“Ti farò morire”: minacciata a 8 anni da un compagno. Il caso riapre il nodo dell’educazione sessuale, ancora senza regole chiare alle elementari. Famiglie divise, scuola lasciata sola. Ma in Italia c’è chi aiuta e soccorre
«Giorgia se mi lasci ti farò morire con la mia guardia del corpo chiamata ‘Iacopo’ cuindi non lasciarmi se no è la tua fine. E non fidanzare mai Marco e Rayan se no è veramente la tua fine».
È il testo di un biglietto, trovato da un genitore nello zaino della figlia di otto anni. Lo ha raccontato Silvia Demozzi, professoressa di Pedagogia a Bologna, e autrice con la sua collega Rossella Ghigi di “Insegnare genere e sessualità. Dal pregiudizio sessista alla prevenzione della violenza”. Mettiamoci nei panni della famiglia di Giorgia: mettiamoci nei panni dei suoi genitori nel giorno in cui dovranno decidere se dare o no il loro “consenso informato” alle “attività inerenti la sessualità”.
Alle medie decide la famiglia, elementari senza regole
È quel che prevede il disegno di legge, di recente molto discusso e anche contestato, che dovrebbe regolare l’educazione sessuoaffettiva nelle scuole: si attribuisce alla famiglia il discrimine, dalle medie in su. Per le scuole elementari invece non ci sono regole, in pratica si va avanti così. E Giorgia?
La bambina di otto anni minacciata di morte in un biglietto, quella Giorgia. Non è un caso isolato: la violenza che ha subìto contestualizza delitto e minaccia nell’ambito di una relazione affettiva, proprio il criterio che è alla radice del femminicidio, per come questo delitto è inteso nell’aggiornamento del nostro codice penale. Si aggiornano le pene, gli insegnanti elementari si arrangino: alle medie decideranno i genitori del bambino che ha scritto quel biglietto se la proposta della scuola sono adeguate a educarlo.
Lo spiega con candore lo stesso Giuseppe Valditara, il ministro dell’Istruzione: «I genitori dovranno essere adeguatamente informati sul contenuto del corso e su chi lo terrà. I genitori che non sono d’accordo potranno semplicemente chiedere che i propri figli frequentino un corso alternativo». Lo spirito della facoltà di scelta è spiegato sempre da Valditara, intervistato da “Panorama”: «Non vogliamo l’indottrinamento all’interno delle nostre scuole, l’indottrinamento cosiddetto ‘gender’».

Il complicato crocevia fra educazione e istruzione si affolla, intorno a questo argomento, tracciando uno scabroso quanto incerto confine fra educazione sessuale (va bene) e descrizione dell’identità di genere: quest’ultima potrebbe non andare bene. E si apre un conflitto, ulteriore, fra scuola e famiglia, o fra Stato e libera iniziativa, se vogliamo. E scuola e insegnanti rientrano fra le vittime di una concezione dello Stato sempre più fragile, che sottrae strumenti all’istruzione anziché rinforzarne il ruolo.
I materiali per aiutare gli insegnanti
Come fare? C’è chi aiuta e soccorre, in Italia, gli insegnanti: sono le tante associazioni e organizzazioni già da tempo attive nel sostenere con progetti e materiali soprattutto chi nei programmi scolastici avverte una grave lacuna circa appunto le “attività inerenti la sessualità”, chiamiamole così. Si chiamano “Educare alle differenze”, “Inse”, “Eduxo”, “Lila”, tutte organizzazioni che si occupano dell’argomento, con ricerca, impegno, strumenti. “Educare alle differenze” è una rete nazionale di associazioni che si dedica a una formazione intesa a «contrastare ogni forma di discriminazione e decostruire gli stereotipi che sono alla base della violenza di genere, del bullismo omolesbobitransfobico e di tutte le altre forme di discriminazione».
Tanti i materiali e le proposte: spicca fra gli altri un volume, che si scarica e si legge gratis: “L’educazione sessuo-affettiva non è un gioco”, sottotitolato “Vademecum di supporto e autotutela per insegnanti e associazioni”. «Lo abbiamo costruito attraverso un anno di assemblee, workshop, momenti di scambio in presenza e online» in cui, si legge nell’introduzione al volume, «abbiamo raccolto rabbia, stanchezza, ma soprattutto un desiderio crescente di liberazione»
E ancora, si chiarisce il senso del termine educazione, che, nell’idea degli autori «significa anche questo: nominare ciò che c’è, creare senso dove il potere impone silenzio».
