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Sarah Gainsforth: «Casa? Inarrivabile o low cost»

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Abitare? Un lusso. Prendiamo una coppia di insegnanti, o di impiegati, che lavora al centro di Roma o di Firenze. È possibile per loro abitare a Roma o Firenze? Tendenzialmente no. In linea generale le spese per l’abitazione di una famiglia non dovrebbero superare il 30 percento del reddito: è il calcolo che fanno molte banche al momento di concedere un mutuo. Se questa coppia o famiglia intende abitare in affitto, non parliamo di comprare, secondo questo criterio dovrà andare ad abitare da qualche altra parte, e diventare pendolare, almeno a Roma funziona così. Che è successo?
È appena uscito un libro, per Laterza, dove si racconta un’Italia che sta cambiando faccia, ed è già sfigurata da un mercato immobiliare fuori controllo cui si sovrappone il problema, in tante città, degli affitti turistici brevi: il libro s’intitola “L’Italia senza casa” e l’ha scritto Sarah Gainsforth, ricercatrice e giornalista che negli ultimi anni è diventata forse la maggiore autorità nazionale sulla questione. Ed è proprio lei che ci racconta di persona che cosa sta succedendo, a partire da Roma.

Affitti impossibili, non solo in Centro, ma anche nelle zone semiperifiche. Perché?


“Roma non è mai stata una città particolarmente economica. Ma ormai l’offerta di chi possiede una casa e vuole affittarla è orientata quasi solo verso quelli che si definiscono property manager, che poi subaffittano a studenti, turisti, inquilini temporanei e via dicendo. Gli affitti non sono più concepiti per residenti, famiglie, lavoratori, ma per questi agenti di intermediazione, che prendono queste case e le gestiscono”.

Di anno in anno gli affitti aumentano di prezzo. E la politica non aiuta i cittadini…


“Il Giubileo ha intensificato questa situazione, con un’amministrazione che sostanzialmente o dorme o si rende complice. L’assessorato all’urbanistica sta attualmente accontentando tutte le richieste degli investitori privati, come per esempio l’agevolazione dei cambi di destinazione d’uso: il tutto avviene attraverso l’aggiornamento delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore, che poi è un aggiornamento sostanziale, perché se modifichi oltre la metà degli articoli stai di fatto cambiando il piano regolatore stesso”.


La crisi abitativa non fa bene al clima: un impiegato che abita lontano dal posto di lavoro si sposta in treno o in macchina, produce emissioni.

“Già oggi Roma, d’estate, è invivibile. Più in generale i centri storici stanno diventando come le aree interne del nostro paese: non ci sono più i servizi essenziali, ospedali, scuole, poste. E c’è un peggioramento complessivo della qualità di vita nella città. Non c’è più un’offerta per il ceto medio, che sta scomparendo. C’è un’offerta sempre più costosa, o sempre più povera: c’è l’albergo extra lusso e di fronte il fast food. L’inarrivabile e il low cost”.


Questo accade solo a Roma, Firenze, Venezia, o anche altrove?
“Purtroppo questo modello si sta diffondendo davvero ovunque, anche nelle città di media grandezza, dove c’è per giunta una quota enorme di case vuote. Si salva in parte solo il Mezzogiorno, perché il costo della vita in alcune aree è ancora inferiore al resto dell’Italia: lì resta ancora un margine di possibilità di tenuta sociale. Nelle città del Centro-Nord invece i costi abitativi aumentano, i salari sono fermi, e non abbiamo servizi. È proprio questo che fa la differenza: trasporti, piscine, biblioteche, spazi culturali”.


E il futuro?
“Ci vorrebbero serie politiche integrate. Non basta un assessore che fa una norma: la norma rischia di andare a sbattere contro le indicazioni di altri assessorati. Servirebbe un’operazione di vera e propria ingegneria sociale. Se si iniziasse ora, forse tra dieci anni vedremmo i primi effetti, ma già ora non è detto che queste trasformazioni siano reversibili. Ci sono tempi lunghi, più tardi si inizia peggio è. E io purtroppo, da qui ai prossimi decenni vedo solo un peggioramento”.


Noi cittadini che possiamo fare?
“In politica al momento tutto è comunicazione. C’è questa narrazione fantastica, favolosa delle città mentre invece io direi, se dovessi sintetizzare, che c’è bisogno di esigere un’informazione vera reale, che consente di riflettere su quale futuro vogliamo per Roma. È una questione politica, cioè di interesse generale collettivo”.


Quali regole servirebbero?

“Se sei un proprietario devi abbassare la tua aspettativa di guadagno sulla casa rispetto a quella attuale che è completamente insostenibile. La rendita è una cosa che deve essere gestita e regolamentata dal pubblico: non puoi aspettarti 10mila euro al mese se questa è una cosa che danneggia la società e la collettività. E puntare solo sul turismo alle lunghe è perdente: serve un’economia alternativa, se no è chiaro che poi ci resta solo la casa da affittare su Airbnb”.


Non è un percorso facile.
“C’è bisogno ora più che mai di regole condivise. C’è bisogno di ricostruire una cosa pubblica. La privatizzazione di tutto ha fatto crollare trasporti, sanità, scuola, tutte cose che trasportate nel mercato del profitto non funzionano più. Le leggi sulla casa che ci sono in Italia risalgono ancora alle lotte degli anni Sessanta, dei baraccati. Attualmente si assiste a una totale restaurazione degli interessi privati e alla cancellazione di queste regole”.


La politica è sensibile al tema?

“A livello locale c’è l’intelligenza di alcuni amministratori di comuni medio-piccoli, che hanno una visione più accurata della realtà, per cui vogliono evitare di finire come appunto Roma, Firenze, Venezia. A volte mi contattano per parlare di questo: cosa possono fare loro per salvarsi dallo stesso percorso di turistificazione”.

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