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Dazi, Trump: «Possibile accordo con Ue, era brutale ora collabora»

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La scure sulla farmaceutica dal primo agosto. Lo stop and go del tycoon anche sul licenziamento del capo della Fed Jerome Powell

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Gli Stati Uniti sono prossimi a concludere un accordo commerciale con l’India, mentre si intravedono spiragli positivi anche nei negoziati con l’Unione Europea. Lo ha dichiarato l’ex presidente Donald Trump in un’intervista rilasciata a Real America’s Voice. “Siamo molto vicini a un’intesa con l’India e potremmo forse raggiungere un accordo anche con l’UE”, ha affermato Trump.

“L’Unione Europea è stata brutale in passato, ma ora si mostra molto più collaborativa. Vogliono chiudere un accordo, e sarà molto diverso da quello che abbiamo avuto per anni”. Più cauta, invece, la posizione sull’eventualità di un’intesa con il Canada, Paese che – come l’UE – sta valutando contromisure nel caso in cui i colloqui con Washington non portassero a risultati concreti. “È troppo presto per dirlo”, ha commentato Trump.

La scure di Trump sulla farmaceutica

Con o senza dazi l’obiettivo per le esportazioni italiane resta quello di raggiungere 700 miliardi. Lo ha più volte affermato il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e l’Ice lavora in questa direzione. Intanto ieri i dati sull’export di maggio, pubblicati dall’Istat, hanno fatto scattare il campanello d’allarme. Rispetto ad aprile le spedizioni sono calate del 2,3% (-3,1% nell’area extra-Ue) e sull’anno la flessione è stata dell’1,9% in valore e del 4,3% in quantità. Tra i paesi che hanno sostenuto il made in Italy spiccano anche gli Usa con un incremento sul 2024 del 2,6% (a fronte del crollo del 22,6% della Cina). Un andamento positivo su cui probabilmente ha inciso la corsa agli acquisti in vista della stangata annunciata da Trump. Per quanto riguarda il trend delle esportazioni nazionali la spinta è arrivata dagli articoli farmaceutici e dai prodotti alimentari e bevande.

E proprio la farmaceutica ieri è finita del mirino del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha minacciato dazi dal 1° agosto che colpiranno anche i semiconduttori. Insomma non si ferma il carosello di annunci, mentre tra Ue e Usa la trattativa va avanti. Per Tajani, che ha incontrato il segretario al Commercio Usa, Howard Lutnick («colloquio positivo», ha detto), «la partita è aperta, trattiamo a testa alta, però sappiamo bene che alla fine i negoziatori americani devono avere l’approvazione di Trump che è l’ultimo decisore in casa americana». Tajani ha anche sollecitato un intervento della Bce per «fare in modo che il rapporto euro-dollaro non sia così svantaggioso per l’euro che, oggi, è troppo forte».

Piazza Affari positiva

Ieri Piazza Affari è tornata su terreno positivo, forse perché gli operatori hanno visto qualche spiraglio all’orizzonte. Anche se le Borse europee hanno chiuso con il segno meno. In realtà si continua ad andare avanti con up e down in un negoziato definito dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, «lungo ed estenuante» e che non deve concludersi oltre la soglia del 10% perché altrimenti sarebbe «insostenibile».

Trump prepara lettera licenziamento Powell

Ma quello che verrà fuori dal cilindro di Trump è sempre più difficile da decodificare. Con la Ue (da qui il raggio di luce a Piazza Affari) è tornato a usare parole concilianti. Ma ha riacceso la miccia nei confronti del capo della Fed, Jerome Powell, per il quale avrebbe preparato la lettera di licenziamento. Che per il momento sembra destinata a restare nel cassetto: «Il suo licenziamento è altamente improbabile, a meno che non debba lasciare per frode», ha affermato durante l’incontro nello Studio Ovale con il principe ereditario del Bahrain, Salman bin Hamad Al Khalif. Il tycoon ha intensificato lo scontro con il presidente del Brasile Lula avviando un’indagine sulle pratiche commerciali «sleali» del Paese. Miele invece per il Bahrein, che si è impegnato a investire 17 miliardi di dollari.