La lettura di questi materiali, il confronto con queste associazioni, al di fuori della loro presunta o reale (lo decideranno le famiglie!) radice “gender” sembra più costruttivo di uno scontro fra scuola e famiglia allestito per legge. Un conflitto che difficilmente risolverà i problemi di Giorgia, del suo (ex) fidanzatino, delle loro famiglie e dei loro insegnanti.

Per chi si stanca a leggere sono tante, ancora, le iniziative intese a sostenere scuola e insegnanti nel proprio percorso di consapevolezza. Per citarne uno, il volume che si rammentava all’inizio, quello di Silvia Demozzi e Rossella Ghigi, è presentato generosamente sul canale Youtube di “Mondadori Education”, in un video dove le autrici rammentano fra l’altro che «l’educazione alla sessualità, che comprende l’educazione al genere è considerata un diritto umano», e anche che «l’Oms e l’Unesco hanno realizzato degli standard per l’educazione sessuale in Europa» con un approccio tradito dall’attuale legislazione italiana. Ora, ammesso che le varie associazioni che si occupano del tema potessero essere indiziate di non meglio specificate intenzioni propagandistiche, difficilmente potremmo pensarlo di Mondadori, casa editrice di proprietà della Fininvest: il governo, o le famiglie, dovranno rifletterci. Lo Stato, ancor più che assente, sembra più che altro confuso.
EduForIST, un aiuto dal ministero della Salute
Fra gli strumenti di emancipazione messi a punto in questi anni ce n’è uno, importante e solido, nato e cresciuto in ambito istituzionale. Si chiama EduForIST, ed è stato realizzato fra il 2020 e il 2025 dal ministero della Salute. Lo scioglimento dell’acronimo è impegnativo: EduForIST sta per “Sviluppo di strumenti tecnici e pratici per lo svolgimento di attività educative e formative in ambito di sessualità, relazioni affettive e prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili nel contesto scolastico”.
Il progetto, coordinato dall’Università di Pisa, ha coinvolto istituzioni universitarie e di ricerca, ma anche il mondo delle associazioni: e si è tradotto in una serie di incontri nelle scuole in Lombardia, Toscana, Lazio e Puglia. Consenso informato? Ancora non se ne parlava così tanto: eppure alla radice di questo progetto, i cui materiali non sono attualmente così facili da reperire, c’è proprio «un approccio olistico e positivo alla sessualità, che tiene in considerazione le differenze, i diritti umani e sessuali, le identità».
Si passa dalla SE (Sexual Education) alla CSE (“Comprehensive Sexual Education”), «un approccio olistico e positivo alla sessualità, che tiene in considerazione le differenze, i diritti umani e sessuali, le identità». Lo dice con chiarezza il professor Piero Stettini, intelligente psicoterapeuta che era stato chiamato a far parte di quel gruppo di ricerca e nel 2021 descriveva la sua esperienza concludendo che «la compresenza in campo sessuale di stili di vita, punti di vista, valori diversi e contrastanti, da tallone d’Achille dell’educazione sessuale può diventare inaspettatamente il punto di forza». Lo dicono le università e il mondo della ricerca, non sono parole che vengono fuori da un carro della Love Parade, cari ministri e care famiglie. Quale famiglia ha gli strumenti per decidere che il proprio figlio non abbia bisogno di educazione sessuoaffettiva, o che ne venga danneggiato? Difficile stabilirlo, difficile fidarsi delle famiglie: meglio la legge.
È appena stata approvata, dal nostro Parlamento, una legge sul femminicidio, che si esprime sostanzialmente con un inasprimento della pena. Può andar bene, ma occorre ricordarsi che le leggi non servono solo a quello, perché anche sulle pene la discussione è interessante, ma una cosa è certa: le pene arrivano sempre dopo, cioè troppo tardi.









