La COP30 di Belém ha riportato l’attenzione sul legame tra crisi climatica, transizione energetica e malattie
Il vertice COP30 che si è tenuto a Belém ha riportato con forza l’attenzione pubblica sulla connessione profonda tra crisi climatica, transizione energetica e salute umana. Non si tratta soltanto di discutere numeri di emissioni o target di decarbonizzazione su lunghi orizzonti temporali: ogni scelta energetica ha ricadute misurabili sulla qualità dell’aria, sul rischio di ondate di calore, sulla diffusione di malattie vettoriali e, in ultima analisi, sulle vite delle persone.
Parlare di salute nella transizione energetica significa dunque rovesciare la prospettiva: la mitigazione diventa uno strumento di prevenzione sanitaria, mentre l’adattamento non può più essere pensato come un costo residuale ma come investimento strategico.
I numeri chiariscono quanto sia urgente agire: l’OMS stima che l’inquinamento atmosferico esterno abbia causato circa 4,2 milioni di morti premature nel 2019, e considerando anche l’inquinamento domestico la cifra supera i 6 milioni di decessi annuali. Per quanto riguarda il caldo estremo, studi consolidati riferiscono che tra il 2000 e il 2019 si sono verificati in media circa 489.000 decessi annuali legati al calore; indicatori più recenti e specifici mostrano inoltre un aumento della mortalità da calore, con stime medie decennali che negli ultimi anni sono arrivate intorno a 546.000 decessi annui in alcuni report.
Spese sanitarie, l’inquinamento costa trilioni di dollari
Sul piano economico, il peso dell’inquinamento e delle conseguenze sanitarie è enorme: analisi di istituti internazionali mostrano costi globali delle polveri sottili (PM2.5) misurati in trilioni di dollari (stime World Bank riportano valori dell’ordine di alcuni trilioni per anno in termini di welfare e perdite economiche aggregate), e proiezioni dell’OCSE indicano un possibile aumento dei soli costi sanitari legati all’inquinamento fino a decine di miliardi di dollari annui nei decenni a venire. Numerosi studi economici e modelli di policy mostrano che i co-benefici sanitari (riduzione di ricoveri, minor mortalità per malattie cardiovascolari o respiratorie) spesso compensano o superano i costi di molte misure di mitigazione, rendendo la transizione non solo eticamente giusta ma anche economicamente sensata. Un esempio concreto a scala europea mostra che, se gli Stati membri rispettassero le linee guida OMS sulla qualità dell’aria si potrebbero evitare centinaia di migliaia di decessi l’anno in Europa, una stima che rende plastica la valenza immediata della politica di qualità dell’aria sui risultati di salute pubblica.
Le attività svolte all’aperto, dall’agricoltura alle costruzioni, dalla logistica ai servizi urbani, sono particolarmente vulnerabili agli sbalzi di temperatura, e le conseguenze sanitarie vanno dalla semplice disidratazione a eventi complessi come il colpo di calore, che può portare a insufficienza multiorgano e morte se non riconosciuto e trattato tempestivamente. Un cambio di rotta significa benefici immediati osservabili in minori ricoveri per asma e broncopneumopatia cronica, diminuzione degli attacchi cardiaci legati allo smog.
Crisi climatica e salute mentale, binomio pericoloso
La salute mentale poi è uno degli aspetti meno visibili ma più duraturi della crisi climatica e richiede una risposta strutturale e continua. Gli eventi estremi generano traumi acuti e perdite che alimentano condizioni come il disturbo post-traumatico, ma il clima produce anche stress cronico: la perdita di mezzi di sussistenza, l’incertezza sul futuro, e una crescente eco-ansia possono erodere il benessere psicologico di intere comunità.

