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L’invenzione del Conzateste, come mi rifaccio i capelli

Già nell’antichità le donne ne avevano cura, li coloravano, li legavano e li arricciavano. Da allora una corsa continua al parrucchiere

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Quanto può raccontare un dipinto! Al di là della sua bellezza artistica, dello stile in cui è realizzato, della celebrità del proprio autore, può offrire dei particolari che colpiscono l’attenzione, che raccontano un’epoca. Guardiamo, per esempio, l’opera di Joshua Reynolds che ritrae le tre sorelle Waldegrave sedute a un piccolo tavolo, intente a usare gli strumenti da ricamo. Il dipinto fu realizzato nel 1780 su commissione dello scrittore Horace Walpole che lo espose alla Royal Academy per candidare le sue tre pronipoti al matrimonio. Al giorno d’oggi, più che la loro dedizione al ricamo, colpisce la vistosa, elaborata acconciatura dei capelli. Si dice che, a quei tempi, più alta fosse la chioma, più elevato il rango sociale. Nobless. Ma chi lo aveva deciso?

Già nell’antichità le donne avevano cura dei propri capelli. Li coloravano, li legavano e li arricciavano. Ce ne dà un esempio il busto in marmo conservato a Roma nei Musei capitolini denominato il “busto Fonseca”. È rappresentata una donna, probabilmente appartenente alla famiglia Flavia, con una pettinatura del tardo impero romano: capelli alzati sulla nuca e ricadenti a riccioli sulla fronte. La prima storica definizione di chi si dedicava alla cura dei capelli, particolarmente delle signore, la si trova nelle pagine di Goldoni: la “conzateste”. Si trattava di una donna al servizio delle dame con questa principale mansione. Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, le pettinatrici o conzateste erano scelte per la pazienza e la discrezione. Ben presto trasformavano il tempo trascorso a pettinare, a cotonare e incipriare i capelli, in un momento di relax, di confidenze reciproche. Spesso di pettegolezzi.

A Napoli erano popolarissime le “capere” (scomparvero per lo più a fine Ottocento) che mentre pettinavano le proprie clienti raccontavano loro i fatti degli altri. Ancor oggi per denigrare qualcuno che sparla degli altri lo si apostrofa dicendo: “Sembri proprio una capera”.

Quando fra il Seicento e il Settecento, nella Corte di Francia, le pettinature divennero simbolo del rango sociale cui la dama apparteneva, fu quasi naturale affidarsi a mani più professionali. Alle pettinatrici domestiche si sostituirono gli acconciatori di professione, ma la vera, grande novità si ebbe nel 1635, quando fu inaugurato a Parigi il primo salone di parrucchiere per signore. Lo dirigeva Louis Champagne, che aveva fiutato l’importanza di creare un luogo pubblico, accogliente ed elegante, che desse anche l’idea di grande riservatezza, in cui muoversi fra le clienti suggerendo le novità della sua arte, presentandosi anche come amico fidato e consigliere. Fu lui a inventare lo “chignon”, portato dai suoi successori in tutt’Europa.

L’epoca più ricca di attenzione alla ricercatezza delle acconciature fu, però, il Settecento. Si pensi al movimento artistico Biedermier che rese popolare la pettinatura dei capelli lisci, con la fila in mezzo e le punte con i boccoli. Ai coiffeur, formatisi ed esercitanti soprattutto a Parigi, si unirono i consigli di stilisti. Una vera maestra di stile fu mademoiselle Rose Bertin. Donna intelligente nota per eleganza, fu davvero la prima stilista della storia tanto da essere soprannominata la Ministra della Moda. Abito, acconciature … tutto era sotto la sua lente d’ingrandimento e il suo consiglio d’esperta. Aveva inaugurato una boutique a Parigi “Le Grand Mogol”. Nel 1773 divenne amica e consigliera della Regina Maria Antonietta. Fu una piccola rivoluzione perché di solito alla corte non potevano accedere i borghesi. Da quell’amicizia nacque anche un nuovo stile di acconciatura per la regina. Maria Antonietta – che non aveva i capelli molto folti e, benché ragazza, era un po’ stempiata, si era affidata in passato a un famoso parrucchiere parigino Larsenneur – che aveva studiato per lei una pettinatura semplice, raccolta dietro la nuca, un po’ gonfia ai lati. Molto vanitosa avrebbe voluto un taglio più giovanile, e fu attratta dalle acconciature della duchessa di Chartes che si affidava al coiffeur Leonard Alexis Autier. Volle conoscerlo. Autier che di sé disse “Lavoravo con il pettine e lo spirito” raccontò dell’impressione che ebbe al suo primo incontro con Maria Antonietta: “mi parve pettinata malissimo”.