Zoppas: «L’incertezza è la cosa più impattante»

Tornando all’Italia e al suo sistema produttivo le tariffe doganali sono oggi – come ha dichiarato il presidente dell’Ice Matteo Zoppas – «la preoccupazione più grande. Ma uno degli elementi più impattanti in questo momento è l’incertezza sui dazi che tiene ferme alcune dinamiche dell’export. Speriamo che la nostra diplomazia e il governo, che stanno lavorando molto bene, riescano a far breccia in Europa per arrivare al risultato. Il vero problema però – ha sottolineato – è la controparte che appare molto rigida e decisa, con un atteggiamento tattico e negoziale che non si è ancora espresso fino in fondo nei riguardi dell’Italia».

Ice, l’auspicio resta zero dazi

Per l’Ice l’auspicio resta zero dazi. Si tratta d’altra parte di un mercato, quello americano, particolarmente sensibile dove l’Italia realizza un fatturato di 65 miliardi, pari al 10,4% dell’export tricolore. Anche l’Istituto guidato da Zoppas ha comunque evidenziato le grandi potenzialità che offrono altri mercati come India, Cina, Asia e Mercosur «dove investire per compensare eventuali criticità». L’analisi realizzata dall’Ice ha studiato la vulnerabilità, sul fronte dell’export, del sistema italiano e ha indicato l’anello più debole in 6mila imprese, con oltre 140mila addetti, «esposte in modo diretto a rischi potenziali elevati».

Confindustria, proseguire il confronto

Anche Confindustria ha analizzato nel dettaglio l’impatto delle misure volute da Trump ed è emerso che ogni punto percentuale di dazi Usa costa 874 milioni a cui va aggiunto il cambio del dollaro. «Il tema vero – ha sostenuto il presidente Emanuele Orsini – è che se rimaniamo fermi all’ultima letterina abbiamo il 30% dei dazi, più il costo del cambio con una media del 13%». Il conto salato è del 43%. La conclusione, per il numero uno di Confindustria, è che la «la percentuale accettabile dei dazi imposti dall’amministrazione Usa all’Europa è zero, perché il cambio è già un dazio». Orsini ha poi invitato a considerare che i dazi sono un’operazione «per delocalizzare le nostre migliori imprese verso gli Stati Uniti». La richiesta dunque è di robusti interventi in Europa sul fronte della burocrazia e poi proseguire il confronto con i negoziatori americani.

Il vino perde colpi

Intanto il vino, la voce più rilevante dell’export agroalimentare italiano negli Usa, sta perdendo colpi. A denunciarlo l’Unione italiana vini (Uiv) che ha segnalato nei primi quattro mesi dell’anno una flessione delle spedizioni del 3,7% in quantità e per la prima volta si sono ridotti anche i valori (-0,9%, a 2,5 miliardi di euro). A pesare è il gap sul mercato americano ad aprile, primo mese con i dazi al 10% (dal 2 all’8 aprile erano al 20%) che chiude a -7,5% a volume e a -9,3% a valore rispetto ad aprile dell’anno precedente. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Istat, oltre alla prevista inversione di rotta sul primo mercato al mondo, preoccupa nel complesso la performance dei Paesi extra-Ue (-7,4% a volume e -1,7% a valore), a fronte di un mercato comunitario piatto. E il futuro sarà ancora peggiore, secondo le previsioni di Uiv, tra rapporti con gli Usa, tensioni in Russia, declino della domanda cinese e calo del potere di acquisto.

«È oggi fondamentale – ha dichiarato il presidente di Uiv, Lamberto Frescobaldi – prendere atto di come lo scenario della domanda sia mutato: una doccia fredda dopo anni di crescita e dopo l’accelerazione delle spedizioni di questi ultimi mesi. E i dazi statunitensi impongono un’accelerazione. Dobbiamo salvaguardare un asset con un attivo di 7,5 miliardi di euro».

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