I sistemi sanitari devono quindi integrare servizi di salute mentale e supporto psicosociale (MHPSS) sia nelle risposte d’emergenza sia nelle politiche ordinarie di prevenzione. Ciò comporta formazione capillare per operatori sanitari di primo livello, reti di supporto comunitarie, linee telefoniche e piattaforme digitali per consulenze remote, e programmi scolastici che affrontino la dimensione emotiva del cambiamento climatico con approcci sensibili e partecipativi.
Il coinvolgimento delle comunità nella progettazione degli interventi è fondamentale: i percorsi di cura che rispettano la cultura, la lingua e le pratiche tradizionali hanno esiti migliori rispetto a interventi esterni e non contestualizzati. Inoltre, la prevenzione primaria passa anche attraverso la sicurezza economica: programmi di protezione sociale e misure per la stabilizzazione dei redditi riducono la vulnerabilità psicologica legata alle perdite climatiche. È importante monitorare sistematicamente gli indicatori di salute mentale, includendoli nelle sorveglianze epidemiologiche e valutando l’efficacia delle politiche con metriche chiare e ripetibili. Le scuole e le organizzazioni giovanili possono essere spazi privilegiati per interventi preventivi che riducano eco-ansia e promuovano abilità di coping. La ricerca deve concentrarsi anche su come le diverse esposizioni climatiche influenzino le patologie mentali nei diversi gruppi demografici. L’investimento in salute mentale è anche un investimento economico: servizi adeguati riducono assenze da lavoro, migliorano la produttività e limitano l’aggravio di patologie croniche che spesso si sovrappongono a disturbi psicologici non trattati.
Costruire ospedali a basso impatto e resistenti al clima
La trasformazione degli ospedali in strutture a basso impatto e climate-resilienti rappresenta una leva concreta per coniugare l’obiettivo di decarbonizzazione con quello di sicurezza sanitaria. Interventi sull’efficienza energetica dell’involucro e degli impianti, installazioni di pannelli fotovoltaici con sistemi di accumulo, miglior gestione delle acque e strategie di riduzione dei rifiuti sanitari consentono non solo di ridurre emissioni ma anche di aumentare l’autonomia operativa in caso di eventi estremi o blackout prolungati. Le misure più efficaci vanno dal miglioramento dell’efficienza energetica dell’involucro edilizio e degli impianti HVAC, all’installazione di sistemi di generazione distribuita e alla gestione intelligente dei carichi. La formazione tecnica del personale impiantistico degli ospedali è essenziale per garantire manutenzione e funzionamento efficiente degli impianti rinnovabili.
Partnership pubblico-private possono accelerare la diffusione di tecnologie pulite, ma devono essere regolate da condizioni che garantiscano trasferimento tecnologico e trasparenza nei risultati. La digitalizzazione dei processi ospedalieri (cartelle cliniche elettroniche, telemonitoraggio) contribuisce sia alla qualità delle cure sia al risparmio energetico. Infine, la riduzione dell’impatto ambientale degli ospedali si accompagna a benefici sanitari diretti: aria più pulita e ambienti più salubri riducono le infezioni nosocomiali, migliorano il recupero dei pazienti e la qualità del lavoro per il personale sanitario. È una misura che, se ben progettata, produce benefici concreti in tempi brevi.
Giustizia climatica: questione etica ma anche clinica
La dimensione della giustizia climatica non è perciò soltanto etica: è clinica. Le comunità più esposte e meno dotate di risorse subiscono la doppia penalità di una maggiore esposizione ai rischi e di un accesso ridotto a cure di qualità. La comunicazione pubblica gioca un ruolo centrale: spiegare i benefici sanitari delle azioni climatiche aiuta a costruire consenso. La partecipazione e i partenariati con la società civile rafforzano la legittimità delle politiche e migliorano la loro efficacia sul territorio. La formazione di reti regionali e transfrontaliere facilita la condivisione di buone pratiche e rendere i piani di adattamento più efficaci. La responsabilità sociale delle imprese e criteri di procurement sostenibile possono spingere diversi settori a investire in salute e resilienza.









