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Manutenzione delle opere pubbliche, storia di ordinaria emergenza

La manutenzione delle opere pubbliche in Italia è ancora insufficiente, soprattutto per scuole, ospedali, strade e ferrovie


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Si è aperta con un minuto di silenzio per Octay Stroici, l’operaio romeno di 66 anni morto in seguito al crollo della Torre dei Conti, in pieno centro a Roma, la lunga presentazione del Sindaco di Roma di obiettivi raggiunti e futuro prossimo della Capitale. Parchi, mercati, strade, case popolari.

Non senza la pesante accusa di aver trovato una città letteralmente a pezzi; l’incidente della Torre, a detta di Gualtieri, ne sarebbe solo l’ennesima conferma.

E il Paese? Oltre al patrimonio culturale, oggetto comunque di norme in ambito di cantieri e sicurezza sul lavoro – 784 vittime da gennaio a settembre 2025 – sotto la lente c’è quello delle infrastrutture, grandi e piccole opere, monitorate eppure a rischio, di cui i cittadini si servono tutti i giorni.

A loro tutela, esiste l’Anagrafe scolastica (resa pubblica solo in seguito alla battaglia giudiziaria vinta da Cittadinanzattiva), ma solo nell’ultimo anno i crolli e i cedimenti negli istituti scolastici sono stati 71. Esiste l’Ainop, l’Archivio Informatico delle Opere Pubbliche del MIT creato all’indomani del crollo del Ponte Morandi e il Dataset SILOS della Camera dei Deputati – per citare appena due degli osservatori strategici – ma le infrastrutture stradali e autostradali del nostro Paese contengono una soglia di rischio tuttora inaccettabile: oltre il 50% delle strade italiane necessita di manutenzione urgente e solo l’8% dei 132.000 km di rete stradale secondaria regionale e provinciale ha visto interventi di manutenzione recenti, secondo enti di settore, istituzioni e gestori della rete. Numerosi i ponti e i cavalcavia in pericolo per le loro condizioni.

L’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, avverte che un quarto del territorio nazionale è a rischio frana o alluvione. Il 60% degli ospedali ha più di 50 anni, in molti Tribunali mancano spazi vitali per faldoni e persone e persino servizi igienici accettabili, numerosi treni locali sono pericolosi e sovraffollati (7.000 i km dismessi a cui abbiamo rinunciato).

In alcuni casi è stato salvato il bilancio delle società di gestione, ma senza che questa condotta – doverosa e indispensabile – sia sempre e sistematicamente stata indirizzata all’efficacia e all’effettività dell’agire pubblico.
Lo spaccato dell’Altravoce del Lunedì di questa settimana è il tentativo non esaustivo di riflettere per settori senza dimenticare ciò che li accomuna: curare per realizzare diritti e razionalizzare la spesa pubblica, curare prima che sia troppo tardi. Curare per vivere adeguatamente, prima che per evitare tragedie.

Guardare al quotidiano, senza chiudere il Paese così come non chiuderemmo casa nostra, abbandonandola e meravigliandoci anche solo dopo qualche mese di ritrovarla in rovina.

Massimo Mariani, tra i massimi esperti del settore della ricerca applicata sismica del consolidamento e restauro degli edifici in Italia e all’estero e nel consolidamento dei dissesti idrogeologici e fondali, intervistato sul crollo della Torre dei Conti, ha detto: «Esiste una memoria del danno», in riferimento alla circostanza tecnica che un manufatto – specie se molto datato ed esattamente come un essere umano seppure dall’esistenza incomparabilmente più lunga – porta con sé tutte le precedenti vicende e i pregressi traumi.

Basterebbe questo, insieme ad appena tre articoli della Costituzione – tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico (art. 9), sicurezza e salute dei luoghi di lavoro (art. 32), buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97) – a far sì che finalmente non si confondano più fatalità e politica. Perché «ognuno se la prende con la fatalità. È tanto riposante leggere la storia in chiave di fatalità. Leggerla in chiave politica è più inquietante», scriveva Don Lorenzo Milani. Più inquietante perché riconduce a responsabilità e per questo, verosimilmente, a invertire la rotta.

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