In poco tempo conquistò la fiducia della regina e ne divenne il parrucchiere personale. Rose Bertin, studiò le acconciature che creava e realizzò abiti in sintonia con il suo stile che poi propose alla regina. Ogni mese, infatti, arrivavano alla corte bambole vestite secondo la sua immaginazione creativa in perfetta sintonia con la moda dei capelli a “pouf” creati da Autier. Maria Antonietta incaricò quindi il suo parrucchiere di fiducia di riprodurre le acconciature di quelle delle bambole. Quella del coiffeur divenne un’arte. Spesso esagerata ed eccentrica. E proprio Leonard Alexis Autier inventò per la regina una vera e propria impalcatura di crine, garza con amido e cipria tirando all’indietro i capelli, il più in alto possibile e ornando con riccioli posticci, trecce, spille, fiocchi, coccarde, merletti, fiori, frutta e olio di chiodi di garofano per evitare l’infestazione di pulci. Il nuovo “Pouf”, poco salutare per la testa delle sue clienti, costò caro a Maria Antonietta i cui capelli maltrattati da tiraggi, amido, cipria e altro … divennero sempre più radi e bianchi. Eppure il pomposo “Pouf” si diffuse a macchia d’olio. Si racconta che le dame fossero costrette a entrare nelle carrozze in ginocchio, per poter trasportare la mega-acconciatura innalzata sul loro capo. Le feste di corte erano uno sfoggiare di teste ingombranti e difficili da tener ben erette e le francesi furono spesso prese di mira dalla satira dei giornali, soprattutto londinesi. “Malum est, malum est, dicit omnis emptor” e la moda dei capelli voluminosi tanto denigrata fece scuola in tutta Europa. Fu offuscata dalla Rivoluzione francese che, sprezzante dei simboli dell’aristocrazia, suggerì ai coiffeurs tagli e acconciature sobrie, più corte, magari un po’ ribelli (come le frange a colpo di vento, molto amate anche da Napoleone Bonaparte). Il nome di Maria Antonietta compare anche nella vita di Élisabeth Vigée Le Brun, una ritrattista di fine Settecento che segue la regina anche nelle ultime ore della sua vita. Sono suoi i ritratti in cui Maria Antonietta stringe fra le mani una rosa. E, forse, sarà lei a ispirare alla regina uno stile più sobrio. La stessa Le Brun ritrae sé stessa con pettinature più naturali, riccioli vaporosi e raccolti morbidamente, anticipando lo stile che poi si diffuse nell’impero.

Nell’Ottocento i coiffeur pettinavano le donne raccogliendo i capelli lunghi e fissandoli con pettini, fiori, foglie, perline, nastri … Acconciature più fiabesche, insomma, come quella della principessa Sissi, che si lasciava pettinare da una coiffeur, Fanny Feifalik. La principessa, dopo aver saputo che era stata lei a realizzare per l’attrice Zerline Gabillon un’acconciatura di cui si era innamorata a prima vista, volle conoscerla e la pregò di lasciare la compagnia teatrale. L’assunse per duemila fiorini all’anno. Ci fu anche chi, nella seconda metà dell’Ottocento, ignorò l’estro del parrucchiere. Fu il caso di sette ragazze, orgogliose della lunga chioma. Non avevano mai tagliato i propri capelli e se ne vantavano. Quando la madre morì, furono costrette dal padre a sfruttare quel vezzo (ormai le loro chiome erano lunghe quasi 4 metri a testa), facendole scritturare nel circo Barnum &Bailey. Avendo ereditato dalla mamma una bellissima voce le sorelle entravano al centro della pista del circo, vestite con una tunica bianca, si voltavano di spalle al pubblico e, cantando, cominciavano a sciogliere i capelli, lentamente, fino a coprire i piedi. Il fondatore di quel circo le definì le “sette meraviglie” Per la fortuna di tanti parrucchieri la loro non divenne mai una moda. Così l’estro dei coiffeur si adattava ai tempi.

