con l’accordo firmato dalla von der Leyen. «Ci aspettiamo ulteriori turbolenze, ma abbiamo una polizza assicurativa molto chiara. Abbiamo una linea molto chiara, tracciata dalla presidente von der Leyen, di una tariffa del 15% applicabile per tutto, se, per un motivo o per l’altro, gli Usa non dovessero rispettarlo, avremmo i mezzi per reagire»: queste le valutazioni comunitarie. Ora però dopo il duro intervento di Trump la partita potrebbe riaprirsi, ma non in senso migliorativo come auspicato dai negoziatori europei. E l’Unione europea potrebbe tornare nella lista dei cattivi. Da cui invece, sempre ieri, (ma le posizioni durano lo spazio di un mattino) è uscita la Cina. «Il mio rapporto con Xi – ha affermato Trump – è molto buono. Penso che faremo un buon accordo». E ha annunciato un prossimo incontro a Pechino.
Intanto si continuano a fare i conti sull’impatto dei dazi al 15%. Un’analisi di Boston Consulting Group (Bcg) ha calcolato che i settori più colpiti sono metalli, moda e macchinari meccanici e per ciascuno di questi l’impatto è tra 8 e 9 miliardi di dollari. Secondo Bcg l’aliquota media sulle esportazioni italiane è salita dal 2,2% al 18%, con una particolare penalizzazione per fashion e lusso (+1,6 miliardi di dollari di dazi). Un vantaggio lo studio lo individua nelle nicchie del Made in Italy che consentono di superare meglio il caro costi. Restano comunque molte ombre sia sulla reale portata dell’intesa, sia sulle effettive ricadute. Per gli Stati Uniti invece non ci sono dubbi. Il risultato è stato raggiunto: il deficit commerciale si è ridotto sensibilmente del 16% a giugno.