Trump orientato a imporre tariffe generalizzati del 15 e 20% ai partner commerciali. Confindustria: oltre il 10% servono compensazioni
Un’attesa sfibrante. L’Unione europea ha vissuto un’altra giornata con il fiato sospeso sempre con il solito dilemma: arriva o non arriva la lettera che fissa l’entità dei dazi americani sulle merci importate dall’Unione europea? Anche perché dalle ultime esternazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deus ex machina delle tariffe, è emerso l’orientamento di imporre dazi generalizzati del 15 e 20% alla maggior parte dei partner commerciali, quelli che fino a oggi non hanno ricevuto lettere.
Il primo effetto, dopo la stangata del 35% per il Canada, è stato il calo delle Borse europee e di quella italiana con Milano che ha superato per andamento negativo Francoforte. Ma hanno perso terreno anche Parigi e Londra. L’Unione europea fino all’ultimo ha ostentato tranquillità: «Rimaniamo dalla nostra parte completamente pronti per concludere un accordo di principio con gli Stati Uniti. Non abbiamo aggiornamenti che indichino che ciò accadrà in via imminente – ha dichiarato il portavoce della Commissione europea responsabile per il Commercio, Olof Gill – non ci sono contatti previsti nelle prossime ore, ma tutto può cambiare da un momento all’altro».
Il clima nella giornata del verdetto è stato comunque teso. Inevitabile che i dazi siano stati il convitato di pietra anche all’assemblea dell’Abi (Associazione bancaria italiana) che si è svolta ieri. La posizione del presidente dell’Associazione, Antonio Patuelli, è stata tranchant: «Occorre disinnescare il protezionismo e i dazi – ha detto – per evitare effetti sui mercati e sulle banche e una nuova recessione». Il numero 1 dell’Abi ha precisato: «Se si sviluppassero guerre commerciali, i mercati ne soffrirebbero, aumenterebbero le incertezze per le imprese, i crediti potrebbero deteriorarsi maggiormente e le banche ne subirebbero gli effetti». In una parola dunque recessione.
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Per il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, dazi più elevati e un’incertezza prolungata sulle politiche commerciali potrebbero alimentare l’inflazione. Questa la spiegazione di Panetta: «Un marcato calo della domanda di prodotti europei da parte degli Usa e il riorientamento delle merci cinesi sui nostri mercati eserciterebbero pressioni al ribasso sui prezzi. In scenari estremi, tuttavia, l’inasprimento delle barriere doganali potrebbe frammentare le filiere produttive globali, aumentando i costi di produzione e alimentando l’inflazione». Il governatore di Bankitalia ha anche sottolineato che «per la prima volta da decenni, il ruolo centrale del dollaro nel sistema finanziario globale è stato messo esplicitamente in discussione».
Lo scenario illustrato da Bankitalia è segnato da molte ombre. È stato stimato un rischio per il 5% del commercio globale. Inoltre l’Istituto di Palazzo Koch ha ricordato che l’Ocse «ha rivisto nuovamente al ribasso le previsioni di crescita del Pil globale». Ancora una volta ha lanciato l’allarme il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che ha sostenuto la necessità di compensazioni con tariffe superiori al 10%.

Orsini ha ricordato che l’Italia esporta merci per 65 miliardi negli Usa che restano il partner storico ma ha anche invitato a fare un ragionamento: «Oggi c’è un tema anche di cambio, perché quando la media del cambio dell’ultima settimana è il 13%, se lo unisco al 10%, fa un 23%. Noi abbiamo dei prodotti che sono delle eccellenze che continueranno a essere venduti negli Stati Uniti, ma ci sono altri prodotti che non ce la faranno e quindi – ha proseguito – dobbiamo fare una valutazione seria e oggettiva per filiere e per settori. Serviranno compensazioni se vogliamo essere competitivi». Orsini ha indicato poi diversi capitoli sui quali si può negoziare, dall’energia all’acquisto dei prodotti per la difesa fino alle big tech.
Nessun commento, senza una attenta lettura delle carte, da parte del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che però ha assicurato che saranno trovate le contromisure idonee per affrontare le criticità. «Lavoriamo costantemente – ha aggiunto Lollobrigida – e abbiamo dimostrato in questi tre anni che, per qualsiasi criticità riguardante il mondo agricolo, abbiamo sempre trovato soluzioni per salvaguardare le imprese e per avere una strategia di rilancio italiano ed europeo».
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Per il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, la vicenda dei dazi è sintomo di un cambiamento epocale del quadro degli scambi: «Stiamo tornando all’impensabile fino a qualche anno fa». Quadro a tinte fosche quello delineato da Nomisma che ha definito «potenzialmente esplosivo» il combinato tra dazi al 10% e calo del dollaro. Per l’export agroalimentare verso gli Usa il presidente di Nomisma, Paolo De Castro, ha stimato che a ogni +10% di dazi aggiuntivi corrisponde una perdita di circa 500 milioni di euro. «L’impatto – ha affermato De Castro – sarebbe in ogni caso pesante, se non addirittura insostenibile in caso di aliquote ancora maggiori, ma ciò che preoccupa maggiormente è l’instabilità del quadro decisionale: tra annunci, proroghe e continui ripensamenti sulle aliquote, si è creato un clima di grande incertezza sia per gli esportatori italiani sia per gli importatori statunitensi. Questo disorientamento frena decisioni strategiche, contratti, investimenti e apre scenari difficilmente prevedibili».
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Il presidente di Nomisma ha comunque messo in guardia dal rispondere a dazi con contro dazi perché «può generare una escalation difficile da controllare, con una reazione a catena che rischia di portare al blocco dell’export. L’obiettivo dell’Europa dovrebbe essere quello di mantenere equilibrio negoziale e nervi saldi, anche perché al momento la linea politica dell’amministrazione Usa appare imprevedibile».
Intanto anche ieri il ciclone Trump non si è fermato. E non solo con i dazi. Ha sferrato l’ennesimo attacco al presidente della Fed, Jaerome Powell, chiodo fisso come il deficit commerciale americano con tutto il mondo. Questa volta non ha minacciato il licenziamento ma ha detto che il n.1 della Fed «sta facendo un pessimo lavoro e sta costando un sacco di soldi al nostro Paese».
E resta acceso lo scontro con il Brasile. Il presidente Lula ha promesso di combattere per evitare che i dazi al 50% entrino in vigore. Ma il problema con il Brasile non è solo di carattere commerciale, Trump continua a difendere l’ex presidente Bolsonaro: «Lo stanno trattando in modo ingiusto, è un bravo uomo».