Il primo, coraggioso, taglio detto “alla maschietta” fu inventato da Marcel Grateau, soprannominato Le Roi. Un taglio che divenne anche in seguito simbolo di emancipazione femminile. Nella seconda metà dell’Ottocento, Grateau “lanciò” i capelli ricci e mossi erano molto popolari tra le donne, e per mantenerli il più possibile si usavano i bigodini durante la notte. A ispirare il coiffeur fu la madre i cui capelli avevano onde naturali.

Alla fine del secolo XIX, Alexander Ferdinand Godefroy fece indossare alle proprie clienti una cuffietta collegata a una stufa, inventando il primo asciugacapelli. Il brevetto arrivò tempo dopo e soltanto nel Novecento divenne un macchinario più sofisticato. Nei primi anni del nuovo secolo si legge sul settimanale romano “La moda e i giorni” diretto da Matilde Serao: “Il modo di accomodarsi la pettinatura va modificandosi: I capelli coprono le orecchie e la fronte. coi cappelli d’ora, che calzano molto, i capelli devono apparire abbondanti, intorno al giro della testa. Vi è chi fa dei ricci o dei bandeux che scendono fin quasi alle guance. Si constata la tendenza della pettinatura, detta una volta “a orecchi di cane”, dell’epoca del Direttorio. Però va anche molto l’acconciatura a rocchi, con qualche ciocca sulla fronte come al buon tempo della Regina Margot”.

Un po’ confidenti e un po’ inventori i parrucchieri avevano compreso che per distinguersi bisognava portare delle novità e realizzarle con perfezione. Karl Ludwig Nessler fu l’inventore nel 1909 della permanente. Fu un successo. Nessler creò poi un sistema di bigodini di bronzo, riscaldati elettricamente. In molti lo copiarono. Se nel 1767 Le Gros scrisse L’arte della parruccheria a Parigi, un libro che in soli 4 anni ebbe altrettante edizioni e gli permise di realizzare a Parigi un’accademia per parrucchieri, nel 1772 Iacopo Vittorelli dedicò un poema “Il Tupé” riempiendo di lodi chi era riuscito a realizzare una acconciatura così deliziosa per la donna e necessaria per l’uomo, la scrittrice Marie de Villermont convinta che il parrucchiere fosse “una parte integrante ed essenziale della nostra fisionomia, della nostra personalità” studiò con l’ Histoire de la coiffeur féminine, il fenomeno delle acconciature professionali e della loro diffusione: “C’è una filosofia nel costume, che veste un’epoca, e l’acconciatura è come il suo riassunto … Non vogliamo limitarci a una descrizione arida di trecce, piume o stracci, ma vogliamo considerarle come una relazione intima con chi le indossava”.

Insomma la storia delle acconciature femminili era il pretesto per “trovare la donna sotto i capelli”. Già ai tempi di Ovidio era chiaro come egli stesso scrisse nell’ “Arte di amare”: “Non lasciare che la tua acconciatura sia disordinata. Le mani del parrucchiere aumentano la bellezza o la rimuovono”. Grande estimatore delle chiome femminili era stato anche Apuleio: “I capelli hanno qualcosa di così bello che quando una donna appare con ogni tipo di aggiustamento, con abiti dorati carichi di gioielli, se c’è negligenza nei suoi capelli o qualche irregolarità nell’acconciatura, tutto il suo ornamento diventa inutile”.

E con la schiettezza che la contraddistingue, un’esperta di bellezza come Sofia Loren non ha potuto che commentare: “L’acconciatura giusta può rendere bella una donna semplice e indimenticabile una donna bella”.

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